NUMERO 1
NOVEMBRE 1996
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SERGIO
ROTINO
Chi si occupa di poesia o letteratura dalle parti di Bologna non
può non conoscere il nome di Sergio Rotino, uno degli autori più
attivi e uno dei più entusiasti curatori di riviste, concorsi, convegni
e manifestazioni letterarie.
Non è un caso se Sergio è stato trasformato addirittura nel personaggio
protagonista di un romanzo giallo di Lorenzo Marzaduri ambientato,
per lappunto, fra biennali darte e circoli di narrativa
della Bologna underground.
Sergio si dedica con tale passione a tutto ciò che fa letteratura
che è impossibile non invidiare questa sua devozione alla causa.
Il racconto che mi ha consegnato per questa fanzine è in una versione
non ancora definitiva e pertanto viene pubblicato in via sperimentale.
La
preziosa Francesca
La preziosa Francesca arrivò tutta sorridente in un fresco pomeriggio
di ottobre. Salutò con un "Ciao" vivace quanto falso,
si sedette ad un terminale della redazione con un fascio di fogli
dattiloscritti al fianco e iniziò a bestemmiare in perfetto dialetto
palermitano. Ci era stata presentata vagamente nemmeno due settimane
prima come amica della caporedattrice Renata Ferraglia, una giovane
e conturbante catanese in preda a continue crisi di abbandono. Nel
senso che aveva dovuto abbandonare la sua amata Milano, per trasferirsi
da noi, in provincia. Era stato un classico editoriale quello che
ce l'aveva messa lì a dirigere queste grandiose testate: la casa
editrice per cui lavorava le aveva dato il benservito dalla notte
al giorno successivo, senza otto giorni e, soprattutto, senza pagarle
le oltre sette mensilità che le spettavano. Narrava, nelle ore in
cui aveva prosciugato la valle di depressione in cui pareva albergare
dopo il trasferimento in provincia, di vere non stop della durata
record di cinque giorni e sei notti senza staccarsi dalla scrivania
per organizzare, scrivere e impaginare la rivista in cui lavorava.
Io e il buon Mario un po' rabbridivamo un po' sorridevamo a tanta
orrenda cosa. Ci chiedevamo, sarà poi vero? Esisteranno veramente
situazioni così terribili? Noi due si viveva in una piccola casa
editrice che aveva fatto i soldi grazie a fortunate coincidenze
astrali, e che chiedeva abnegazione flessibile, ma nessuna erculea
simile prova. Lavoravamo tanto anche noi, anche noi facevamo qualche
notte e venivamo pagati, dopo ben otto anni, solo con il maledetto
diciannovepercento. Ma era povera cosa se confrontata con la cordiale
vicinanza che ci legava e con la possibilità di ascoltare in anteprima,
grazie alle case discografiche, tutto lo scibile musicale prodotto
ogni mese. Di fatto, se non fosse ricomparsa dalle nebbie di chissadove
la preziosa Francesca, la depressa Renata avrebbe di lì a poco tentato
il suicidio. Quelle due erano amiche di vecchia data, esattamente
dal primo anno di università e per la bellezza dei quattro anni
restanti. Poi la separazione. Problemi familiari avevano portato
la preziosa Francesca ad abbandonare la capitale lombarda e trasferirsi
in terre più calde. Immaginate quindi la gioia di Renata nel reincontrare
la preziosa Francesca durante una passeggiata estiva al Parco Sud
con l'amorevole nostro direttore responsabile Riccardo Gardum, grande
esponente del fotogiornalismo nostrano, nonché uomo di rara umanità.
Era stato lui infatti che mi aveva raccolto da una vita di articoluzzi
disseminati su fogliacci di quart'ordine per regalarmi a una professionalità
adamantina. Mica castagaccio. Fu lì che Gardum, dopo solo qualche
ora di conoscenza, colpito da una simpatia improvvisa propose alla
preziosa Francesca, all'epoca in disperate necessità economiche,
di lavorare per lui. Avrebbe dovuto digitare alcuni articoli per
il nostro famoso mensile Blood'n'Axe, rivista di musica metallica
per eccellenza, con allegato compact disc, dove smiagolavano le
migliori voci e dardeggiavanno le peggio infuocate chitarre del
panorama heavy internazionale. Vecchi padri fondatori si alternavano
a nuovi miti di questo rumorosissimo sound, per la gioia dei fan
italici sempre a corto di concerti e notizie.
In realtà il computer le fu ostile da subito. "Mi fa sparire
i file, 'sto bastardo" berciava la preziosa Francesca ad ogni
pie' sospinto. "Non è come il mio. Questo mi perde i file,
dannazione."
