NUMERO 4
OTTOBRE 1997
Scrivi all'autore
|
|
ALBERTO
FORNI
Comincio
a pensare che dovrei ufficialmente dedicare una rubrica fissa per
i racconti di Alberto all’interno di ‘tina, dal
momento che ne compare uno praticamente in ogni numero... la verità
è che Alberto non si dedica mai a progetti impegnativi (tipo: un
romanzo), però scrive spesso, storie brevi che rispecchiano le sue
esigenze di tempo e di entusiasmi passeggeri. così, mentre altri
amici mi consegnano un pezzo e poi spariscono per mesi, persi dentro
la stesura di autobiografie monumentali o saggi di musica pop, Alberto
ogni volta ha qualche nuovo racconto pronto. e a me paiono sempre
meglio, per linguaggio, intensità, ironia. Questo è il brano che
ha scritto al ritorno dal convegno "ricercare" di Reggio
Emilia. io lo trovo semplicemente irresistibile.
In
viaggio con Nanni Balestrini
Le conclusioni erano state tirate, virgola dopo virgola e punto
su punto, il buffet spazzolato fino all'ultimo chicco di riso, fino
all'ultima goccia di lambrusco, strette le mani, scambiati i saluti,
il convegno sulle nuove scritture era proprio finito.
Eravamo tutti eccitati, ci scambiavamo indirizzi, promesse di rivederci,
risentirci, fare qualcosa insieme. Ma appena fuori della porta c'era
un'aria da fine colonia, l'odore della scuola dietro l'angolo, e
il contrasto metteva un po' paura.
Ho camminato veloce per il corso di Reggio Emilia, erano le due
di domenica pomeriggio, non c'era un cane, non c'erano nemmeno le
biciclette. Guardavo le vetrine grasse, opulente, che trasudavano
dischi e salami, vestiti. Sono arrivato alla stazione in anticipo,
come sempre. Sul terzo binario, in attesa del mio stesso treno,
un giovane scrittore piemontese, che aveva letto un suo testo durante
il convegno, stava attaccando bottone con la statua-musa.
La statua-musa era una critica d'arte che aveva partecipato allo
spettacolo teatrale della sera prima e quella stessa mattina, durante
il dibattito conclusivo, si era prodotta in un intervento disarticolato
di stampo neo-femminista.
La statua-musa, in pratica, aveva detto che lei era una critica
d'arte e non un critico d'arte, e lo aveva detto così tante volte
che sembrava pensasse che gli uomini, oltre che stronzi, fossero
pure sordi. Inoltre aveva detto che se, come avevano fatto notare
i critici, la letteratura stava andando verso il corpo, lei come
statua-musa aveva portato il corpo verso la letteratura. Su questo
nessuno aveva niente da ridire. Il vero problema mi sembrava piuttosto
il viso: dai lineamenti contorti almeno quanto i pensieri da lei
espressi. Sembrava in tutto e per tutto una di quelle persone uscite
da un coma. Io ne ho conosciute alcune e non mi è sembrato che si
riprendessero mai.
Il giovane scrittore cercava di intortarla, epperò si vedeva che
lui aveva più dimestichezza con le due dimensioni della pagina scritta,
perché la contraddiceva continuamente. Forse voleva dimostrare la
sua indipendenza di pensiero, indipendenza da quel corpo prorompente
che avrebbe piegato anche il più militante dei critici. O forse
il giovane scrittore non ci sapeva fare e basta.
Io me ne stavo da una parte, zaino e valigetta buttati per terra,
sperando che a quei due non venisse in mente, con tutto il tempo
che c'era stato a disposizione, di fare conoscenza con me proprio
ora.
Quando è arrivato il treno ho camminato verso la testa, mettendo
un paio di vagoni fra me e loro.
Mentre stavo salendo mi è apparso il sommo poeta Nanni Balestrini.
Durante il convegno non ci eravamo presentati, eppure lui mi ha
dato uno sguardo così, come a dire so che tu sai. Io ho fatto finta
di niente con quello sguardo così, come a dire so che lei non sa.
E quello che il sommo poeta non sapeva era che io l'avevo portato
alla maturità.
Fuori programma naturalmente e senza aver letto nemmeno una sua
poesia, ma solo un brano di un saggio del Manacorda.
