NUMERO 4
OTTOBRE 1997
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FABIO
LUBRANO
Tutti
coloro che scrivono hanno avuto nella loro vita esperienze più o
meno drammatiche nel rapporto con eventuali editori, ma penso che
un iter così grottesco come quello di Fabio Lubrano sia decisamente
unico.
Questo racconto (che in realtà è una semplice cronaca degli eventi,
e infatti si distacca molto dalla tipica prosa lubraniana) è nato
da un mio esplicito suggerimento a Fabio, dopo che lui mi ha raccontato
la sua ennesima delusione editoriale, perché pensavo che una storia
del genere valeva la pena di essere raccontata, per consolarci un
po tutti. E se io stesso compaio nel racconto, sempre presentato
come una sorta di supereroe buono, è solo perché un comportamento
di spontanea collaborazione dopo tante delusioni deve essere sembrato
a Fabio un atteggiamento di gentilezza sovrumana. E poi Fabio è
un buonista.
CURRICULUM
VITAE
Nellagosto
del l992 pubblicai il mio primo racconto sul quotidiano La Repubblica:
s'intitolava lamore, vedi e arrivò tra i finalisti
del concorso Milano ad agosto. Nel mio racconto unamabile
coppia di fidanzati passeggiava per Milano discutendo dei possibili
significati della parola amore mentre massacrava chiunque gli capitasse
sotto tiro. Spedii il racconto via fax alla redazione milanese di
Repubblica (non possedendo un fax andai a spedirlo alla posta di
Piazza Cordusio: 6000 lire una pagina, nel 1992, ma non ha importanza)
che era mercoledì. Domenica mattina, con gli occhi ancora pesanti
di sonno aprii Repubblica alle pagine di Milano. Lo sguardo si posò
subito su LAMORE, VEDI scritto in grassetto in alto e poi
su Fabio Lubrano piccolo e in corsivo. Gli occhi si alleggerirono
subito. Il mio primo racconto pubblicato! Tornai in edicola e chiesi
alledicolante allibito altre quindici copie del giornale.
Qualche giorno dopo ricevetti una lettera da parte della redazione:
si complimentavano per il racconto e m'invitavano in Via Alessandrini
a ritirare il premio riservato ai finalisti. Ci andai immediatamente,
pieno di curiosità: chissà cosera, non qualcosa di grande,
questo certamente no, però sicuramente collegato con il fatto di
scrivere. Ritirai il premio: una radiosveglia da viaggio. Che per
uno che era rimasto tutta lestate a Milano e non aveva trovato
niente di meglio da fare che scrivere un racconto su due psicopatici
mi sembrò uninconsapevole ma geniale presa per il culo.
Nel
settembre del l992, sullonda dellentusiasmo di quella
prima pubblicazione, decisi di scrivere un libro composto da racconti
tutti di due pagine, sulla falsariga di lamore, vedi.
Lo intitolai racconti per chi non ha tempo di leggerli e
lo spedii a Firenze al concorso Nuovi Autori. Nel gennaio
del 1993 arrivò la prima lettera di risposta: ero arrivato in finale.
A febbraio la seconda: purtroppo non avevo vinto ma leditore
intendeva pubblicare il mio libro ugualmente. A marzo la terza:
contratto con clausola di pubblicazione. Dovevo comprare 700 copie
del mio libro anticipatamente, per coprire le spese di pubblicazione.
Ad aprile la quarta: siccome leditore aveva pensato di presentare
il mio libro al Salone di Torino, avevano urgentemente bisogno di
una risposta. Ero interessato alla loro proposta o no? A maggio
risposi: Gentile Firenze Libri, non sono interessato alla Vostra
proposta di pubblicazione. Distinti saluti, Fabio Lubrano. A
giugno mi mandarono il mio libro indietro.
Nel
luglio del l993 spedii il dattiloscritto a Stampa Alternativa, insieme
ad una lettera con la quale spiegavo che il tipo di racconti che
avevo scritto mi sembrava potesse essere coerente con la linea editoriale
dei millelire. A settembre trovai nella cassetta delle lettere un
plico giallo inviatomi dal Senato della Repubblica. Le sopracciglia
andarono a nascondersi nei capelli. Aprii il plico sospettando uno
sbaglio di persona. Dentro cerano i racconti per chi non
ha tempo di leggerli. Le sopracciglia si posizionarono sulla
nuca. Come avevano fatto i miei racconti ad arrivare in Senato?
