A
differenza della maggior parte delle persone pubblicate
su 'tina, Angela è una delle poche che può affermare di vivere
di ciò che scrive. Caposervizi di un'importante mensile di turismo,
alterna il lavoro di scrivania con quello di reporter in giro
per il mondo.
Ma la passione di Angela per la scrittura non si esaurisce coi
raconti di viaggio. Qualche anno fa aveva prodotto un romanzo
ambientato nei primi anni 70, rimasto poi inedito. Oggi, con
nuovo spirito e diversa maturità, sta scrivendo un nuovo romanzo
dedicato alla cosiddetta "cocktail generation". Quello
che segue è un'anticipazione del primo capitolo ed è anche l'occasione
per riprendere la bella tradizione di 'tina di pubblicare i
work in progress.
Cocktail
1. A volte penso che dovrei fidanzarmi con Ted. Intendo dire
che forse dovrei farlo credere. Né potrei fare diversamente,
comunque, dato che Ted non esiste.
Ho letto una notizia che ne parla, non ricordo su quale quotidiano,
un po' di tempo fa. Diceva che in America, dove questo affascinante
giovanotto è stato creato, la sua presenza ha reso spesso tutti
soddisfatti.
Ted è soltanto una scatola contenente finte lettere, finte foto,
finte buste con francobollo di varie nazioni, e soprattutto
la finta identità di uno spasimante fantasma che aiuta a rendere
plausibile un legame irreale. Serve per tranquillizzare le sorelle
e le amiche sposate, che non concepiscono una vita solitaria
com'è oggi quella di molte donne. Com'è la mia.
La biografia di Ted è stata definita dopo attente ricerche di
mercato: un medico molto impegnato nei paesi del Terzo Mondo,
al quale per adesso è impossibile raggiungere la compagna che
ama. Così si giustifica la sua corrispondenza fitta e appassionata,
con cui cerca di esserle sempre vicino.
2. C'è una parte di me che se ne sta sempre seduta, accucciata,
sull'ultimo scaffale in cima alla libreria, nello studio.
Sta lassù perché dall'alto riesce ad avere una visione più oggettiva
e critica di tutto quello che faccio, una visione che non si
fa condizionare dalle emozioni e da un approccio ipersensibile
con la realtà; che sa smorzare i toni, sfumare i giudizi: tutte
cose che a me non riescono bene, perché tendo a essere molto
drastica nelle mie decisioni, senza mezze misure.
Il mio nome è Chiara. L'altra parte di me è perciò Chiara-sulla-libreria:
un'entità più equilibrata, tollerante, saggia e ironica di quanto
io non sia. E che mi tiene compagnia.
3. Faccio l'architetto, e dall'inizio di quest'anno lavoro in
un nuovo studio che mi piace molto. Le stanze sono tutte bianche
e soleggiate, e ogni finestra dà sui tetti del centro di Milano.
Quando sono seduta alla scrivania vedo soltanto qualche comignolo
e una grande fetta di cielo. Quassù i rumori del traffico arrivano
molto attutiti e non disturbano l'ascolto della musica che ognuno
di noi coltiva senza interruzione, da quando arriviamo in ufficio
a quando andiamo via.
Quasi tutti preferiamo la musica classica, o gli autori italiani
di oggi; e se vado nella stanza di un collega, in genere so
riconoscere il brano, o l'interprete, che in quel momento è
in onda, cosa che mi dà sempre una piccola soddisfazione.
In fondo al corridoio, nell'ultimo degli uffici, c'è un ragazzo
carino che lavora da solo. Un tipo taciturno che se ne sta in
disparte.
Ho notato che il suo tavolo è sempre in ordine; che non sorride
mai; che tutti gli vogliono bene. Eppure, l'architetto con cui
per ora ho più confidenza ha saputo dirmi poco di lui. Si chiama
Tommaso; è considerato serio, preciso, responsabile. Io posso
aggiungere che ha molte cassette di musica a me del tutto sconosciute.
