NUMERO 0
MAGGIO 96
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MATTEO B. BIANCHI
Circa un anno fa
era apparso sul settimanale Musica! lannuncio
di una fanzine che cercava racconti ispirati al mondo del rock.
Non so come mai a me venne da scrivere una storia su Michael Stipe
dei R.E.M., gruppo che peraltro conosco piuttosto poco. La fanzine,
che probabilmente sara intitolata Fantarock, dovrebbe
uscire fra poco, ma nemmeno lo stesso curatore sa dirmi quando.
Così, nellattesa, comincio a pubblicare il racconto su questa
rivistina.
Finding my religion
Quando il telefono cominciò a suonare Michael stava
ancora dormendo. Solo l'insistenza dello squillo riuscì a riportarlo,
faticosamente, allo stato di coscienza. Si sfregò gli occhi e si
guardò intorno. Vide la stanza illuminata a pieno giorno con la
luce che entrava dalla finestra spalancata. Vide i suoi vestiti
sparsi ai piedi del letto. Vide l'uomo nudo che giaceva al suo fianco
e non lo riconobbe, perlomeno non immediatamente. Infine si decise
ad allungare un braccio e ad alzare il ricevitore.
- Pronto? - disse, con la voce ancora impastata dal sonno.
- Michael, sono tre giorni che ti cerco, dove cazzo eri? -
- Qui -
- Meno male che ti ho trovato, senti, bisogna decidersi a incontrare
i giornalisti, o almeno rilasciare una dichiarazione ufficiale,
non possiamo ignorare la faccenda, oltretutto sono passate già 48
ore e non ci sono segni di miglioramento, e il silenzio completo
sarebbe quanto meno compromettente per il nome del gruppo, soprattutto
adesso che la tourneé sta ricomin... -
- Ma di cosa stai parlando? - lo interruppe Michael spazientito.
Il suo press-agent rimase un attimo in silenzio, quasi a riprendersi
dalla sorpresa. - Stai scherzando, vero? Non mi dirai che non ne
sai niente? -
- Perché, cosa dovrei sapere? -
- Della bambina, di Portland, dei telegiornali, ... -
- Qual bambina? -
- Ma davvero non sai nulla? -
- No -
- Oh, Cristo! -.
Il caso era realmente singolare. Spesso si era
sentito parlare di persone risvegliate dal coma grazie alla voce
del loro idolo musicale, ma mai si
era udito del contrario. Secondo quanto riportato
dai giornali, Sandra Coupland di Portland, Maine, di anni 14, stava
parlando con una compagna di scuola nel cortile del J. Waters Institute
of Arts, durante l'ora del pranzo. L'amica, Janet Williams, in quel
momento stava ascoltando una cassetta del complesso rock R.E.M.
con il proprio walkman. Poiché Sandra aveva confessato di non conoscere
il gruppo e di non aver mai sentito alcuna loro canzone, Janet l'aveva
invitata ad ascoltare un brano, passandogli gli auricolari. Sandra,
in un primo momento, ha dimostrato di gradire la musica, che seguiva
ondeggiando il capo, ma quando la voce del cantante Michael Stipe
si è inserita, la ragazza ha strabuzzato gli occhi ed è caduta a
terra, completamente priva di sensi. I medici del Britannia Hospital,
dove è stata ricorverata immediatamente, hanno riscontrato che la
paziente era caduta in uno stato di coma profondo. Apparentemente
irreversibile.
- E' successo ancora -.
La voce del suo addetto stampa stavolta non l'aveva sorpreso nel
sonno. Michael ora si trovava a casa sua, pefettamente teso e dolorosamente
sveglio. La fronte appoggiata al vetro di una finestra, contemplava
il tramonto rossastro nelle strade di Athens.
- Dove? - chiese.
- A Paraty, in Brasile. Un ragazzino di undici anni, ma non è brasiliano,
è tedesco. Si trovava lì in ferie con la famiglia. Stavano mangiando
in un ristorante all'aperto, e alla radio hanno trasmesso "Bang
and blame". Il ragazzo è caduto con la testa nel piatto, almeno
così dicono, ma sai come sono queste cose, no? la gente ci ricama
subito sopra e poi non è detto che... -
- Come l'hai saputo? -
- Mi ha chiamato Jackie della CNN. La notizia andrà in onda solo
stasera, hanno bisogno ancora di qualche conferma e delle immagini
di repertorio -
- Mie? -
- No, di tue ne hanno quante ne vogliono. Gliene serve qualcuna
di Paraty -.
