NUMERO 6
GIUGNO 98

 

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ANGELA MESSINA

 

A differenza della maggior parte delle persone pubblicate su 'tina, Angela è una delle poche che può affermare di vivere di ciò che scrive. Caposervizi di un'importante mensile di turismo, alterna il lavoro di scrivania con quello di reporter in giro per il mondo.
Ma la passione di Angela per la scrittura non si esaurisce coi raconti di viaggio. Qualche anno fa aveva prodotto un romanzo ambientato nei primi anni 70, rimasto poi inedito. Oggi, con nuovo spirito e diversa maturità, sta scrivendo un nuovo romanzo dedicato alla cosiddetta "cocktail generation". Quello che segue è un'anticipazione del primo capitolo ed è anche l'occasione per riprendere la bella tradizione di 'tina di pubblicare i work in progress.

Cocktail

1. A volte penso che dovrei fidanzarmi con Ted. Intendo dire che forse dovrei farlo credere. Né potrei fare diversamente, comunque, dato che Ted non esiste.
Ho letto una notizia che ne parla, non ricordo su quale quotidiano, un po' di tempo fa. Diceva che in America, dove questo affascinante giovanotto è stato creato, la sua presenza ha reso spesso tutti soddisfatti.
Ted è soltanto una scatola contenente finte lettere, finte foto, finte buste con francobollo di varie nazioni, e soprattutto la finta identità di uno spasimante fantasma che aiuta a rendere plausibile un legame irreale. Serve per tranquillizzare le sorelle e le amiche sposate, che non concepiscono una vita solitaria com'è oggi quella di molte donne. Com'è la mia.
La biografia di Ted è stata definita dopo attente ricerche di mercato: un medico molto impegnato nei paesi del Terzo Mondo, al quale per adesso è impossibile raggiungere la compagna che ama. Così si giustifica la sua corrispondenza fitta e appassionata, con cui cerca di esserle sempre vicino.

2. C'è una parte di me che se ne sta sempre seduta, accucciata, sull'ultimo scaffale in cima alla libreria, nello studio.
Sta lassù perché dall'alto riesce ad avere una visione più oggettiva e critica di tutto quello che faccio, una visione che non si fa condizionare dalle emozioni e da un approccio ipersensibile con la realtà; che sa smorzare i toni, sfumare i giudizi: tutte cose che a me non riescono bene, perché tendo a essere molto drastica nelle mie decisioni, senza mezze misure.
Il mio nome è Chiara. L'altra parte di me è perciò Chiara-sulla-libreria: un'entità più equilibrata, tollerante, saggia e ironica di quanto io non sia. E che mi tiene compagnia.

3. Faccio l'architetto, e dall'inizio di quest'anno lavoro in un nuovo studio che mi piace molto. Le stanze sono tutte bianche e soleggiate, e ogni finestra dà sui tetti del centro di Milano. Quando sono seduta alla scrivania vedo soltanto qualche comignolo e una grande fetta di cielo. Quassù i rumori del traffico arrivano molto attutiti e non disturbano l'ascolto della musica che ognuno di noi coltiva senza interruzione, da quando arriviamo in ufficio a quando andiamo via.
Quasi tutti preferiamo la musica classica, o gli autori italiani di oggi; e se vado nella stanza di un collega, in genere so riconoscere il brano, o l'interprete, che in quel momento è in onda, cosa che mi dà sempre una piccola soddisfazione.
In fondo al corridoio, nell'ultimo degli uffici, c'è un ragazzo carino che lavora da solo. Un tipo taciturno che se ne sta in disparte.
Ho notato che il suo tavolo è sempre in ordine; che non sorride mai; che tutti gli vogliono bene. Eppure, l'architetto con cui per ora ho più confidenza ha saputo dirmi poco di lui. Si chiama Tommaso; è considerato serio, preciso, responsabile. Io posso aggiungere che ha molte cassette di musica a me del tutto sconosciute. Mi oriento a malapena nel genere: jazz, classico, popolare; ma per quanto riguarda i titoli e gli autori, buio completo.

