NUMERO 9
AGOSTO 99
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MATTEO BORDONE
(fu Alessandro Zanni)
Lesordio
(assoluto!) di Matteo Bordone sul numero di Stranezze
ha suscitato non pochi entusiasmi. Era firmato con lo pseudonimo
di Alessandro Zanni ed era lesilarante cronaca di una serata
baraccona in onore di Isabella Santacroce. A furor di popolo la
pubblicazione di un racconto vero e proprio si rendeva quasi obbligatoria.
Anche nelle vesti di narratore Matteo non abbandona lo sguardo pungente
e ironico che ha contraddistinto il suo pezzo di debutto, ma qui
ovviamente lo stempera in paesaggi e situazioni che ricordano certe
atmosfere douglas-couplandiane di smarrimento e confusione generazionale,
mischiate in maniera un po incongrua ai toni softporno delle
commedie italiane fine anni 70. Bel mix.
Looking
for Bibi Andersson
Prima della
partenza, la Svezia mi faceva pensare a queste cose:
Tipicamente
svedese è Bjorn Borg. Svedese nella sua aria impassibile davanti
alle bestemmie di McEnroe, e svedese nello stile di gioco massiccio
e senza fronzoli: fondocampo, fucilate. Svedese nel fisico e nella
zazzera bionda tipica da primi anni ottanta, raccolta con una fascia
elastica.
Ingmar Bergman è ancora più svedese di Borg. I suoi film sono anche
svedesi fino al midollo: silenzio, betulle e attrici belle, bellissime,
con certi nomi scivolosi come Bibi Andersson o Liv Ullman o Gonnel
Lindblom, donne talmente perfette e irraggiungibili, in silenzio
in mezzo alle betulle, che ti verrebbe voglia di stare a guardarle
di nascosto mentre dormono.
Ma la prima cose che viene in mente a un maschio italiano quando
pensa alla Svezia, è la prodigiosa libertà sessuale dei suoi abitanti.
Sostanzialmente sereni riguardo al sesso, gli svedesi non si fanno
problemi di alcun tipo. Magari vanno anche in chiesa, ma sono protestanti.
Il loro dio è a milioni di anni luce di distanza, e loro se la godono
beati. Forse per questo nei film porno svedesi la gente sorride
sempre. Sono pieni di donne alte, bionde, tettute e sorridenti.
Nei nostri porno sorridono meno. Più che altro tirano fuori la lingua.
L'idea della
Svezia è venuta ad Andrea un paio di settimane fa. Tutti e due siamo
stati a casa quest'estate. Abbiamo da parte un po' di lira. Io ho
fatto finta di niente, quando me l'ha proposta, per me un posto
vale l'altro, ma per Andrea no.
La cosa più
bella del viaggio in aereo sono le hostess. Queste Bibi, Liv, Gunnel
qualsiasi, sono semplicemente perfette. Ci riempiono di attenzioni,
come fossimo lama tibetani di sette anni. Qualunque cosa venga dalle
loro mani, anche un normale bicchier d'acqua, è puro elisir di lunga
vita.
Un' altra cosa
che so degli svedesi è che sono molto ma molto civili, è tutto molto
giusto in Svezia. Tutto funziona. La cosa strana è che un sacco
di svedesi si suicidano. Molti sostengono che è perché tutto funziona
troppo bene, uno si annoia, si deprime, si suicida; insomma molti
dicono che in Brasile magari muoiono di fame, ma si divertono di
più, giocano a pallone sulla spiaggia, ballano samba tutto il giorno.
Un mio compagno delle medie diceva che in Svezia c'erano addirittura
delle cabine tipo quelle del telefono, ma fatte per suicidarsi.
Tu entravi, mettevi la monetina e morivi felicemente asfissiato.
Io comunque non ci ho mai creduto.
All' aeroporto
di Stoccolma, quella della Hertz che ci noleggia la macchina continua
a sorridere, parla inglese benissimo e fare l'interprete in Svezia
è un vero piacere.
Nel tragitto da Stoccolma a Vetlanda un po' dormo, un po' guardo
i boschi, i laghi, i paesi tranquilli che ci passano accanto. Andrea
guida, fuma Diana Blu e batte il tempo sul volante. La radio svedese
non è poi male.
Dopo un po', attraversare in macchina la Svezia può essere molto
monotono.
Sui due lati della strada, praticamente solo alberi. Nient'altro.
Poche macchine in giro, asfalto perfetto, pace e tranquillità. Ogni
tot chilometri, nelle strade secondarie, ci sono delle rotonde con
statue moderne in mezzo. Molto sobrie. Tutto molto sobrio, davvero.
Ci si tiene un po' svegli cercando di attenersi scrupolosamente
al limite di velocità che spesso cambia inaspettatamente, nel nulla.
Allora si rallenta, si accelera, a secondo. Non si capisce perché
- la strada è dritta, deserta, in mezzo al bosco - eppure si rispettano
le regole.
Il mio sogno sarebbe di vedere realizzato quello che promettono
continuamente i cartelli di pericolo ai bordi della strada: essere
costretti ad inchiodare per l'attraversamento improvviso di un animale.
Cosa ne so, una renna, un alce. Magari un branco intero.