Michael tacque, osservando il verde del suo giardino che assumeva
i colori del fuoco.
- Adesso non possiamo tirarci indietro, davvero. Il ragazzo e la
sua famiglia stanno tornando in Germania, ma i giornalisti mi assediano,
vogliono sapere cos'hai da dire, come hai reagito, ... -
- Male - ringhiò Michael, e sbattè il ricevitore.
Vagò tutta notte per le campagne che circondavano la città, seguendo
i sentieri della sua infanzia, fino a raggiungere la capanna in
legno che aveva costruito con suo padre e che aveva ripreso anche
in un video. Solo al mattino seguente, incapace di rimettere piede
nella sua abitazione, andò a casa di Peter Buck.
Lui non sembrò sorpreso di vederlo.
- Michael - disse, e lo fece entrare.
Appena la porta si richiuse, si abbracciarono.
Era strano. Molte volte, quando i tour cominciavano a sembrare eterni
e la convivenza forzata una specie di tortura masochistica, Michael
finiva per odiare i suoi compagni di gruppo ed evitava il più possibile
i contatti personali. Ma poi, tornati alla normalità delle cose,
nei momenti difficili, era a loro che ricorreva. Erano la sua famiglia,
il suo riparo, il suo unico riferimento.
- Come ti senti? -
Peter gli passò una tazza di caffè.
- Di merda - rispose Michael, scuotendo le spalle e rifiutando il
caffè.
- Non è colpa tua, lo sai. E' una stupida coincidenza. Una storia
del cazzo cucita insieme dai giornali -.
Il tono di Peter era pacato e rassicurante. Veniva da credergli.
Michael gliene fu grato. Si buttò su un divano e chiuse gli occhi.
Il trillo del telefono lo scosse come un elettroschock. Tornò immediatamente
in piedi mentre Peter rispondeva all'apparecchio.
- Pronto?... Sì, è qui, aspetta -
Michael fece segno che non avrebbe risposto.
Peter restò in linea, ascoltando senza dire nulla. Poi adagiò delicatamente
il ricevitore, come se cercasse di prendere tempo. Alla fine tornò
a guardarlo negli occhi.
Il suo mutismo diceva già tutto.
- E' successo di nuovo - sospirò Michael.
Peter annuì.
- Dove stavolta? -
- In Italia. Dalle parti di Milano, una bambina di nove anni -
- Cristo, sempre più giovani. E sempre più lontani -
Peter fissava il pavimento, mordendosi il labbro.
Michael si avvicinò. - C'è qualcos'altro? - chiese, quasi tremando.
Lui non alzò lo sguardo. - La ragazzina di Portland... è morta un'ora
fa -.
Michael sentì i battiti del suo cuore che accelleravano vorticosamente,
assordandolo con una furia cieca.
- Devo fare qualcosa - disse, senza sapere affatto cosa.
Il volo per Francoforte era completo, ma grazie
alle pressioni della casa discografica riuscirono ugualmente a trovare
posto per lui e il suo agente. Prima del decollo Michael prese un
sonnifero e chiese alle hostess di non disturbarlo durante il tragitto.
Si svegliò un'ora prima dell'arrivo, tenne comunque gli occhi chiusi
ancora a lungo prima di decidersi ad affrontare il suo vicino di
poltrona. Aveva paura di quello che avrebbe potuto dirgli.
Lo disse, infatti.
Il ragazzo era deceduto nel pomeriggio, mentre stavano sorvolando
l'Atlantico.
Michael inspirò a pieni polmoni l'aria artificiale dell'aereo, imponendosi
di ignorare il senso di disperazione che lo stava assalendo e,
soprattutto, di non piangere.
- So che è un momento molto difficile per te - disse il suo agente,
appoggiandogli una mano sulla spalla, - Ma voglio che tu sappia
che tutti noi siamo al tuo fianco e qualsiasi cosa accada, avrai
il nostro completo appoggio -.
Michael annuì vagamente.
- E l'italiana? - chiese infine.
- Nessuna novità, per ora -
- Andiamo in Italia, allora. Forse siamo ancora in tempo -.
Lagente gli sorrise. - Ce la faremo - promise.