4. Il mio problema più serio è che stare da sola mi piace moltissimo.
Mi diverto a passeggiare, andare al cinema o al ristorante, e a viaggiare da sola. Ma in modo particolare mi piace stare a casa, il luogo in cui io mi rigenero lontano da tutti, e rifletto su quanto mi accade, mentre giro per le stanze, controllando che non ci siano briciole o batuffoli di polvere sul pavimento, guardando le altre finestre da dietro i vetri delle mie, ascoltando piccoli rumori familiari. Trovo bellissimo il modo in cui questi accentuano e sottolineano il silenzio che regna fra le quattro mura e invitano al torpore: soprattutto nelle domeniche di sole, quando anche il brusio della città si ferma. Allora considero irresistibile trascorrere la giornata leggendo, protetta dal telefono staccato, o pisoleggiando sul divano, in attesa dell'ora del tè.
Sarebbe perfetto se Chiara-sulla-libreria non stesse sempre a fissarmi con aria di apparente tolleranza, in realtà con un'espressione di rimprovero. L'avverto benissimo; e a volte mi fa diventare nervosa.
Lei non è d'accordo su questo continuo bisogno di isolamento. Sa che io, senza il suo atteggiamento critico, mi lascerei avviluppare troppo dalla solitudine, fino a perdere il senso della realtà e della socievolezza.
Mi tocca sempre scendere a patti, alla fine; anche se non cedo mai senza prima avere affermato in modo categorico la mia capacità di autocontrollo. Ma in fondo so che ha ragione; e mi sono già placata quando lei, intenzionata quanto me a chiudere la questione, mi invita a fare come preferisco, e aggiunge solo: "Cerca di non esagerare".
Il problema al quale accennavo, comunque, non nasce con l'altra Chiara, ma con quelli che mi circondano: i quali tendono a considerare un po' sospetta la mia introversione.

5. Mettere a fuoco questo problema non è semplice. Sabato scorso, per esempio, ho passato un'intera giornata con un amico: un evento piuttosto eccezionale nel mio stile di vita. Abbiamo la stessa età, quarant'anni compiuti; lui vive a Roma, e ci vediamo quindi molto raramente. Lo conosco da quando eravamo all'università, e siccome da allora è passato molto tempo, ci sono stati periodi anche lunghissimi (quattro-cinque anni) durante i quali ogni contatto si è interrotto. Eppure, quando lo sento per telefono, quando ho la possibilità di incontrarlo, provo una gioia autentica. E mi entusiasmo quando mi dà sue notizie, o mi fa una sorpresa: "Pronto, sono Marco" mi dice. "Sono a Milano." Io gli chiedo subito come sta, e poi cominciamo a ridere, senza riuscire a continuare la conversazione. Non si sa perché ridiamo. Forse per una forma di sintonia tra me e lui del tutto esclusiva. Una risatina lunga e sommessa con la quale comunichiamo.
Marco è un amico di secondo livello, per dirla con una mia personale definizione: cioè un amico lontano, o che posso comunque frequentare poco, del cui affetto mi sento però sempre sicura.
Gli amici di primo livello, invece, sono quelli vicini, che posso vedere anche tutti i giorni, a cui telefono spesso, e con i quali c'è sempre qualche cosa di interessante da discutere.
In questo momento, amici di primo livello non ne ho.