Quando ero molto piccolo, sono stato nella Lapponia finlandese con
un pulmino. I miei organizzavano queste vacanze in tenda, molto
anni settanta.
Solo che io ero piccolo. I bambini in pulmino dormono tutto il tempo,
si sa.
Così non mi ricordo niente. So che c'ero, ma mi hanno dovuto raccontare
tutto dopo. Compresa l'immagine celestiale del pulmino costretto
a fermarsi in mezzo alla strada, nella Lapponia Svedese. Un branco
di alci aveva deciso di non lasciarci passare prima di aver leccato
tutti i moscerini che avevamo spiaccicati sui fanali.
Tutti fermi dentro al pulmino, nel bel mezzo del niente scandinavo.
I miei fratelli che saltano sui sedili, all'apice del gasamento
infantile; io che dormo sul sedile dietro. Le alci che si danno
il turno e leccano i fari senza fretta, con quella loro espressione
placida, un po' tonta, tipica di chi aspetta sei mesi l'anno che
torni la bella stagione.
Arriviamo a
Vetlanda nel primo pomeriggio. Vetlanda è davvero un posto minuscolo.
Andrea si ricorda la strada per arrivare a casa di Josephine, perché
l'estate scorsa ha mandato a monte l'interrail ed è rimasto in quella
casa dieci giorni. E per dieci giorni si è rotolato nelle lenzuola
con Josephine, non sono usciti molto, anche perché Vetlanda nelle
guide turistiche non c'è nemmeno e Josephine era a casa da sola.
Andrea non sa una parola di Inglese, neanche buon compleanno sa
dire. Come abbiano fatto a comunicare per dieci giorni, rimane tuttora
un mistero.
Scendo io dalla macchina, suono e mi apre una bella signora più
alta di me.
"No, Josephine non abita più qui."
La madre mi spiega come arrivare alla nuova casa di Josephine. Andrea
è molto più nervoso ora. Sospetta.
Arriviamo davanti alla villetta di legno, verdina , coi tulipani
fioriti di fuori. "Vai tu," mi dice, senza guardarmi in
faccia.
Suono alla porta. La porta si apre ed esce una creatura gigantesca.
Uno svedese alto sui due metri, muscoli dovunque, baffi biondi e
aria pacifica.
"Siamo degli amici di Josephine." Sono imbarazzato come
poche volte nella mia vita.
Rientra e la va a chiamare.
Sento dietro le spalle il motore che si accende, Andrea fa inversione
nella stradina deserta, abbassa il finestrino e mi strilla "Marco
andiamo, vieni via"
"Ma sta arriv..."
"VIENI VIA TI HO DETTO, CRISTO!"
Corro alla macchina, salgo, e mentre ce ne andiamo sgommando, intravedo
il vichingo di prima e accanto a lui quella che deve essere Josephine,
semplicemente splendida, sulla porta, che ci guarda scappare via
e capisce tutto.
Nel tragitto di ritorno fino a Stoccolma, Andrea resta zitto e guida.
Oltrepassiamo altri boschi e altri cartelli di attraversamento animali.
Evito di toccare l'argomento "Josephine" perché non mi
pare il caso di parlarne ora.
Evito di toccare argomenti diversi da "Josephine" perché
in questo momento è l'unica cosa di cui dovremmo parlare. E se c'è
una cosa che non ho mai saputo fare è cambiare argomento.
Mentre me ne sto zitto e guardo fuori dal finestrino, mi tengo occupato
a pensare cazzate. Tipo dove si arriva se si mettono in fila uno
dietro l'altro tutti gli alberi della Scandinavia.
Prima di arrivare alla capitale, mentre si allunga per prendere
le sigarette dal cruscotto, Andrea mi fa: "I vestiti pesanti
tu li hai presi?"
"Pesanti pesanti, no. Ho un paio di maglioni."
"Non è un problema. Ci fermiamo qui un paio di giorni, compriamo
quello che ci serve, e poi proseguiamo."
Quando arriviamo al raccordo di Stoccolma sono quasi le nove, c'è
ancora un sacco di luce, e le macchine procedono per file ordinate
con i fari accesi. Qui i fari vanno tenuti sempre accesi, per legge.
Più di metà sono Volvo, come quella che abbiamo affittato noi. Sicure,
massicce, coi sedili anteriori riscaldabili: potrebbero affrontare
qualsiasi condizione atmosferica, qualsiasi latitudine, qualsiasi
improvviso attraversamento animale.
Immagino dove potremmo essere tra qualche giorno. Mandrie di alci
che ci costringono a sterzare bruscamente, betulle a perdita d'occhio,
laghi e fiumi pieni di salmoni squisiti. Lapponi corpulenti, apparentemente
burberi, ma in fondo ospitali: persone semplici, taglialegna e pescatori,
sempre pronti a offrire una ciotola di zuppa calda a due forestieri.
Un paese ogni cinquanta chilometri e distributori che vendono carburante
addizionato di antigelo. Marmellata di frutti di bosco, luce fino
a notte fonda, muschi, licheni, temperature da non sottovalutare,
l'autunno sopra il circolo polare artico può essere molto rigido.
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