E soprattutto: perché me li restituivano? Vidi una lettera. Capii.
Percorrendo misteriose strade laterali, Loro erano riusciti ad impossessarsi
del mio libro, lavevano letto e, sbalorditi da tanto talento,
avevano deciso di ricompensarmi nominandomi Senatore a vita. Lessi
la lettera cercando conferma: Caro Fabio, il libro è interessante,
soprattutto alcuni racconti, tu hai sicuramente talento ma io sono
sommerso da così tante proposte per i millelire che non so più dove
sbattere la testa. Grazie per esserti rivolto a noi, Marcello Baraghini.
Marcello Baraghini, il direttore di Stampa Alternativa, lamico
di qualche Senatore che lo aiutava a risparmiare in spese postali.
Che tristezza.
Di nuovo
agosto (sempre 1993). Di nuovo rimasi a Milano. Di nuovo scrissi
un racconto. Lo intitolai Cinzia cara Cinzia e lo spedii
al Premio Navile della casa editrice faentina Moby Dick.
A novembre mi telefonò Guido Leotta, direttore della Moby Dick.
Ero uno dei cinque vincitori che sarebbero stati pubblicati in volume
a dicembre. Sempre a dicembre, a Bologna, ci sarebbe stata la premiazione?
Avevo intenzione di andare? Risposi che ci sarei andato anche a
piedi. Mio padre comprò spumante e pasticcini per festeggiare. "Ma
no, papà, non è niente d'importante," minimizzai, "è un
libro che non arriverà neanche in libreria." Mio padre finse
di non aver sentito e stappò la bottiglia. Conservo ancora il tappo
su cui ho scritto con un pennarello nero: primo libro e poi
più avanti, tra parentesi (assieme ad altri quattro autori).
A dicembre andai a Bologna alla premiazione (in treno). Si svolse
in un teatro al quartiere Navile. Mi fecero salire sul palco e m'invitarono
a leggere un brano del mio racconto. Ero imbarazzatissimo. Lessi
così male che nonostante avessi scelto il paragrafo più divertente
nessuno rise. La giuria (composta dai critici Giuseppe DAgata,
Gregorio Scalise e Giorgio Manzella) volle sapere come avessi fatto
ad identificarmi così bene in Cinzia, la protagonista del racconto.
Pensai una risposta. Non la trovai. Ne pensai unaltra. Non
trovai nemmeno quella. Mi sembrava di essere in silenzio da ore
e mi rividi studente imbambolato davanti alla lavagna, con in testa
la risposta giusta, ma incantato dal mio stesso mutismo. Dissi la
prima cosa che mi venne in mente: "Ma... il fatto è che non
mi sono identificato... io sono così..." Mi resi immediatamente
conto che quella risposta poteva essere fraintesa in "ma...
il fatto è che io sono omosessuale..." Guardai la giuria: aveva
frainteso. Adesso era molto più imbarazzata di me. Scesi dal palcoscenico
e andai in corridoio a fumare. Ero stato un disastro. Una vecchietta
m'inseguì con il libro aperto alla pagina del mio racconto. "Bravissimo,"
mi disse con gli occhi lucidi, "me lo fa un autografo?"
Glielo feci e la ringraziai di cuore per avermelo chiesto. Poi vidi
che Giuseppe DAgata stava uscendo dalla sala. Andai da lui.
"Forse prima cè stato un malinteso," gli dissi sforzandomi
di elaborare affermazioni inequivocabili, "dalla mia risposta
poteva sembrare che fossi omosessuale. Non che m'importi, ma non
è vero, insomma non è quello il motivo per cui mi sono identificato
in Cinzia." DAgata scrollò le spalle. "Non ci avevo
neanche pensato," rispose, "e comunque non m'interessa,"
che tradotto voleva dire: è perfettamente inutile che adesso cerchi
di negare di essere omosessuale, ormai lhai detto davanti
a tutta la sala. Poi aggiunse: "Complimenti comunque, il tuo
è lunico racconto divertente che ci sia arrivato. Scrivono
tutti cose lagnose ormai. Sai," abbassò la voce in tono confidenziale,
"Scalise e Manzella non lo volevano neanche pubblicare. Ho
dovuto alzare la voce." Lo ringraziai, emozionato di avere,
già così giovane, un critico letterario mio alleato.