La cosa per me e Mario, redattori tuttofare dei grandiosi mensili
musicali Dance Discoteq e, appunto, Blood'n'Axe, rasentava la normale
routine. Eravamo abituati a dover far affidamento sul nostro acume
per estrarre dal maledetto IBM "inserito in rete" alcuni
dei preziosi dattiloscritti che i nostri collaboratori ci inviavano
ogni mese, con regolarità, due giorni prima della chiusura. Solo
che a me, redattore pronto a spiccare il salto verso un posto di
maggior prestigio, la vista della preziosa Francesca seduta e berciante
al computer, fece immediatamente montare un feroce mal di testa.
Anche perché la scrivania dove si era seduta spargendo le sue sigarette,
i suoi fiammiferi e tutte quelle cosine che una donna si porta dietro,
era la mia. Come mio era il computer da cui mi aveva spodestato.
A sentire la preziosa Francesca era stato Gardum, magnifico direttore
responsabile, a dirle che quella postazione poteva essere occupata.
"Tanto non ci lavora nessuno a quell'ora" pare avesse
commentato. In verità la cosa mi parve abbastanza strana, dato che
era quello il momento in cui l'attività mia e della redazione ferveva
maggiormente. Comunque la cavalleria prima di tutto, le lasciai
il posto accontentandomi di uno strapuntino d'angolo, accanto al
suo posacenere tascabile sfoderato con noncuranza sotto le mie narici.
Eppure la buona Renata Ferraglia avrebbe dovuto avvertirla che nessuno
di noi due baldi redattori fumava. Comunque la cavalleria prima
di tutto. E poi il mal di testa mi andava aumentando, lento ma inesorabile.
"Sarà il tempo" disse banalmente il buon Mario. "Anche
a me da un paio di giorni duole la cervicale."
"Mi sembra un po' tirata, come spiegazione."
"Allora prendi un Moment e piantala di lamentarti."
"In effetti" dissi vago, ritornando a scervellarmi su
come imbastire un pezzo sulla techno-trance che imperava nelle discoteche
rivierasche. Era il quarto numero di fila che lo stupendo fotoreporter
Gardum Riccardo mi faceva rimestare nel paiolo, ormai vuoto, del
tema. "Guarda la cosa dal di sotto" aveva detto cripticamente
giorni prima. "Non ti accorgi che l'associazione dei bassi
a 320 bpm con le onde cerebrali crea un nuovo stato mentale, simile
alla visione della Madonna a Lourdes? Ma sei proprio scemo, ti si
deve sempre spiegare tutto!" In verità, un simile rimprovero
da parte dell'esimio massimo esponente del giornalismo fotografico
internazionale, mi aveva lasciato perplesso. Mai si era abbassato
all'insulto con noi umili redattori. Aveva sempre usato il metodo,
molto più fruttuoso a suo dire, del bastone e della carota. Un metodo
che permetteva a lui di essere rispettato e a noi di lavorare spediti,
felici della sua immensa comprensione. Gli errori erano piccoli
incidenti di passaggio sulle nostre buste paga, che lui stesso vistava
amorevolmente ogni mese. A vederle sembravano più le pagelle delle
nostre maestre elementari durante i consigli di istituti, tanto
erano piene di fregi, cancellature e commenti. Tutti vergati di
sua propria mano.
"Avrà problemi con la moglie" aveva detto in quell'occasione
il buon Mario.
"Sarà" avevo ribattuto io. "Ma perché se la prende
solo con me?"
"Lo sai com'è" aveva commentato lui. "Vorrà tenerti
sulla corda in questi mesi, prima che si parta con la nuova testata."
Già, la nuova testata. Help!, il regno dei fumetti, avrebbe dovuto
chiamarsi, una rivista formato tabloid di cui dovevo diventare il
caporedattore, redattore, correttore di bozze e magazziniere a tempo
perso. Un lavoro che mi avrebbe assorbito completamente, ma in cui
avrei a detta del Gardum dato finalmente prova del mio talento di
estremo conoscitore dello scibile fumettistico passato, presente
e futuro. La testata, secondo gli editori e lo stupendo direttore
responsabile, avrebbe dovuto gettare nel più nero sconforto tutte
le case editrici di fumetto nostrane e aprirci i cancelli di quelle
stanziali oltreoceano. Il fatto che dovessi essere io a occuparmene,
era stata dettata dall'anzianità maggiore che avevo accumulato sulle
scrivanie della redazione. Al buon Mario sarebbe toccato altro incarico
nel prossimo futuro.
