CARLA
DELLA BEFFA
L'anno
scorso un'amica pittrice mi aveva chiesto un testo breve che,
insieme a quello di altri autori, accompagnasse i suoi lavori
in un piccolo libro d'arte. In seguito, quando ho ricevuto una
copia del volume mi ha sopreso trovarci un suo lungo racconto
d'apertura, una sorta di diario per appunti su paesaggi, colori,
persone incontrate nei suoi percorsi umani e artistici. Conoscevo
i quadri di Carla, ma non avevo mai letto nulla di suo. Anzi,
non sapevo neppure che scrivesse. Ed è stata una vera scoperta,
perché non solo Carla scrive, ma lo fa straordinariamente bene.
E il suo talento di autrice è senza dubbio confermato dal folgorante
ritratto di sé stessa, come donna e viaggiatrice, che mi ha
consegnato per questo speciale femminile.
Incontri
E come ti riconoscerò?
Sono piccola, vestita di nero, con i capelli corti grigi e gli
occhiali.
Madonna!
Sono stata direttore creativo...
Tu?
Ci deve essere qualcosa, nel mio modo di descrivermi, che non
mi aiuta ad apparire nel migliore dei modi.
Sono siciliani. Si sente da come parlano, si vede dalle loro
facce. Si capisce da come mi si rivolgono, dal finestrino dell'auto,
arrivandomi alle spalle: mi chiamano Capo. Sono poche le regioni
dove esistono uomini bassi come me. E generalmente sono anziani.
Il giubbotto di cuoio nero, i calzoni neri, le scarpe basse:
di solito qui mi scambiano per un ragazzino.
Mi piace vestirmi da uomo, mi diverte questo tipo di equivoci.
Succede da sempre, mi sorprende ogni volta.
Pomeriggio di settembre, domenica. Tre donne giovani, belle,
alte, sexy, attillate e colorate, un po' troppo giunoniche e
culone per essere modelle, ma la statura e il passo sono quelli
giusti, da dominatrici grazie alla bellezza. Attraversano piazza
della Scala in una fascia di sole (al di qua, l'ombra portata
dei palazzi drammatizza e sottolinea i contrasti). Sulle stesse
strisce pedonali, allo stesso semaforo, nello stesso momento,
viene nella direzione opposta una loro coetanea, con le gambe
ingabbiate in due protesi, lanciando a ogni passo il suo corpo
sorretto dalle spalle e dalle stampelle.
Una donna ossuta e non bella, ma con una massa di capelli rossi
dai quali non si può distogliere lo sguardo. Dopo un caffè in
cucina, usciamo tutti insieme, sono dietro di lei. Scende le
scale come se fosse una danza.
Quando cammina è una qualunque, ma sulle scale balla. Me ne
ricordo ancora, dopo anni, e dopo averla vista non più di un
quarto d'ora. Era, è, svizzera.
L'estate scorsa a Grosseto non c'era una stanza a nessun prezzo
e avevo deciso di tornare a Milano. Mi pareva più sicuro dormire
in treno che alla stazione o su una panchina. Ero stanca e arrabbiata,
i grossetani scortesi, perfino la signorina dell'ufficio informazioni
turistiche.
Vorrei una stanza.
Ah, buona fortuna!
Come?
Non ci sono stanze, l'associazione albergatori chiude alle due,
e la disponibilità è un servizio che non abbiamo.
Questo lo vedo.
Scelgo di andare in un buon ristorante, visto che le vacanze
sono finite posso almeno trattarmi bene, e poi è un modo per
passare un po' il tempo.
Ma finisco di mangiare e è ancora molto presto, solo le nove,
il treno è all'una (arriverà in ritardo, oltretutto). Vedo un
tizio con l'aria da straniero, codino, stivaletti, gli parlano
in inglese, e decido di abbordarlo. Mi alzo, mi avvicino al
suo tavolo, gli chiedo se per favore mi fa compagnia per una
mezz'ora. Quelli della tavola vicina e la padrona del ristorante
dubitano della mia moralità, mi guardano con sospetto. Lui,
che ha passato notti negli aeroporti, come succede a chi viaggia
molto, capisce, si alza e prende il caffè a mio tavolo. Viaggia
da vent'anni, tre anni in Egitto tre in Giappone eccetera, adesso
tre in Italia, due giorni in un paesino due in un altro. Parliamo
di queste cose, i viaggi, le differenze, gli addii; alla fine
chiudono il locale e mi carico lo zaino sulle spalle. Andando,
ci presentiamo.
