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NUMERO 8
DICEMBRE 98
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MAURIZIO MAROTTA
Autobiografia
Nella foto che qui vedete riprodotta, con scarsa
perizia è ritratto Maurizio Marotta. L'ingenuità del ritrattista
lo ha obbligato ad assumere un atteggiamento che non gli è consono.
Quell'aria di sfrontata guapperia scritta nel sopracciglio moderatamente
sollevato e nel distaccato sguardo che vi sottostà, non riflettono
la mitezza che fu caratteristica dell'animo suo. La pipa che regge
in mano non è stata mai fumata da Marotta, e il copricapo dalla
curiosa foggia è solo un oggetto pescato lì per lì nello studio
fotografico.
Marotta, in realtà, non ha mai indossato cappelli o berretti,
neanche durante il servizio militare (che non ha prestato).
Infine, il fatto che indossi un kilt potrebbe far pensare a remote
ascendenze nordeuropee. Ma ciò non è affatto vero. Anche in questo
caso la presunzione artistica di chi ha scattato la foto ha fatto
scempio della verità per creare intorno al soggetto un'aura falsa
e pure scarsamente verosimile.
Comunque non condivisibile da chi ha avuto moto di entrare in
confidenza col Marotta o ne ha semplicemente potuto fare la conoscenza.
Tutta la sua esistenza si è consumata all'insegna del fraintendimento.
E ciò era drammaticamente vero sin dall'inizio, allorchè sua madre
voleva per forza chiamarlo Mariastella. Mille e più sarebbero
gli episodi a suffragio di questo curioso destino. Il Marotta
stesso se ne doleva facendo accenno a quelli che chiamò "i
piccoli scarti": deviazioni millimetriche dalla verità che
finivano per distruggere ogni slancio verso la serietà, la profondità,
il buonsenso addirittura..
In una intervista rilasciata poco prima che si perdessero le sue
tracce, egli disse: "E' orribile come l'intensità del dramma
mi abbia proditoriamente evitato, scansato e scartato per tutta
la vita."
Non possiamo dare qui conto di tutta la sequela dei fatti e dei
minimi accadimenti che si riferiscono al "fraintendimento",
ma ne citeremo soltanto qualcuno a titolo di esempio.
Nel 1989, presso le edizioni Barbablù di Siena, Marotta pubblica
un di una trentina di poesie dal titolo "I cappotti morti".
Attilio Lolini, esimio animatore della benemerita serie di libretti,
scriverà l'unica recensione dedicata al volume facendo riferimento
al testo "I cappotti Corti". Quella che doveva essere
un esordio letterario autentico, si trasforma in un libro dedicato
al farfallonesco mondo della moda...
In aggiunta, in quarta di copertina il libro viene identificato
come un supplemento alla rivista "Il gallo silvestre",
famosa operetta leopardiana. Il Marotta era felice di poter iniziare
la sua avventura di poeta edito sotto l'insegna di cotanto nume
tutelare. Purtroppo, per un banale errore di stampa, fu scritto
"supplemento al numero 1 de Il Gallo Silvestro", con
evidente richiamo fonico al cartone animato del gatto domestico
perennemente irretito dalla petulanza dell'uccellino Titti.
Erano piccoli segni - diceva il nostro - che gli logoravano i
nervi. Egli stesso notava come il destino si divertisse, con ridanciana
intelligenza non c'è che dire, a nascondere gli scarti dalla verità
in piccole pieghe, in anfratti, nel piccolo corpo tipografico
delle quarte di copertina, appunto.
Nel 1991 viene pubblicato il Primo Quaderno italiano di poesia.
Tra i quattro poetini del secondo novecento che lì trovano spazio,
Marotta pubblica la raccoltina "Il cielo dai balconi",
poi passata alla storia come "Il cieco sui balconi".
Quasi una poetica trasposizione de "La gatta sul tetto che
scotta".
Diverse le pubblicazioni in rivista: Lengua, La collina, Cenacoli
esoterici. Qualche saggetto pseudo-critico su un poetino di nome
Franco Ferrara. Sul poeta-poeta Sandro Penna e poco altro ancora.
Abile nell'uso della lingua, precoce talento poetico, indicato
come degno epigono di Alfonso Gatto (poeta-poeta originario di
Salerno come il Marotta, ma che il Marotta non ha mai letto),
Maurizio Marotta consegue la laurea in lettere moderne presso
l'Università di Urbino nel 1987, lascia le Marche e fa ritorno
a Salerno dove vanta la diretta conoscenza di famosi critici e
poeti.
Nella desolata vita della provincia normanno-meridionale, il nostro
affascina gli amici nei racconti del bar. Intere notti trascorrono
nella magnifica prova di affabulazione e stordimento degli ascoltatori
che più che essere cultori delle lettere sono degli ingenuotti.
E' a Salerno (nella cui provincia nacque intorno al 1963) che
egli si conquista la fama di poeta in esilio, dicendo che il Comune
di Pesaro-Urbino ha bandito lui e la sua progenie dai suoi territori.
Nel frattempo si dedica alla grafica al computer, essendosi accorto
che la vena poetica è tanto rapida a venire quanto lesta ad andarsene
(un'altro fraintendimento?).
Compone disegnini che vengono messi in rete qua e là, ma nessuno
se ne accorge (come capita a tutto ciò che è sulla rete).
Passa alla prosa. Compone racconti di varia natura e lunghezza.
Non pubblica nulla nonostante le reiterate richieste dell'editoria
nazionale e l'esortazione di amici che ritengono di avere a che
fare con una buona penna.
Per il Teatro dei Piccoli Principi di Firenze scrive il testo
"12", una scena teatrale dedicata ai ragazzini. Il testo
riscuote un enorme successo. E' tradotto in francese e in fiammingo
dopo essere stato tradotto in italiano da un suo amico.
Prima che di lui si perdesse ogni segno di presenza, Marotta stava
lavorando a due romanzi: una riscrittura de "Il Cortegiano"
di Baldassarre Castiglione, e "Al sultano Cheelì" romanzo
epistolare e picaresco.
Tuttavia, ancora oggi, si ritiene che il suo capolavoro sia "Il
senso è un imprevedibile volo di mosca", raccolta di brevi
prosette che hanno per protagonisti il pittore quattrocentesco
Berruguete, Piero il fornaio e il mondo assolato dei cani, più
alcune mongolfiere.
A quest'opera ha prestato il suo ingegno grafico anche Oreste
Zevola, illustratore napoletano.
Poche sono le altre notizie di interesse pubblico di questo autore
prematuramente dandosi per disperso. Egli trascorse gli ultimi
giorni ad Ercolano dove partorì insieme alla moglie un bambino
biondo e bellissimo che non somigliava a suo padre.
La sua casa, lontana dalla zona degli scavi, ma inclusa in quella
dei moderni disastri, è attualmente sede del Museo Provinciale
della Provola affumicata.
La foto che lo ritrae e che qui si pubblica è un autoscatto.
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Dicembre 2006
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