Ma gli attacchi frontali del geniale Riccardo Gardum nei miei confronti
erano continuati, con sempre maggiore virulenza mano a mano che
i mesi prendevano il posto dei mesi. Battutine sulle mie incapacità
a risolvere semplici problemi redazionali avevano lasciato il passo
a sceneggiate plateali sulle mie enormi incompetenze giornalistiche
davanti all'intero staff redazionale. Futili motivi erano diventati
ragioni di primaria sopravvivenza per le testate e, se non si risolvevano
nei tempi utili dei decimi di secondi, la colpa di tutto sarebbe
necessariamente stata mia e della mia busta paga che iniziava a
restringersi peggio di una maglietta sottoposta a un lavaggio troppo
energico.
"E la tensione per la nuova creatura" diceva il
buon Mario addentando un panino magnum durante la pausa di pranzo
consumata in un baretto della zona. "Vai tranquillo che, appena
in edicola, tutto tornerà normale."
"Sarà" dicevo io piluccando la mia insalata greca. "Però
non capisco come mai il grandioso Gardum non rampogni assolutamente
la preziosa Francesca."
"Eh" diceva il buon Mario fra un movimento di mandibola
e l'altro. "Il fascino delle donne siciliane."
In quegli ultimi tempi avevo dovuto condividere sempre più spesso
la mia scrivania con la preziosa Francesca, che oramai faceva parte
integrante della redazione. Al perché dovessi essere io a restringere
lo spazio di lavoro, Gardum aveva impiantato un casino del trentanove
pieno di urla e strepiti sul fatto che il mio egoismo nei confronti
di una povera ragazza volenterosa di apprendere e senza il becco
d'un quattrino era senza limiti. "Cosa proveresti se fossi
al suo posto, razza di omunculo?" aveva roboato la voce del
possente Gardum. "Eh, razza di insetto, cosa proveresti?"
A queste parole vibranti di sdegno non seppi cosa rispondere. Mi
sentivo in colpa, ecco, e preferii battere in ritirata abbozzando
umilissime scuse.
Di fatto i mal di testa mi erano diventati sempre più frequenti,
arrivando a diventare tristemente come le ciliege a giugno. Mi prendevano
a tradimento dietro gli occhi per poi irradiarsi a tutta la scatola
cranica. E bastava sentissi la voce della preziosa Francesca alzarsi
di qualche ottava presa da un attacco d'ira verso il mio computer
perché esplodessero in tutta la loro violenza.
"Se troppo sotto pressione, diceva il buon Mario, "dovresti
imparare a rilassarti. Fai come me, comprati un buon coltello da
lancio e vai ad esercitarti contro un asse di legno. Non sai quanto
aiuti a scaricare le tensioni questo esercizio."
I coltelli erano una vera mania per il buon Mario, al pari dei gruppi
di grind-metal. Ne aveva una collezione vastissima: coltelli da
taglio, coltelli da lancio, a farfalla, cantonesi, coreani, machete,
temperini multiuso e via cantando. Erano tutti esposti nelle vetrine
che arredavano il suo appartamento in zona Bolognina, in perfetto
ordine di provenienza e ben lucidati. Ogni coltello aveva il suo
posto nelle rastrelliere, e veniva contraddistinto da una etichetta
adesiva su cui il buon Mario aveva annotato preventivamente nome
convenzionale, marca, tipo, nazionalità e anno di fabbricazione.
Questo lama per lama. Me le aveva fatte vedere tutte un giorno che
ero andato a casa sua per alcuni compact di oscuri gruppi death,
di provenienza ungro-finnica.
"Non sono meravigliosi?" aveva chiesto con l'entusiasmo
di un bambino mostrandomi quella puntuta raccolta. "Armi così
letali e silenziose che se ne stanno sottovetro, più inoffensive
delle farfalle. E forse anche più affascinanti."
"Ci affetto il pane" dissi io.
"Cosa?" fece lui.
"Con i coltelli. Ci affetto il pane. Servono a questo, no?"
Il buon Mario mi guardò come se fosse tornato al primo giorno di
redazione, quando ci stringemmo la mano diffidenti ma carichi di
vibrazioni altamente positive. La faccia gli si era atteggiata ad
una evidente perplessità. Rughe profonde attraversavano la sua fronte.
"Dài" feci. "Era solo uno scherzo." E gli diedi
una leggera pacca sulle spalle.
A queste parole il buon Mario sembrò riprendersi dalla sua stupita
catatonia. "Per un attimo ho creduto fossi andato pazzo"
disse. Poi aprì la vetrinetta più vicina e ne estrasse una lama,
lunga quanto il mio avambraccio. Vista in tutta la sua possanza
aveva una impugnatura in gomma nera zigrinata, che la ricopriva
per circa la metà. L'acciaio temperato mandava lampi al neon di
una glacialità impressionante. Sul lato opposto al filo, la dentellatura
dava all'arma, se ce ne fosse stato bisogno, un che di aggressivo,
bilanciandone la curva leggermente curva
"Tieni" disse il buon Mario offrendomi il coltello. "Prendilo"
insistette. "Non aver paura."
