NUMERO 2
FEBBRAIO 1997
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CARLO
NOTA
Cominciano
ad arrivare a tina racconti imprevisti di autori che non conosco
personalmente e che, per circostanze fortuite o indirette, sono
venuti a contatto con questa fanzine.
E il caso di Carlo Nota, regista televisivo e giornalista
bolognese, col quale sino ad oggi ho avuto solo contatti telefonici.
Ho scoperto così che Carlo si occupa anche di assistenza a malati
psichici e le storie che scrive risentono sicuramente di questa
esperienza.
I racconti che mi ha inviato infatti sono molto delicati e toccanti.
Ne ho scelto uno dal sapore onirico e surrealista, e con un titolo
suggestivo.
Linvenzione
del giallo
A
Dino Campana e altri sepolti vivi
Il giorno
in cui gli oscurarono il sole Vincent Van Gogh si accorse di non
poter vivere senza luce e dunque s'inventò il giallo.
- "Non è proprio la stessa cosa - pensò - Ma non c'è modo di
fare di meglio." -
Riempì ogni cosa di giallo. S'inventò un giallo per i girasoli e
un altro per i campi di grano. Mise anche molto giallo nella sua
stanzetta. Si vedeva che in quella cameretta era proprio felice
perché dipinse anche le sedie verdoline, un bel verdino chiaro e
appagato. Tutti i colori della stanza erano solari.
La cameretta era piena di luce anche se fuori gli avevano oscurato
il sole. Mi sembra di ricordare che ci fossero nella stanza anche
particolari di un bel rosso vivo, ma adesso, su due piedi, non ne
sono più tanto sicuro.
Dopo aver
inventato tutto quel giallo (il giallo Van Gogh) e aver dipinto
tutti quegli altri bellissimi colori che rendevano gaia tanta gente
si complimentò, per la prima volta in vita sua, con se stesso pensando
di aver fatto proprio un buon lavoro.
Nell'inventarsi i colori, il giallo in particolare, era tutto assorto
nell'opera, lo sapete come sono gli artisti, e dava di pennello
e di colore senza accorgersi che intanto si sporcava un po' le dita.
Veramente un poco si era sporcato anche la camicia pulita, ma, quello
che è peggio, una particella infinitesimale di quel giallo era colata
al di fuori della tela.
Era proprio una particella infima, ma tanto bastò a tingere di sé
una parte minuscola del mondo di fuori.
I sorveglianti di Vincent si adirarono moltissimo. Non solo lo sgridarono
duramente, ma, per aver la certezza che la lezione fosse efficace,
gli tagliarono anche un orecchio.
Glielo tagliarono sicuri così che il fatto non si sarebbe ripetuto.
Mai più.
Glielo tagliarono loro, i guardiani, ma andarono in giro a raccontare
che l'uomo era pazzo e si era mutilato da sé.
Allora Van Gogh fu rinchiuso.
Peggio. Gli requisirono il tubetto del giallo.
Nuovamente senza luce, rinchiuso, Vincent s'inventò il blu.
Il blu perché è il colore della notte e del freddo.
Raccontano anche, ma di questo non ci sono riscontri agiografici,
che l'ultimo dei suoi carcerieri in punto di morte avesse chiesto
di vedere Gaugin, a lui, con molta fatica, aveva confidato in un
soffio che quando a Van Gogh recisero l'orecchio dalla ferita non
sgorgò sangue.
Non rosso comunque.
Uscì qualcosa, qualcosa come un liquido chiaro.
Trasparente color delle lacrime.
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