All'epoca le poesie in sé non mi interessavano molto, se amavo i
poeti era per tutt'altri motivi, quelli maledetti ad esempio perché
Rimbaud era scappato in Africa a vendere armi e Baudelaire fumava
oppio.
Nanni Balestrini e gli amici suoi del gruppo 63, davanti al Pascoli
e al Manzoni, mi erano sembrati dei gran rivoluzionari. Tuttavia
visto così, con i capelli bianchi e la riga precisa da un lato,
una polo verde e dei calzoni beige, poteva sembrare un pensionato.
Invece era Nanni Balestrini, il poeta che avevo portato alla maturità.
"Io l'ho studiata a lei" avrei voluto dirgli "anche
se, ora come ora, non saprei dirle niente di più preciso".
E questo sommo poeta viaggiava con me, in seconda classe, però nello
scompartimento non-fumatori. Questa era l'unica differenza che ci
separava in quel momento; la vita sa essere veramente democratica
quando vuole.
Eravamo a portata di vista, sembrava un'ottima occasione per conoscerci,
purtroppo lui si è messo a leggere un giornale. L'ho imitato come
un discepolo scrupoloso, tirando fuori un libro, immaginando che
prima o poi avrebbe dovuto alzare lo sguardo e vedendomi così impegnato
avrebbe pensato: "Questo ragazzo che era al convegno dev'essere
proprio bravo, guarda quanto legge, voglio proprio conoscerlo".
O al limite mi aspettavo un cenno col capo, o con la mano, anche
piccolo, anche un'alzata di spalle, un segno, qualunque. Di tanto
in tanto alzavo la testa dal mio libro, allo stesso modo di chi,
troppo immerso nei pensieri suscitati dalla lettura, ne perda a
volte il filo e guardando verso l'alto o all'orizzonte cerchi di
riprenderlo. In realtà lo facevo solamente per controllare Nanni
Balestrini, che però continuava a leggere il giornale, incurante
dei miei segnali. Dopo una decina di minuti mi son reso conto che
il sommo poeta si era addormentato. Ho messo via il libro e prima
di cedere, a mia volta, al sonno mi sono domandato: ma lui sognerà
normale? Perché io, ad esempio, quando gioco troppo ai videogames
poi mi sogno per tutta la notte macchinine che sfrecciano o robot
giapponesi che se le danno di santa ragione. Così, mi son detto,
lui sognerà solo versi poetici? Il suo sonno sarà un dipanarsi continuo
di strofe, assonanze e liquide melodie di parole?
Quando mi sono svegliato eravamo a Piacenza, Nanni Balestrini non
c'era più, al suo posto un ragazzo con gli occhiali scuri, avvolgenti,
e una maglietta che diceva qualcosa sulla California.
Che fine aveva fatto il poeta che avevo portato coraggiosamente
alla maturità senza mai leggere? Era sceso a Piacenza? E per fare
cosa? Era andato a salutare qualche amico dei quaderni piacentini?
C'era dentro anche lui, non c'era, erano amici, nemici, li amava,
li odiava? Chi lo sapeva, i quaderni piacentini non erano nel programma,
non erano nemmeno nel pezzo del Manacorda che avevo studiato, quindi
non potevo saperlo.
Mi sono riaddormentato subito, un po' deluso.
Il convegno doveva avermi consumato un bel po' di energie nervose,
se è vero che mi son svegliato solo a Milano Rogoredo.
Ho sgranchito le gambe, bevuto un sorso d'acqua e proprio mentre
stavamo entrando nella stazione centrale mi è riapparso il sommo
poeta.
Diavolo d'un diavolo d'un Nanni Balestrini, aveva solo cambiato
di posto! Si era eclissato ai miei occhi per mantenere il suo splendido
isolamento dal mondo, o forse solo perché lì non batteva il sole.
Ma ormai era troppo tardi per mettere in piedi una qualsiasi strategia,
i passeggeri prendevano posto nel corridoio, trascinavano valigie,
pacchi, anch'io mi sono messo in moto.
Giù dal treno ho camminato verso l'uscita con grande dignità, senza
nemmeno la tentazione di voltarmi indietro. Il mio destino ormai
era chiaro, era andata così e basta, probabilmente sarei morto senza
essere riuscito a conoscere il poeta che avevo portato alla maturità.
Ben mi sta, così imparo a non leggerlo neanche.
|