Nel
marzo del 1994 mio fratello Bruno e Licia, unamica, incrociarono
per strada Giorgio Manzella, conoscente di Licia. Si salutarono
e lei gli presentò Bruno: "è il fratello di Fabio Lubrano,
quello del Premio Navile." Manzella sorrise. Poi abbassò la
voce e confidò: "Sapete, DAgata e Scalise non lo volevano
neanche pubblicare. Ho dovuto alzare la voce."
Nel
settembre del 1993 la coinquilina di Bruno, per sbaglio, lo chiuse
in casa da fuori con lunico mazzo di chiavi rimasto. Dovendo
uscire con urgenza, Bruno chiamò un fabbro che gli sfondò la porta.
Poi mi telefonò chiedendomi se potevo vigilare sulla sua casa controllando
che nessuno entrasse dalla porta sfondata. Risposi di sì. Per passare
il tempo provai a scrivere racconto per un concorso organizzato
dalla biblioteca di Gorgonzola e da Stampa Alternativa (mi aspettai
di trovare, nel bando di concorso, il patrocinio del Senato della
Repubblica: inspiegabilmente non cera). Lo scrissi sbirciando
ogni cinque parole fuori della porta. Lo spedii il giorno dopo,
quando la porta era stata finalmente riparata. Passò un anno durante
il quale non successe nulla [a parte il fatto che ovviamente ad
agosto rimasi a Milano e scrissi un racconto (questo per il concorso
Raccontare Milano delleditore La vita felice)].
Nel settembre del 1994 ricevetti una telefonata da un ragazzo che
faceva parte della giuria di Stampa Alternativa. Mi disse che si
chiamava Matteo Bianchi, che aveva letto il mio racconto e che secondo
lui ero un genio. Lo ringraziai (quel primo grazie avrei dovuto
fissarlo meglio nella mia memoria, visto che da quel momento non
ho fatto altro che ripeterglielo). Affermò che non dovevo ringraziarlo,
era proprio vero che ero un genio. Lo ringraziai. Mi disse cosa,
in particolare, gli era piaciuto del mio racconto. Lo ringraziai.
Mi disse che in realtà mi stava chiamando per un altro motivo: stava
curando un'antologia di racconti ispirati a spot televisivi e avrebbe
voluto che vi partecipassi. Lo ringraziai. Fissammo un appuntamento
per conoscerci di persona e parlarne meglio. Quando misi giù la
cornetta immaginai Matteo scoppiare a ridere dicendo agli altri
membri della giuria: gli ho detto che è un genio!!! ALTRI
MEMBRI DELLA GIURIA: e lui? lui cosa ha fatto?? MATTEO: ci
ha creduto!!! TUTTI: ah ah ah!
Nellottobre
del l994 scrissi i racconti per lantologia curata da Matteo
Bianchi. Poi, qualche giorno dopo, scrissi addirittura un romanzo.
Lo intitolai una specie fatta di coso e, nel corso dei mesi,
lo feci avere a diverse case editrici. Nel corso dei mesi le diverse
case editrici (fatta eccezione per la Feltrinelli) non mi fecero
avere nessuna risposta.
Nel
novembre del l994 arrivò la risposta da La vita felice per
il racconto ambientato a Milano che avevo scritto quellagosto.
Ero uno dei l7 vincitori. La presentazione si svolse una domenica
mattina di dicembre al Grand Hotel Duomo. Presentarono uno per uno
i vincitori, ai quali consegnarono una copia del libro e un attestato
di partecipazione. Uno per uno. Applausi e strette di mano. Uno
per uno. Ne presentarono l6. "Mi hanno lasciato per ultimo,"
pensai, "evidentemente il mio è il racconto più bello e vogliono
farmelo leggere. Speriamo di andare meglio dellaltra volta."
Ma il presentatore non era della stessa opinione: invece di dire
"e per ultimo ma adesso scoprirete il perché" prese il
microfono e disse "bene, abbiamo finito, grazie per essere
accorsi così numerosi e buon natale a tutti." Si erano dimenticati
di me. Ci rimasi malissimo, ma non dissi niente e anzi finsi di
sorridere. Mia sorella Manuela invece si alzò e andò di corsa a
far notare la cosa al presentatore. Che sbiancò. "Scusate,
scusate" disse facendo segno a tutti di riprendere posto, "ci
siamo dimenticati del l7 vincitore. Vedete, è la prima edizione
del premio e un intoppo doveva pur succedere. Doppi applausi quindi
per Fabio Lubrano!" I partecipanti mi accordarono il doppio
applauso (addirittura sentii qualcuno alle mie spalle mormorare
poverino...). Andai a ritirare libro e attestato. "Scusate
per il disturbo," dissi sorridendo, per sdrammatizzare. Il
presentatore a quel punto si commosse. "Ma no... cosa dice..."
mormorò con un filo di voce, "anzi... è stato un piacere!"