6. Tommaso continua ad ascoltare musiche di cui non conosco né titolo né interprete. All'ora di pranzo prende il giornale e lo mette in tasca, saluta a voce bassa ed esce: forse incontra qualcuno.
Pochi minuti dopo scendo anch'io, con gli altri colleghi. Si mangia in fretta un panino, farcito del vociare che pervade il locale. Anche nel bicchiere d'acqua salgono a galla bollicine di risate stridule; quando raggiungono la superficie svaniscono con un tintinnio petulante di cucchiaini, tazzine da caffè, piattini che si urtano nel lavello. Un collega mi parla: chissà perché si esprime col rumore pesante e cadenzato del tram che corre sulle rotaie, nella via accanto. Le bustine di zucchero sono tutte dotate di antifurto, ormai: strappi un angolino e parte una sirena lacerante, un suono che toglie il fiato.
Quando rientriamo, Tommaso è di nuovo chino sul suo lucido. Ora ascolta musica dodecafonica e vorrei farmi coraggio, entrare a chiedergli che cos'è. Ma il fumo della sua sigaretta si avvolge nell'aria, resta sospeso sulla porta della stanza, e forma l'eterea, categorica scritta non disturbare.

7. Potrei semplicemente salutarlo e chiedergli come sta. Il fatto è che questa ipotesi mi dà un lieve malessere, mi fa sentire disonesta.
Ci rifletto oggi che è sabato e non sono al lavoro, cercando di esaminare la situazione a mente fredda.
Con la coda dell'occhio spio l'altra Chiara e vedo benissimo che sta per ridere, anche se cerca di trattenersi.
Pensa, naturalmente, che sono esagerata, e che sto costruendo uno dei miei soliti castelli teorici del tutto sproporzionati rispetto all'entità del problema: il quale, secondo lei, non esiste.
Ma oggi sono intenzionata a non darle soddisfazione; cerco di ignorarla; e continuo ad arrovellarmi per Tommaso, pensando al modo più diretto per conoscerlo.

8. Anche i libri sono miei grandi amici.
Leggere è importante; arricchisce; insegna a usare bene l'italiano;
si diventa più istruiti, più colti.
Ecco alcune considerazioni davvero banali, che per moltissimo tempo non sono stata in grado di superare, per quanto mi irritassero.
Non riuscivo ad andare oltre la loro ovvietà del tutto insoddisfacente.
Non sapevo rispondere alle domande: "perché bisogna leggere? perché io leggo tanto?".
A volte, quando non so che cosa leggere, mi siedo sul divano dello studio, il mento fra le mani, i gomiti sulle ginocchia, e guardo gli scaffali di fronte a me, dove si allineano i dorsi colorati delle copertine.
Io divido i libri per nazioni; ma solo in due grandi categorie. Da una parte la letteratura anglosassone, cioè inglese e americana; sui rimanenti ripiani tutte le altre insieme, un po' alla rinfusa. Degli scaffali anglosassoni uno è riservato a Shakespeare.

9. New York è la città nella quale vorrei vivere, per il semplice fatto che lì mi sento a casa come in nessun altro luogo. Questo è un dato inspiegabile, a meno di non credere che, in una vita precedente, io abbia sempre vissuto tra Village, Soho e Central Park. Ogni volta, appena le ruote dell'aereo toccano la pista del JFK, davanti alla visione granitica di Manhattan, in lontananza, provo sempre lo stesso tuffo al cuore. Moltissime persone amano New York; ma nello stesso modo anche Londra e Parigi. Invece per me New York è la città delle città, e le contiene tutte. E ogni cosa, a New York, è quella cosa e, nello stesso tempo, il simbolo di tutte le cose come quella; e ciò avviene per una misteriosa loro forza interiore, che prescinde da ogni oggettivo, intrinseco valore. Per esempio, la gioielleria delle gioiellerie di tutto il mondo è Tiffany, sulla Quinta strada. La Quinta strada è la Quinta strada; ma è anche la strada delle strade. E così, il Metropolitan è il museo dei musei. L'Empire State Building, il grattacielo dei grattacieli.
Conoscere New York evita di doversi disperdere in altre metropoli. In questo modo avanza un sacco di tempo, che può essere felicemente impiegato a leggere.