Mentre stavano atterrando all'aeroporto di Linate,
Michael fu attraversato da un ricordo. Rivide il momento in cui,
un anno prima, l'organizzatore del tour mondiale aveva accompagnato
il gruppo ad una gita a Cabo da Roca, in Portogallo. Quella sera
si sarebbero esibiti nello stadio di Lisbona, e per distrarli dalla
tensione, l'organizzatore aveva deciso di condurli ad una gita sul
punto più occidentale d'Europa. Una curiosità geografica, più turistica
che suggestiva, in fondo.
Affacciandosi sulla scogliera Michael aveva guardato di fronte a
sé, verso quel punto remoto e indistinto dell'orizzonte dove sapeva
trovarsi il bordo dell'America, poi si era voltato a guardare alle
sue spalle, verso il Vecchio Mondo che partiva da quella striscia
di terra, ed era stato assalito da un brivido: per la prima volta
aveva provato la sensazione di non appartenere a nessuno dei due.
Ad accoglierli nella sala d'attesa c'erano alcuni
responsabili della casa discografica italiana. Michael riconobbe
vagamente il volto della ragazza che aveva fatto da assistente al
gruppo durante le tappe italiane dell'ultimo tour e le sorrise.
Lei gli strinse la mano e gli chiese se volesse andare in albergo
a riposarsi.
- No, andiamo subito dalla bambina - rispose lui, deciso.
C'erano due macchine scure fuori dall'aeroporto che li aspettavano.
Partirono immediatamente.
Quando furono nella corsia dell'ospedale Fatebenefratelli, Michael
realizzò improvvisamente che avrebbe incontrato i genitori della
ragazzina. Il pensiero lo atterrì: non avrebbe potuto affrontare
un attacco, era troppo debole, e troppo spaventato. Temeva che gli
avrebbero chiesto delle spiegazioni, mentre era lui stesso il primo
a volerne, più di chiunque altro.
I genitori c'erano, naturalmente, ma non lo aggredirono. Fecero
un cenno col capo quando lui e l'assistente entrarono, poi si alzarono.
La madre si avvicinò a Michael e gli strinse le mani. Lui non capiva
la sua lingua, ma non fu difficile interpretare il tono della sua
richiesta: gli stava chiedendo di salvare sua figlia.
Michael sentì a quel punto che tutte le lacrime che aveva trattenuto
in quei giorni stavano venendo alla superficie dei suoi occhi e
che ora non le avrebbe respinte. Si sedette sulla sedia accanto
al letto e pianse, stringendo la mano della bambina in coma, come
se volesse prendere da lei forza, invece che trasmettergliela.
Una volta calmato, volse lo sguardo intorno alla
stanza e vide che l'avevano lasciato solo con lei. Solo allora si
decise a guardarla in volto e si accorse che la ragazzina aveva
gli occhi aperti e lo stava fissando.
- Sei venuto per me? - chiese.
Michael annuì.
- Non dovevi, ormai non serve più -.
Michael le strinse la mano con tutta l'energia che aveva: - Non
dire così, ti prego. Ora sei sveglia, stai parlando, sei salva...
-
La bambina scosse la testa. - No, io ormai non sono più di questo
mondo. Sto già seguendo il mio destino, e anche tu dovresti lasciarti
andare e seguire il tuo -
- E qual è il mio? -
La bambina sorrise.
- Possibile che tu non ci sia ancora arrivato? La gente che vive
confusa dai rumori, dalle urla, ormai non può più distinguere i
suoni, ma noi, noi ancora puri sì. Quando ho sentito la tua voce
per la prima volta ho capito subito che sarebbe stata l'ultima cosa
che avrei udito. E così è stato -
Michael era ormai allo stremo delle sue forze.
- Ma perché? - implorò.
La bambina si tirò a sedere e gli si avvicinò. Accostò la bocca
al suo orecchio e mormorò: - Michael, tu sei la voce di Dio -.
I genitori della ragazzina, i suoi assistenti,
le infermiere e tutte le persone che si trovavano nel corridoio
si voltarono contemporaneamente quando Michael uscì dalla stanza.
Lui non li guardò neanche.
Cominciò a camminare verso la rampa di scale e scese velocemente
giù in strada. Camminò instancabile per ore, attraversando la città
senza mai fermarsi. Quando finalmente si arrese ai suoi passi, si
trovava in una zona industriale abbandonata, al limitare della campagna.
Si guardò intorno, senza vedere nulla, e poi chiuse gli occhi.
Solo in quel momento riconobbe che quel formicolio che da settimane
sentiva sulle scapole, così simile al dolore, era il segno delle
ali che gli stavano spuntando.
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