Tornai a sedermi. Una vecchietta seduta di fianco a me decise che
doveva consolarmi: "Almeno ha avuto i doppi applausi,"
mi disse. "Eh già," risposi. Cretino che ero: quasi non
mi accorgevo di quanto ero stato fortunato.
Sempre
a dicembre Matteo Bianchi mi comunicò la notizia più incredibile
che abbia mai ricevuto in ambito editoriale (in altri ambiti la
più sorprendente è stata quando la mia fidanzata mi ha confessato
di desiderarmi fisicamente). "Hai vinto il concorso di Stampa
Alternativa. Faranno un millelire tutto tuo," mi disse Matteo.
Lo ringraziai. "Cè solo un problema," aggiunse,
"il racconto è troppo corto: te la senti di allungarlo di otto-dieci
pagine?" Me la sentivo. Scrissi le otto-dieci pagine quella
sera stessa, sempre a casa di Bruno, mentre a casa di mia madre
due degli altri sette miei fratelli si stavano picchiando non ricordo
più per quale motivo. Quando Matteo lesse lallungamento mi
telefonò per dirmi che laveva trovato addirittura più bello
del racconto base. Gli risposi che sentivo di doverlo ringraziare.
Il libro sarebbe uscito a maggio.
Nel
gennaio del 1994 feci conoscenza con lo scrittore e critico letterario
Giuseppe Bonura. Lesse il mio libro e lo propose a Raffaele Crovi,
direttore della casa editrice Camunia. Crovi mi fissò un appuntamento.
Arrivai con più di unora di ritardo: la redazione si trovava
in Ripa di Porta Ticinese 9l ma io, chissà perché, mi ero autoconvinto
che fosse al l9. Dopo aver tentato inutilmente di comunicare anche
in forma elementare con la portinaia del l9 (ad ogni mia domanda
rispondeva dicendo: "cossechehaidett?") feci tutta la
Ripa guardando ad uno ad uno i nomi sui citofoni. Allaltezza
del 40 ebbi lilluminazione: povero me, avevo invertito le
due cifre! Corsi al 9l e mi presentai alla segretaria. "Come
mai in ritardo?" mi sgridò. Le spiegai il contrattempo buttandola
sul comico. Rimase serissima. "Non è colpa nostra," disse
perentoria. "Non intendevo dire che," iniziai, ma fui
coperto dal rumore dello sciacquone del water. "Ecco, il Dottor
Crovi si è liberato," annunciò la segretaria non so fino a
che punto consapevole dellambiguità, "si accomodi pure
di là." Mi accomodai di là. Dopo qualche secondo arrivò Crovi:
era un ometto basso e corpulento, con una faccia da orco buono.
Mi prese il dattiloscritto di mano. "Bonura mi ha detto che
hai scritto un libro molto interessante," mi disse, "e
Bonura è uno dei migliori critici in circolazione, ma attenzione!"
alzò la voce. Mi sforzai di fare una faccia più attenta. "Io
non mi lascio condizionare da nessuno," dichiarò. Annuii. "Ecco,"
dissi poi, "prima che lei legga il libro vorrei farle una domanda..."
Crovi mi fece segno di tacere. "Qui le domande le faccio io,"
mi spiegò. Volle sapere quanti anni avevo, che studi avevo fatto,
per quale motivo scrivevo, se ero omosessuale, se nel mio libro
cerano scene di sesso e se sì quante. Risposi che avevo 21
anni, che avevo un diploma di liceo scientifico, che scrivevo per
divertimento, che non ero omosessuale e che nel mio libro non cerano
scene di sesso. Crovi fece una smorfia, infastidito. "Anche
Culicchia non ne parla tanto," raccontò offeso, "io glielho
detto qualche settimana fa e lui mi ha risposto che..." Squillò
il telefono. Crovi alzò la cornetta e rimase in silenzio ad ascoltare.
Improvvisamente gridò: "Cretino!" e sbatté giù la cornetta.
