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NUMERO 8
DICEMBRE 98
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ALESSANDRO ZANNI
Una noche mucho mucho Santacruz
L'altra sera, prima di cena, mi telefona la Pina. La Pina, quella
che fa l'hip-hop, è amica mia ormai da anni. Praticamente l'adoro
perché ha un cuore grande così, coperto di piume di struzzo.
Comunque, mi propone di andare a casa sua a pigliarla, e di andare
insieme a vedere la presentazione del nuovo romanzo di Isabella
Santacroce, quella di "Destroy". Chiaramente io accetto
e parto alla volta di Milano, lampadina incandescente per gli
insetti di provincia come il sottoscritto.
La cosa, bisogna dirlo, mi attira perché qualche tempo fa la Pina,
sempre lei, mi ha trascinato al Tunnel, dove Isabella Santacroce
aveva in ballo un reading di roba sua e del marchese De Sade.
Quella sera, nello stanzino dietro al palco del Tunnel, avevo
conosciuto Isabella e le sue zeta zoppe da romagnola impunita
- la Pina e Isabella sono buone amiche, si leggono al telefono
tra Rimini e Milano, testi di canzoni e frammenti di romanzi.
Lo spettacolo consisteva nella lettura alternata di pezzetti scabrosi
di "Luminal", allora ancora inedito, e pezzetti di Sade
edito da tempo e scabroso dall'inizio alla fine. La musica era
punk e barocca, mi pare. Sul
palco, insieme alla Santacroce c'era un suo amico, molto molto
raffinato, completamente nudo tranne per un paio di mutande nere
con l'elastico a fascia e un paio di stivali alti di plastica
nera anche loro. Isabella e il suo amico leggevano a turno: lei
in italiano, lui in francese. E bevevano acqua minerale, in continuazione.
Litri e litri. Il palco era tutto impermeabilizzato con teloni
di plastica trasparente, e i microfoni erano avvolti nella pellicola
trasparente come due trote salmonate. A parte due sedie, c'erano
solo confezioni di bottiglie d'acqua minerale. In effetti oltre
a bere, i due si sputazzavano acqua addosso, oppure se la lasciavano
colare dalla bocca, su tutto il corpo.
La Santacroce spesso diceva "Leccatemi il culo, bastardi
non talentuosi".
Alla fine della serata ero rimasto perplesso. Credo che lo fossero
un po' tutti. Comunque mi era stata simpatica, la Santacroce,
che doveva dire cose sporchissime e fare la libertina inquietante,
invece le veniva da ridere. Ogni tanto diceva: "Vi amo, bastardi".
La presentazione di "Luminal" è in uno show-room, cioè
una specie di
stanzone pieno di vestiti, senza i vestiti per l'occasione. Raggiungere
il posto non è facile, lasciatevelo dire. La Pina ha una cosa
al cervello per
cui non sa qual è la destra e quale la sinistra. Ogni volta dice
"di qua", "di là" e non si capisce un cazzo,
non è una buona navigatrice. Comunque ad un certo punto arriviamo
in questo cortile dal quale si accede allo show-room. Fuori dalla
porta pascolano personaggi indefinibili, vestiti di tutto punto,
ma un po' ciondolanti, forse ubriachi. All'interno, un ambiente
a metà strada fra un film di Greenaway e gli incubi degli alcolisti.
La sala è rettangolare. Su uno dei lati corti c'è per terra una
teca di vetro lunga due metri con dentro l'amico di Isabella,
molto molto raffinato, senza stivali di plastica ma con le sue
belle mutande nere d'ordinanza. E' sdraiato su un fianco dentro
questa scatola di vetro chiusa. La Pina mi guarda stranita. Caccia
fuori gli occhi come un lemure del Madagascar. Nella teca di vetro,
insieme a lui, ci saranno duecento cavallette. Non volano, non
saltano (giusto una ogni tanto qua e là), più che altro stazionano
addosso al ragazzo o sui vetri. Un buon gruppetto, forse perché
sentono il calore, forse perché le cavallette sono vere intenditrici,
staziona sulle mutande nere e da lì si gode la serata.