"Io?" dissi un attimo impacciato. "Ma sei scemo?
Paura io?" Afferrai l'arma con riluttanza. Era leggerissima,
una vera piuma. Il manico in gomma nera mi calzava nel palmo della
mano neanche fosse stato costruito appositamente per la mia persona.
Il buon Mario gongolò. "Zoroaster IV" disse. "La
più leggera e letale fra le armi da taglio. Se lanciato con una
certa potenza può trapassare un bersaglio a trenta metri di distanza."
"Fantastico" dissi storcendo la bocca. "E questa
dentellatura qui?"
"Quella serve nel corpo a corpo" spiegò il buon Mario.
"Quando lo Zoroaster penetra nel corpo dell'avversario, basta
ruotarlo un poco e poi tirarlo fuori con un colpo secco. Strappa
il lembi della ferita in modo tale da farla rimarginare più lentamente,
provocando infezioni e altre amenità del genere. Se la lama tocca
un organo vitale, la dentellatura causa emorragie interne che portano
alla morte. Il dolore provocato è comunque atroce.
"Un bel gioiellino" dissi io.
"Già" approvò lui. "E pensa che per averlo non serve
nemmeno il porto d'armi."
"Entusiasmante" feci pensando a come, intorno a me, potessero
camminare ogni giorno maniaci omicidi armati di Zoroaster IV pronto
all'uso.
"E un amico fedele" disse il buon Mario. "Te
lo regalo, in pegno dell'amore che anche tu porti al dio del rock'n'roll."
A nulla valsero i miei rifiuti impacciati, i dinieghi leggeri ma
decisi che opponevo col capo. Alla fine dovetti portarmelo a casa,
lo Zoroaster, impacchettato in una busta di plastica della Coop,
perché in strada non mi si scambiasse per un emulo di Barbablù.
Gardum era
un bell'uomo tozzo e grasso con l'attaccatura dei capelli alla Topolino.
In realtà la caduta dei capelli dovuta all'ipercineticità della
sua macchina fotografica, lo aveva lasciato proprietario di una
immensa savana di cuoio capelluto. Ma lui preferiva considerare
tutto ciò un'attaccatura alla Topolino. "Fa più giovanile"
diceva. "E conquista le donne."
La cosa era misteriosamente provata. Nessuna delle ragazze che passava
per la redazione resisteva al fascino dell'attaccatura alla Topolino
e alla gentilezza virile e maestosa del nostro direttore responsabile.
Anche Renata Ferraglia tesseva continue lodi della bellezza esteriore
del Gardum Riccardo. E anche con la preziosa Francesca accadde la
stessa, identica cosa. "Riccardo è un uomo stupendo" diceva
fra i fumi delle sue mefitiche sigarette. "Non come certi tisichelli
che bazzicano qui dentro."
Io e il buon Mario ci guardavamo perplessi, lanciandoci segnali
morse con gli occhi. "Sarai tu" dicevano le sue palpebre
sfarfallando.
"Ma se sono ingrassato di tre chili il mese scorso" risfarfallavo
io.
"Non barare" rimproverava il buon Mario con un deciso
battito di ciglia.
"Non barare tu" replicavo sgranando gli occhi.
A colpi di sfarfallamenti ci stava venendo giù una congiuntivite
della miseria. Per non parlare dei miei mal di testa che nemmeno
un mix di Moment, Drin e aspirina effervescente con vitamina C riuscivano
più a calmare. Quei bastardi iniziavano sempre con l'apparire della
preziosa Francesca sulla porta della redazione. Ma le cose da fare
erano troppe per starci a ragionere, e Help! ormai bussava alle
porte. Anche il maestoso creativo milanese, Tristo Fracassi, aveva
iniziato a fare la spola fra la sua città naturale e la nostra sede
dislocata in provincia. Dall'alto della sua parlata blesa ruminava
consigli e genialità come se fosse arrivato il carnevale delle belle
trovate. Il prode Gardum applaudiva a scena aperta. "Vedi come
si fa, imbecille?" mi ringhiava in pieno fermento riunitivo.
"Hai capito che genere di idee hai da produrre per la rivista?"
In realtà si vedeva lontano un miglio quanto fra i due corresse
un'atavica ostilità. Si sorridevano e si davano pacche sulle spalle
da grandi amiconi. Si scambiavano barzellette fritte e mangiate
da mio nonno almeno vent'anni prima. E lo sapevano. Avrebbero tanto
desiderato scannarsi l'un l'altro alla faccia della fede cristiana
di ambedue, ma non si poteva: erano i capi, e i capi non si toccano.
Ma questa è unaltra storia, che non avrò il piacere di raccontare
né ora né mai. Sapete, a volte di certe cose è meglio non parlare.
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