Fui tentato di chiedergli se fosse Culicchia. "Mi faccia la
domanda cui accennava prima," mi disse poi. Un po turbato,
gliela feci. In sostanza spiegavo che non ero uno di quegli scrittori
che credono che ogni parola del loro libro sia platino e non la
cambierebbero neanche sotto tortura. Ero conscio di essere solo
allinizio e ogni proposta di modifica o addirittura riscrittura
del testo mi avrebbe trovato disponibile. Pertanto domandai a Crovi
di essere il più sincero possibile, se non gli piaceva il mio libro
volevo che me lo dicesse senza troppe storie e senza imbarazzi per
Bonura. "Vorrei evitare il gioco delle macchiette con io che
telefono venti volte al giorno e lei che non si fa trovare,"
conclusi. Gli brillavano gli occhi. Iniziò a parlarmi di suo figlio,
di sua moglie, del suo rapporto con Firenze. Mi disse di telefonargli
ad aprile che mi avrebbe dato una risposta definitiva. "Potrei
anche dirti marzo, ma dopo il tuo discorso voglio essere sicuro
di non dirti che non lho ancora finito." Mi diede unaffettuosa
pacca sulla spalla e ci salutammo.
Ad aprile
telefonai. "Lubrano!!! Come sta?" mi domandò Crovi con
allegria. "Bene bene, e lei?" risposi cercando di usare
lo stesso tono cameratesco. "Bene bene, sono appena stato a
Firenze. Ah, senta, per il suo libro: mi dia ancora un mese, non
sono riuscito a finirlo."
A maggio
ritelefonai. "Salve Lubrano! Mi faccia una cortesia, telefoni
tra quindici giorni. Sa, sto partendo per Firenze."
Quindici
giorni dopo composi nuovamente il numero di telefono della Camunia.
"Settimana prossima," disse Crovi, questa volta con un
tono di voce serio, "la settimana prossima avrà una risposta
definitiva."
Ritelefonai
la settimana dopo. "Mi stia bene a sentire, Lubrano,"
disse Crovi, sempre più serio, "domani la redazione si riunirà
per decidere se pubblicare o meno il suo romanzo. Sappia intanto
che ha già superato tre letture, il che non è poco. A domani, mi
raccomando." Quella fu lultima volta che riuscii a parlare
con Crovi.
A partire
dal giorno seguente e per i quattro mesi successivi ebbi contatti
soltanto con la segretaria, la quale mi raccontava di come Crovi
fosse appena partito per Firenze e di come, purtroppo, non sarebbe
tornato prima di due settimane. A quanto pareva Crovi era protagonista
di un fenomeno davvero curioso: si trovava a Milano tutto il pomeriggio,
tranne nei due minuti in cui chiamavo io, durante i quali riusciva
misteriosamente a trovarsi a Firenze. "Hai chiamato Crovi?"
mi chiedeva spesso Bonura. "Sì, lho chiamato oggi ma
purtroppo non cera, era a Firenze," gli rispondevo. "Ma
come?! Se siamo stati al telefono tutto il pomeriggio!" esclamava
Bonura, affascinato dai super-poteri di Crovi. Andò avanti così
fino a settembre. Poi mi arresi.
Nel
maggio del 95 uscirono Kaori non sei unica, il libro
curato da Matteo e il mio millelire per il quale Matteo aveva suggerito
un cambio di titolo. Io lo avevo disgustosamente chimato detto
tra parentesi, lui avanzò lipotesi di dare come titolo
al libro la citazione iniziale di Jerome che avevo messo a mo
di introduzione: lamore è una brutta cosa con un bel nome.
Ringraziai Matteo per limbeccata e il millelire uscì con quel
nuovo titolo che, insieme alla copertina di Matteo Guarnaccia, è
il vero responsabile del quarto dora di celebrità che vissi:
alcuni giornalisti mi telefonarono a casa per rivolgermi qualche
domanda; nessuno aveva ancora letto il racconto però volevano intervistarmi
lo stesso. Mi chiamò Giusy Ferrè de la voce: mi spiegò che non aveva
ancora letto il racconto ma aveva sentito parlare di me da Marcello
Baraghini e voleva inserirmi in un articolo che stava scrivendo
sui giovani scrittori. Poi mi telefonò una giornalista de lespresso
che, nonostante non avesse ancora avuto modo di leggere il mio libro,
aveva in compenso letto larticolo di Giusy Ferrè e siccome
voleva anche lei scrivere un pezzo sui giovani scrittori desiderava
farmi un paio di domande. Poi fu la volta della redazione della
trasmissione televisiva tribù di Telemontecarlo: avevano
letto larticolo su lespresso e volevano invitarmi in
trasmissione: il mio racconto non lo avevano letto, ma non era importante,
gliene avrei parlato io prima della trasmissione.