Dalla parte opposta della sala ci sono altre due teche, ma verticali,
in legno. Solo in cima, ad altezza occhi, c'è la parte col vetro
davanti da guardare dentro. In una delle due teche c'è la testa
di una ragazza. Non mozzata, intendiamoci. La ragazza è viva e
sta in piedi tutto il tempo dentro all'armadio di legno. La sua
testa è esposta a tutti. Si muove lentamente come un pupazzo nel
castello delle streghe del lunapark. Apre e chiude gli occhi.
Intimidisce. Sono pochi quelli che si avvicinano. Ti guarda fisso
oppure ti ignora del tutto. Ci puoi anche rimanere male con una
così.
Accanto, in un altro espositore identico, quattro poveri pipistrelli
tremano terrorizzati. Sbarrano gli occhi e tremano chiusi nelle
loro ali fatte di pelle, terrorizzati dalle lampadine che li illuminano.
Dopo aver esaminato l'ambiente (c'è anche musica drum'n'bass in
sottofondo), ci serviamo al tavolo del rinfresco. C'è un vassoio
mastodontico pieno di ciliegie, che fa molto estate. Poi ci sono
dei caraffoni di gin tonic e vodka lemon. L'alcol, in queste situazioni,
è la cosa migliore. Mangiamo ciliegie e beviamo.
Arriva Isabella Santacroce, vestita come una virago. Tutta nera,
tutta piena di spacchi, calze a rete, tacco alto, trucco pesante.
A vederla così, diresti che mangia principi azzurri e caga ranocchi.
Invece, anche qui, appena vede la Pina le viene da ridere, ha
paura, è emozionata. Gira per la sala con un pavone impagliato,
montato su ruote e munito di guinzaglio. Chi ha avuto la pensata
del pavone?
Una sconosciuta con un vestito pieno di spille da balia si avvicina
alla coppia Pina-Santacroce e chiede: "Posso farti una pola?".
Seguono un flash e una risata stridula. Mi domando se la risatina
sia un ingrediente imprescindibile della tecnica fotografica della
"pola". A quanto pare, a seconda delle situazioni, può
essere sostituita da commenti come "Grazie cara!" o
"Delizioso!".
Nel frattempo arrivano pezzi grossi dell'editoria e del giornalismo
che stringono mani e sorridono. Compare anche Tommaso Labranca,
ma è molto indaffarato, pare che stasera sia lui a gestire la
cosa. E' un po' il cerimoniere.
La Pina si mette a parlare con un suo amico alto due metri di
padre serbo e madre croata (o viceversa) che vive a Bologna. La
Pina conosce tutta gente così. Il più normale come minimo ha tre
braccia e fa il cartomante.
Io riconosco Aldo Nove, lo scrittore di "Woobinda" e
"Puerto Plata Market". Mi avvicino per scambiare due
chiacchiere, visto che è più di un anno che non lo vedo. Aldo
Nove è di Varese e ci conoscevamo così, di vista. Mi presento
e lui non si ricorda. Cerca di fare mente locale, si sforza, ma
non si ricorda. Mi chiede di ripetere il mio nome, ci pensa un
po', poi scuote la testa. Non mi fa nemmeno un sorriso di circostanza.
Comunque scambiamo due parole. (Aldo Nove non è un giovialone.
Lo sapevo già. Perché mi sono avvicinato, perché?)
Nel frattempo Isabella comincia a leggere Luminal - sulla copertina,
una
statua della madonna ripetuta quattro volte. Non si capisce una
parola.
Niente. Poi ci prova Aldo Nove, legge pure lui al microfono brani
di Luminal, in piedi, accanto al dj. Niente, non si capisce niente.
Insomma alla fine salutiamo Isabella, lo jugoslavo di Bologna,
Tommaso Labranca indaffarato per un intervista televisiva, e ce
ne andiamo.
Ancora una volta perplessi. Per il modo di presentare il libro.
Per le cavallette, per i pipistrelli, per la povera decapitata.
Per Isabella che non sembra molto a suo agio a fare la vaccona
e grazie al cielo non ci crede nessuno. Per Aldo Nove che, cazzo,
un mezzo sorriso me lo potevi anche fare.
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Dicembre 2006
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FEDERICO MIOZZI
TEMA : “Racconta la tua settimana bianca”
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Dentro una batana bianc’azzurra
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In tempo di pace
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