Mi oriento a malapena nel genere: jazz, classico, popolare;
ma per quanto riguarda i titoli e gli autori, buio completo.
4. Il mio problema più serio è che stare da sola mi piace moltissimo.
Mi diverto a passeggiare, andare al cinema o al ristorante,
e a viaggiare da sola. Ma in modo particolare mi piace stare
a casa, il luogo in cui io mi rigenero lontano da tutti, e rifletto
su quanto mi accade, mentre giro per le stanze, controllando
che non ci siano briciole o batuffoli di polvere sul pavimento,
guardando le altre finestre da dietro i vetri delle mie, ascoltando
piccoli rumori familiari. Trovo bellissimo il modo in cui questi
accentuano e sottolineano il silenzio che regna fra le quattro
mura e invitano al torpore: soprattutto nelle domeniche di sole,
quando anche il brusio della città si ferma. Allora considero
irresistibile trascorrere la giornata leggendo, protetta dal
telefono staccato, o pisoleggiando sul divano, in attesa dell'ora
del tè.
Sarebbe perfetto se Chiara-sulla-libreria non stesse sempre
a fissarmi con aria di apparente tolleranza, in realtà con un'espressione
di rimprovero. L'avverto benissimo; e a volte mi fa diventare
nervosa.
Lei non è d'accordo su questo continuo bisogno di isolamento.
Sa che io, senza il suo atteggiamento critico, mi lascerei avviluppare
troppo dalla solitudine, fino a perdere il senso della realtà
e della socievolezza.
Mi tocca sempre scendere a patti, alla fine; anche se non cedo
mai senza prima avere affermato in modo categorico la mia capacità
di autocontrollo. Ma in fondo so che ha ragione; e mi sono già
placata quando lei, intenzionata quanto me a chiudere la questione,
mi invita a fare come preferisco, e aggiunge solo: "Cerca
di non esagerare".
Il problema al quale accennavo, comunque, non nasce con l'altra
Chiara, ma con quelli che mi circondano: i quali tendono a considerare
un po' sospetta la mia introversione.
5. Mettere a fuoco questo problema non è semplice. Sabato scorso,
per esempio, ho passato un'intera giornata con un amico: un
evento piuttosto eccezionale nel mio stile di vita. Abbiamo
la stessa età, quarant'anni compiuti; lui vive a Roma, e ci
vediamo quindi molto raramente. Lo conosco da quando eravamo
all'università, e siccome da allora è passato molto tempo, ci
sono stati periodi anche lunghissimi (quattro-cinque anni) durante
i quali ogni contatto si è interrotto. Eppure, quando lo sento
per telefono, quando ho la possibilità di incontrarlo, provo
una gioia autentica. E mi entusiasmo quando mi dà sue notizie,
o mi fa una sorpresa: "Pronto, sono Marco" mi dice.
"Sono a Milano." Io gli chiedo subito come sta, e
poi cominciamo a ridere, senza riuscire a continuare la conversazione.
Non si sa perché ridiamo. Forse per una forma di sintonia tra
me e lui del tutto esclusiva. Una risatina lunga e sommessa
con la quale comunichiamo.
Marco è un amico di secondo livello, per dirla con una mia personale
definizione: cioè un amico lontano, o che posso comunque frequentare
poco, del cui affetto mi sento però sempre sicura.
Gli amici di primo livello, invece, sono quelli vicini, che
posso vedere anche tutti i giorni, a cui telefono spesso, e
con i quali c'è sempre qualche cosa di interessante da discutere.
In questo momento, amici di primo livello non ne ho.
6. Tommaso continua ad ascoltare musiche di cui non conosco
né titolo né interprete. All'ora di pranzo prende il giornale
e lo mette in tasca, saluta a voce bassa ed esce: forse incontra
qualcuno.