Durante
quelle due settimane mi resi conto di possedere un talento invidiabile:
per un motivo o per laltro, i giornali su cui compariva il
mio nome nel giro di un mese al massimo erano costretti a chiudere.
Il settimanale di fumetti GULP chiuse dopo due numeri aver ospitato
il mio racconto pubblicato in Kaori non sei unica. A due
settimane dalluscita dellarticolo di Giusy Ferrè su
la voce, Indro Montanelli nel corso di una drammatica conferenza
stampa dichiarò conclusa leperienza del quotidiano. Cecchi
Gori ordinò la sospensione di tribù un mese dopo la mia intervista.
Nel suo ultimo numero leuropeo commise limprudenza di
accennare al mio libro. Si salvò soltanto lespresso ma solo
perché, accortisi del pericolo, rimediarono affrettandosi a far
uscire insieme al giornale una collezione di film erotici.
Nellottobre
del 1995 scrissi il mio primo racconto drammatico, lorso
nel secchio. In quel periodo ero particolarmente depresso e
la sola vista di una panchina scrostata era sufficiente a farmi
sprofondare nel più cupo pessimismo. In quelloccasione mia
madre si era azzardata a riporre un orsacchiotto di peluche in un
secchiello rosso: subito immaginai una vicenda a dir poco tragica.
Mandai la tragedia al concorso racconti? dellomonima
associazione culturale torinese. Nellaprile del 1996 mi telefonarono
per comunicarmi che il mio racconto era stato selezionato per essere
pubblicato in volume assieme ad altre novelle di autori italiani,
francesi e inglesi. (Quasi come nelle barzellette: allora, ci
sono un italiano, un francese e un inglese che scrivono un racconto.
Il francese...) Il libro venne presentato al Salone del Libro
di Torino dove la cabarettista Luciana Littizzetto ne lesse un brano.
"Dovè Fabio Lubrano?" chiese dal palco al termine
della lettura, guardando verso il pubblico. Alzai la mano come a
scuola. "Mi hai spezzato il cuore con questo racconto!"
disse con fare teatrale mettendosi una mano, per lappunto,
sul cuore. Applausi. Mormorai molto stupidamente un grazie
e me ne tornai a Milano (ovviamente a causa di lavori non annunciati
sul tratto Alessandria-Salcazzo il treno arrivò alla stazione di
Porta Genova anziché in Stazione Centrale, dove mi stavano aspettando
i miei amici. Minchiassì). Pochi giorni dopo mi ritelefonarono per
spiegarmi che ad ogni edizione del concorso era abbinato una vacanza
seminario: negli anni precedenti erano stati in Francia, poi in
Irlanda, poi di nuovo in Francia, poi di nuovo in Irlanda. Questanno
purtroppo si rimaneva in Italia, però in una villa a Capri, tutto
a spese del Comune di Torino. "Questestate vado in vacanza
anchio!," pensai stupito, "e gratis! No, che gratis?
Mi pago la vacanza con il racconto che ho scritto." Ero soddisfatto.
Ero un vero scrittore. A settembre mi arrivò una lettera da parte
dellassociazione: era una lettera a metà strada tra lamarezza
e lo sbalordimento nella quale mi raccontavano che per la prima
volta in dieci anni il Comune di Torino aveva negato i fondi per
la vacanza seminario. Per riparare mi promisero di spedirmi una
copia dellantologia in inglese e una in francese. Be,
meglio di niente, pensai. Non arrivarono mai.
Nel
marzo del 1996 Fulvio Panzeri mi telefonò, mostrando un qualche
interesse per il mio romanzo. Panzeri sarebbe stato il futuro direttore
di una collana (che non uscì mai) della casa editrice Zanzibar.