By the way, my name is Joe.
I'm Carla, bye.
Alla stazione poi incontro un ragazzo di Novara che mi adotta
per il viaggio. Credo che vorrebbero avere una madre come me,
o qualcosa del genere, insomma spesso i giovani sono tentati
di parlarmi, quando mi vedono in viaggio sola e con lo zaino,
con i capelli grigi e le braghe larghe e comode. Mi chiamano
signora, mi danno del lei e mi parlano, o mi coinvolgono nelle
loro discussioni. Se sono ragazzini si esibiscono nei loro giochi,
come se fossi, che so, un'insegnante o una zia simpatica, di
quelle con cui c'è una specie di complicità.
Io a trent'anni ferma alla fermata dell'autobus in via Vitruvio,
16 agosto, zaino jeans e scarpe da tennis. Leggo un giallo cominciato
in treno. Si avvicina uno con occhiali molto spessi, ci vede
appena, ha un bastone bianco di quelli telescopici con il quale
tasta il terreno per sicurezza.
Quanto?
Non sono una prostituta, rispondo dopo un attimo di esitazione,
alzando lo sguardo dal libro.
Non hai visto dove ce n'è una?
Sì, l'ho vista, è là. Indico una traversa dove sosta una con
le treccine e le perline e la minigonna i tacchi e la scollatura
della professione.
Ah sì, quella l'ho vista anch'io, ma sai, non è il mio tipo.
Io a vent'anni o poco più, incosciente e fiduciosa, che percorro
nella nebbia e nella pioggia di una sera d'inverno la scorciatoia
che porta da largo Richini a via Franceso Sforza. Passa fra
alberi, università e obitorio. Un tizio mi segue, sulla trentina.
Mi avvicina. Dice Ho bisogno di una donna, mi capisci? Tu mi
piaci, forse puoi aiutarmi. La luce del lampione sfiora di traverso
le nostre mani. Non ci mette molto.
Non sono più passata di lì. Hanno spostato l'obitorio da anni.
Sera d'estate molto calda, giugno, ora legale. Aspetto il tram
leggendo il giornale. Auto che arriva, due ragazzi che dicono
Sali!, perentori. Abbasso il giornale e li guardo, Grazie, aspetto
il tram. Colgo uno sguardo, il guidatore ha una pistola in mano.
Non capisco più niente, non vedo più niente, c'è solo un urlo
che mi riempie le orecchie (urlo davvero?). Che cosa terribile,
la paura. Arriva il tram e loro sono contromano sulle rotaie,
accelerano e vanno. Io corro al bar più vicino, mi vedono entrare
così pallida che mi offrono un bicchier d'acqua. Pare che sia
un rimedio universale contro gli shock. Poi un tizio in motorino,
gentile ma poco dotato di intuito, mi accompagna a un taxi,
e dice Sai a volte i tassisti stessi...
Una sera d'estate, ho cambiato casa da poco. Un ragazzo mi chiede
mille lire, gli dico Sono uscita con il cane, non ho niente.
Mi strappa la collana. La cosa che mi fa rabbia è che il cane
gli stava facendo le feste.
Mi fa male il collo e sono spaventata. Quella sera prendo l'ultimo
mezzo tavor della mia vita. Ancora quindici anni dopo quando
vedo passare quel tale mi si raggrinza qualcosa dentro.
Vivo sola da anni A volte ho bisogno di dividere le cose con
qualcuno, a volte cerco l'isolamento. Da qualche anno lavoro
sola. In silenzio, concentrata. Certe mattine mi alzo e attacco
a lavorare, poi arrivo a sera e non ho ancora visto parlato
con nessuno. Allora esco per vedere facce, per sentire voci.
Certe sere mi basta prendere un tram, guardarmi intorno. Vado
in centro e poi torno a casa, senza parlare con nessuno.
Poi naturalmente ci sono gli amici. Anche un fidanzato, in certi
periodi.