Pochi minuti dopo scendo anch'io, con gli altri colleghi. Si
mangia in fretta un panino, farcito del vociare che pervade
il locale. Anche nel bicchiere d'acqua salgono a galla bollicine
di risate stridule; quando raggiungono la superficie svaniscono
con un tintinnio petulante di cucchiaini, tazzine da caffè,
piattini che si urtano nel lavello. Un collega mi parla: chissà
perché si esprime col rumore pesante e cadenzato del tram che
corre sulle rotaie, nella via accanto. Le bustine di zucchero
sono tutte dotate di antifurto, ormai: strappi un angolino e
parte una sirena lacerante, un suono che toglie il fiato.
Quando rientriamo, Tommaso è di nuovo chino sul suo lucido.
Ora ascolta musica dodecafonica e vorrei farmi coraggio, entrare
a chiedergli che cos'è. Ma il fumo della sua sigaretta si avvolge
nell'aria, resta sospeso sulla porta della stanza, e forma l'eterea,
categorica scritta non disturbare.
7. Potrei semplicemente salutarlo e chiedergli come sta. Il
fatto è che questa ipotesi mi dà un lieve malessere, mi fa sentire
disonesta.
Ci rifletto oggi che è sabato e non sono al lavoro, cercando
di esaminare la situazione a mente fredda.
Con la coda dell'occhio spio l'altra Chiara e vedo benissimo
che sta per ridere, anche se cerca di trattenersi.
Pensa, naturalmente, che sono esagerata, e che sto costruendo
uno dei miei soliti castelli teorici del tutto sproporzionati
rispetto all'entità del problema: il quale, secondo lei, non
esiste.
Ma oggi sono intenzionata a non darle soddisfazione; cerco di
ignorarla; e continuo ad arrovellarmi per Tommaso, pensando
al modo più diretto per conoscerlo.
8. Anche i libri sono miei grandi amici.
Leggere è importante; arricchisce; insegna a usare bene l'italiano;
si diventa più istruiti, più colti.
Ecco alcune considerazioni davvero banali, che per moltissimo
tempo non sono stata in grado di superare, per quanto mi irritassero.
Non riuscivo ad andare oltre la loro ovvietà del tutto insoddisfacente.
Non sapevo rispondere alle domande: "perché bisogna leggere?
perché io leggo tanto?".
A volte, quando non so che cosa leggere, mi siedo sul divano
dello studio, il mento fra le mani, i gomiti sulle ginocchia,
e guardo gli scaffali di fronte a me, dove si allineano i dorsi
colorati delle copertine.
Io divido i libri per nazioni; ma solo in due grandi categorie.
Da una parte la letteratura anglosassone, cioè inglese e americana;
sui rimanenti ripiani tutte le altre insieme, un po' alla rinfusa.
Degli scaffali anglosassoni uno è riservato a Shakespeare.
9. New York è la città nella quale vorrei vivere, per il semplice
fatto che lì mi sento a casa come in nessun altro luogo. Questo
è un dato inspiegabile, a meno di non credere che, in una vita
precedente, io abbia sempre vissuto tra Village, Soho e Central
Park. Ogni volta, appena le ruote dell'aereo toccano la pista
del JFK, davanti alla visione granitica di Manhattan, in lontananza,
provo sempre lo stesso tuffo al cuore. Moltissime persone amano
New York; ma nello stesso modo anche Londra e Parigi. Invece
per me New York è la città delle città, e le contiene tutte.
E ogni cosa, a New York, è quella cosa e, nello stesso tempo,
il simbolo di tutte le cose come quella; e ciò avviene per una
misteriosa loro forza interiore, che prescinde da ogni oggettivo,
intrinseco valore. Per esempio, la gioielleria delle gioiellerie
di tutto il mondo è Tiffany, sulla Quinta strada. La Quinta
strada è la Quinta strada; ma è anche la strada delle strade.
E così, il Metropolitan è il museo dei musei. L'Empire State
Building, il grattacielo dei grattacieli.
Conoscere New York evita di doversi disperdere in altre metropoli.
In questo modo avanza un sacco di tempo, che può essere felicemente
impiegato a leggere.