Ci incontrammo un pomeriggio alla libreria Rizzoli in galleria Vittorio
Emanuele. Decisi di fargli subito la stessa premessa che avevo fatto
a Raffaele Crovi, ma lui la prese larga parlando male di Brizzi
e Culicchia. Mi schiarii la voce per dichiarare che non ero uno
di quegli scrittori che credono che le proprie parole siano platino
quando lui mi raccontò della sua amicizia con Arbasino. Iniziai
a dirgli che avevo conosciuto Crovi e che gli avevo detto delle
cose e lui mi mise a parte, come è piccolo il mondo, del suo stranissimo
rapporto proprio con Crovi. Alla fine gli misi il libro in mano
e gli dissi: "Se bisogna riscriverlo lo riscrivo." Lui
rispose: "Malinverno... bel titolo!" e mi salutò.
Aspettai
qualche mese, poi gli telefonai. Mi disse che non aveva ancora finito
di leggere il libro, in ogni caso le prime settanta pagine erano
da rivedere. Risposi che ero disponibile a farlo, purché mi dicesse
in quale direzione muovermi. Mi pregò di lasciargli prima finire
di leggere tutto il libro, poi ne avremmo parlato. Lo richiamai
altre volte, ma non me ne parlò mai.
Nell'aprile
del 1996 fui contattato da un ragazzo di Napoli, Oreste. Era stato
l'aiuto regista di Mario Martone nell'Amore molesto e aveva letto
il mio millelire. Voleva trarne un cortometraggio da presentare
a qualche concorso cinematografico. Ero d'accordo? Buffo come prima
ti diano delle notizie da andare a comprare un intera fabbrica di
spumanti e poi, come se niente fosse, ti chiedano se sei d'accordo.
Ovviamente ero d'accordo. Ci sentimmo altre volte, discutemmo della
sceneggiatura, di dettagli tecnici (e delle attrici). Le riprese
sarebbero iniziate alla fine di giugno, in una biblioteca di Napoli.
Oreste mi avrebbe ospitato a casa sua se voleva andare a vederle,
oppure se volevo partecipare al montaggio, o a tutte e due le cose.
Non vedevo l'ora.
Nel
giugno del 1996 un gravissimo lutto familiare colpì uno degli attori.
Si pensò (opportunamente) che non era il momento adatto per girare
un cortometraggio comico. Si rimandò tutto a un mese indeterminato.
Poi lo si rimandò ancora. Infine non lo si girò più.
Intanto,
instancabile, Matteo Bianchi aveva portato il mio libro alla redazione
della collana Stile Libero dellEinaudi. Ricordo che nemmeno
in quelloccasione ero riuscito a trovare una variante per
ringraziarlo. Il libro sembrò essere stato accolto con entusiasmo.
Più passava il tempo più il mio libro li entusiasmava: volevano
pubblicarlo, però forse no, magari corretto, ma in fondo anche così,
in ogni caso se non era proprio quel libro era un altro, una cosa
era certa: loro erano interessatissimi al progetto Lubrano (ero
diventato un progetto! Ah, averlo saputo fin da piccolo!) Sembrava
quasi che non riuscissero a concepire lidea di poter continuare
a lavorare nelleditoria senza di me. Nel marzo del l997 decisi
di telefonargli. "Sono Fabio Lubrano," dissi, aspettando
di sentire esplodere dei petardi di festeggiamento. Silenzio. Non
riuscivano a ricordare chi fossi (forse, come mi è stato recentemente
suggerito, avrei dovuto aggiungere il Lubrano del progetto
omonimo). Dopo qualche minuto iniziarono a sospettare chi
fossi e in qualche misura cosa volessi da loro. E a quel punto mi
dissero che sì, in effetti il libro gli era piaciuto, confermarono
che erano interessatissimi allautore Lubrano e ammisero che
in effetti facevano fatica ad accettare lidea di poter lavorare
nelleditoria senza di me. Però purtroppo Stile Libero non
avrebbe pubblicato narrativa fino al l998 almeno. Che peccato. Eh
sì, che peccato. Quindici giorni dopo (quindi sempre nella prima
metà del l997) trovai in libreria i roamnzi Frisk di Cooper e Branchie
di Ammaniti.
Poche
settimane fa mi è arrivato a casa un pacco giallo speditomi da Camunia.
Dentro cera il mio romanzo e una lettera. Cè scritto:
Gentilissimo Fabio Lubrano, Camunia non pubblicherà più opere
di narrativa. Riteniamo tuttavia doveroso farle riavere il suo romanzo,
anche in considerazione del fatto che il Direttore Raffaele Crovi
aveva infine deciso di pubblicarlo. Distinti saluti.
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