10. Infine ho capito perché mi appassiono tanto ai libri. E' perché aiutano a diventare più amabili con gli altri. E insegnano ad ascoltarli.
Nei libri si trovano infiniti soggetti psicologici, con le loro innumerevoli storie, avventure e disavventure; eroi positivi ed eroi negativi; e anche di questi ultimi, di pagina in pagina, ascoltiamo con pazienza le ragioni.
Alla fine di un libro, abbiamo vissuto profondamente una vicenda, ci siamo identificati con i suoi protagonisti, scoprendo i mille risvolti delle reazioni umane di fronte allo scorrere degli eventi.
La lettura perciò rende calmi di fronte al prossimo, disposti ad ascoltarlo, con una gentilezza d'animo, disponibilità e serenità che non si conquistano in nessun altro modo.
A Tommaso, ora lo so, voglio parlare di un libro che per me è molto importante. Gli chiederò se lo conosce, gli racconterò di che cosa parla.
E capirò subito se gli importa di me.

11. Da quassù, dallo scaffale più alto della libreria, io, la Chiara-più-saggia, osservo il lento cammino della coscienza di Chiara. Prudente, tenace cammino lungo un perenne sbocciare. Non siamo più bambine noi due, Chiara e Chiara. Eppure non si smette mai di sbocciare.

12. Con Tommaso sono riuscita a parlare una mattina di qualche giorno fa. Ero arrivata presto al lavoro, e non c'era ancora nessuno tranne lui. L'ho guardato per un po' stando sulla porta, senza che si accorgesse di me.
Il caffè, la sigaretta accesa, la musica, la planimetria del progetto sul tavolo: sembrava fosse lì da ore.
Sono entrata e l'ho salutato, e mi ha risposto senza sorridere. Gli ho chiesto se aveva passato bene il fine settimana; e ho subito aggiunto che per me era stato piacevole, e che avevo riletto Dedalus, di James Joyce.
"Lo conosci?" ho detto ancora.
Allora mi ha guardato fisso, e in una frazione di secondo ha adeguato il suo stato d'animo al mio, ha trasformato la piatta cortesia tra colleghi in una disponibilità più ricettiva.

13. Tommaso fa parte della cocktail generation.
Per l'aperitivo telefona a qualche amico e lo incontra in un locale della zona, in genere fra le sette e le otto di sera. Questo appuntamento è forse il più significativo del suo vivere quotidiano, il momento in cui abbandona la tensione della giornata di lavoro e si guarda intorno, e si guarda dentro, prima di pensare alla serata.
Tommaso, vengo a scoprire, ha quasi dieci anni meno di me, e si riconosce nei giovani, che ancora studiano o già lavorano, i quali hanno come punto di aggregazione il bar, la birreria, e tutta quella serie di luoghi dove si beve qualche cosa, si incontrano vecchi compagni del liceo o nuovi colleghi, si discute e si scherza.
Le rare volte in cui sono entrata in uno di questi locali, osservando i ragazzi seduti ai tavolini sono sempre rimasta colpita dai loro occhi sorridenti, segnati immancabilmente da un lampo di fragilità, di smarrimento.
Non amo questi ambienti, spesso arredati con colori aspri, assordati da una musica martellante, dove servono bevande a un tasso alcolico troppo elevato per i miei gusti.

14. Quando Tommaso mi ha proposto di vederci dopo il lavoro, per l'aperitivo, mi sono sentita quindi un po' a disagio; ma non potevo certo fare obiezioni, dopo tutta la fatica che c'è voluta per arrivare a parlargli.
Mi ha portata in un locale piccolo e carino che dallo studio si raggiunge a piedi. Ci siamo seduti in un angolo, dove la musica arrivava attutita.
Ha ordinato un Negroni, io un pomodoro condito.
E le nostre scelte saranno sempre queste, per tutta la durata del nostro rapporto, per i prossimi anni.

 
Dicembre 2006

 

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TEMA : “Racconta la tua settimana bianca”

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