10. Infine ho capito perché mi appassiono tanto ai libri. E'
perché aiutano a diventare più amabili con gli altri. E insegnano
ad ascoltarli.
Nei libri si trovano infiniti soggetti psicologici, con le loro
innumerevoli storie, avventure e disavventure; eroi positivi
ed eroi negativi; e anche di questi ultimi, di pagina in pagina,
ascoltiamo con pazienza le ragioni.
Alla fine di un libro, abbiamo vissuto profondamente una vicenda,
ci siamo identificati con i suoi protagonisti, scoprendo i mille
risvolti delle reazioni umane di fronte allo scorrere degli
eventi.
La lettura perciò rende calmi di fronte al prossimo, disposti
ad ascoltarlo, con una gentilezza d'animo, disponibilità e serenità
che non si conquistano in nessun altro modo.
A Tommaso, ora lo so, voglio parlare di un libro che per me
è molto importante. Gli chiederò se lo conosce, gli racconterò
di che cosa parla.
E capirò subito se gli importa di me.
11. Da quassù, dallo scaffale più alto della libreria, io, la
Chiara-più-saggia, osservo il lento cammino della coscienza
di Chiara. Prudente, tenace cammino lungo un perenne sbocciare.
Non siamo più bambine noi due, Chiara e Chiara. Eppure non si
smette mai di sbocciare.
12. Con Tommaso sono riuscita a parlare una mattina di qualche
giorno fa. Ero arrivata presto al lavoro, e non c'era ancora
nessuno tranne lui. L'ho guardato per un po' stando sulla porta,
senza che si accorgesse di me.
Il caffè, la sigaretta accesa, la musica, la planimetria del
progetto sul tavolo: sembrava fosse lì da ore.
Sono entrata e l'ho salutato, e mi ha risposto senza sorridere.
Gli ho chiesto se aveva passato bene il fine settimana; e ho
subito aggiunto che per me era stato piacevole, e che avevo
riletto Dedalus, di James Joyce.
"Lo conosci?" ho detto ancora.
Allora mi ha guardato fisso, e in una frazione di secondo ha
adeguato il suo stato d'animo al mio, ha trasformato la piatta
cortesia tra colleghi in una disponibilità più ricettiva.
13. Tommaso fa parte della cocktail generation.
Per l'aperitivo telefona a qualche amico e lo incontra in un
locale della zona, in genere fra le sette e le otto di sera.
Questo appuntamento è forse il più significativo del suo vivere
quotidiano, il momento in cui abbandona la tensione della giornata
di lavoro e si guarda intorno, e si guarda dentro, prima di
pensare alla serata.
Tommaso, vengo a scoprire, ha quasi dieci anni meno di me, e
si riconosce nei giovani, che ancora studiano o già lavorano,
i quali hanno come punto di aggregazione il bar, la birreria,
e tutta quella serie di luoghi dove si beve qualche cosa, si
incontrano vecchi compagni del liceo o nuovi colleghi, si discute
e si scherza.
Le rare volte in cui sono entrata in uno di questi locali, osservando
i ragazzi seduti ai tavolini sono sempre rimasta colpita dai
loro occhi sorridenti, segnati immancabilmente da un lampo di
fragilità, di smarrimento.
Non amo questi ambienti, spesso arredati con colori aspri, assordati
da una musica martellante, dove servono bevande a un tasso alcolico
troppo elevato per i miei gusti.
14. Quando Tommaso mi ha proposto di vederci dopo il lavoro,
per l'aperitivo, mi sono sentita quindi un po' a disagio; ma
non potevo certo fare obiezioni, dopo tutta la fatica che c'è
voluta per arrivare a parlargli.
Mi ha portata in un locale piccolo e carino che dallo studio
si raggiunge a piedi. Ci siamo seduti in un angolo, dove la
musica arrivava attutita.
Ha ordinato un Negroni, io un pomodoro condito.
E le nostre scelte saranno sempre queste, per tutta la durata
del nostro rapporto, per i prossimi anni.