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La
Giada
Quando
ha pubblicato il suo primo racconto in questa rivistina (il primo che
abbia mai scritto, oltretutto) la Giada non si aspettava certo di suscitare
il polverone di entusiasmo che ha innalzato. Raramente un racconto di
'tina ha smosso tanto gli animi. La quantità di complimenti che
l'autrice ha ricevuto dai lettori virtuali l'ha imbarazzata al punto da
non saper cosa rispondere. Però, giocoforza, questo responso più
che positivo l'ha spinta a continuare sulla strada della scrittura ed
ecco quindi, al fine di evitare un'insurrezione popolare, il secondo racconto
mai prodotto dalla procace conduttrice radiotelevisiva. Ancora un testo
autobiografico, dedicato stavolta a un cugino un po' fuori dalla norma.
Posso usare l'orribile e retorica espressione? Ma sì, dai, la uso:
poesia pura.
MIO
CUGINO FORSE NON SCENDE DALLA MACCHINA
Io sono una
bambina semi-ragazza molto intelligente, tanto che nei temi prendevo sempre
bravissima col punto esclamativo. Per questo apro gli occhi piano: per
non svegliare nessuno, neanche me. In camera mia si fa la gara e il primo
che si sveglia mentre gli altri dormono ancora ha perso. Se non si è
svegliata nemmeno la mamma, che alla mattina è un grillo, hai perso
anche la gara di domani. Si dice a tavolino. Da quest'anno, perde anche
l'ultimo che rimane nel letto. Ieri mia sorella ha perso anche per oggi
e se mi fermo a pensare a quanto soffice è il cuscino, quanto lisce
sono le lenzuola, quanto morbido è il mio vecchio pigiama blu,
che ho avuto in eredità, e visto che i miei piedi non si sono accorti
di niente e stanno ancora dormendo, potrei, tranquilla, girarmi dall'altra
parte. Ma il parchè scricchiola dei passi di mia sorella e qualcuno
in giardino, secondo me uno dei maschi, ha già azionato la canna.
Dalla scala sale il rumore delle stoviglie che mia madre suona insieme
alla banda della cucina, quando all'appello della colazione manca qualcuno
dei suoi. In questo caso io che, se non era per l'Alberto, sarei anche
la piccola di casa. Ho un naso gigante solo perché l'ho rotto la
settimana scorsa e tutti mi prendono in giro. L'Alberto è convinto
che io abbia anche un pisello piccolissimo, e allora lo prendo in giro
io, perché di bambine non ne sa niente. Qualcuno giù ride
col nonno, è mio il nonno, avendo io più conchiglie dei
mari del sud di tutti gli altri nipoti messi insieme. Quasi mi alzo. Il
nonno nasconde le conchiglie negli scogli e io le trovo subito e le metto
su una mensola., ne ho una ventina (18). I suoi amici dicevano che a Sanremo
non si potevano trovare quelle conchiglie, ovvero grandi così e
soprattutto rosa così, che assolutamente non potevano arrivare
a nuoto dai mari del sud come sapevo invece io. Fatto sta che il babbo
mi ha spiegato che il nonno le compra e le nasconde per me. La faccenda
non si è ancora chiarita ad alta voce, ma io continuo a trovarne.
Quando sono l'ultima a svegliarsi, mi piace sedermi in un angolo della
scala, all'altezza dell'aquilone e del lampadario di cristallo, e guardarli
da qui. Quella dell'aquilone appeso è una battaglia contro il lampadario
di cristallo della nonna che abbiamo vinto noi. Il nonno invece non ha
ancora del tutto vinto la battaglia del suo albero nel camino. Gli piace
prendere un tronco intero di un albero e infilarlo nella bocca del camino,
poi mette certi seggiolini, i nostri, a sostenerlo. Il fatto è
che, a metà del tronco, c'è il divano di velluto bordò,
e siccome il tronco non si può mica deviare, devia il divano. A
poco a poco il tronco brucia , i seggiolini diminuiscono, il divano ritrova
la sua posizione, e a tavola le mamme ricominciano a parlare col nonno
come se non è successo niente. Fino al prossimo tronco.
Oggi è, mi sembra, il 12 di agosto, e del tronco non c'è
traccia. Davanti al divano vedo il tavolino di ciliegio per appoggiarci
i piedi, ma al momento no: mio cugino Giò ci ha piantato dentro
un centinaio di chiodi, e il nonno non è ancora passato a toglierli
con la pinza. Questo era nei patti. Giò ha il permesso di girare
con martello e chiodi e conficcarli dove meglio crede solo se il nonno
li andrà poi a strappare: sono ammessi solo i buchi. E' assolutamente
vietato piantare chiodi sulle persone, specie se piccole e femmine, cioè
specie su di me, e sugli animali. Nessuno ha ancora scoperto le lucertole
inchiodate nel bosco. Perché nessuno, a parte uno col martello
appeso alla cintura, va mai nel bosco, da quando le erbacce hanno deciso
di ritrovarsi al campo di bocce, quindi da quando il campo da bocce non
c'è più e abbiamo ripiegato sul ping pong. Io gioco poco,
primo perché mio fratello è più forte, secondo perché
si inventa le regole, terzo perché non mi vogliono. Ma adesso aspettano
solo me. Le decorazioni sono il mio mondo. Primo perché sono l'artista
numero tre di casa, secondo perché non mi va mai bene niente e
poi le cose vanno per le lunghe, anche se veramente non mi è mai
piaciuto andare per le lunghe. A me piace discutere. La mamma dice che
sono precipitosa, ovvero una che decide di disegnare foglie e fiori e
ricciolini verdi quando invece dovrebbe andare a prendere l'acqua alla
fontana. E io sono molto orgogliosa di essere una precipitosa, nessuna
mia amica lo è, precipitosa come nella canzone precipitevolissimevolmente,
è questa la canzone della luna, che gira gira gira e chi lo sa,
per il primo che l'acchiapperà. Ti immagini, acchiappare la luna
come una lucciola, metterla in un bicchiere sul comodino per non avere
mai paura. Da grande voglio scrivere canzoni, perché cantarle è
molto più difficile. Le mie canzoni preferite in italiano sono
"io domando dove porta l'altalena della vita" e " vorrei
offrirti una bambola rosa", poi tutto Frenk Sinatra e un po' Edit
Piaf . Mio padre canta benissimo delle canzoni in tedesco che non si capisce
mai di cosa parlano. E' bravissimo mio padre, ha i baffi e le gelatine
al lampone nelle tasche. Ride, quando canta e noi lo ascoltiamo, allarga
le braccia e piega un po' la testa. L'artista numero uno di casa mi ha
appena vista seduta sulla scala e con gli occhi mi consiglia di scendere
prima che la mamma diventa rossa e enorme. Prima che si arrabbia. Mia
zia, seduta per terra, è intenta, cioè occupata, a ritagliare
nel cartoncino formine di piedi. So già cosa farà poi: le
riempirà di farina, uno strato sottilissimo che si chiama impalpabile,
e poi farà passeggiare questi piedini bianchi per la casa. A prima
vista, e fino a prova contraria, sono le orme di Gesù Bambino .
Quasi tutte le notti viene a farsi un giretto a casa nostra, rovescia
il latte sul tavolo, mangia qualche biscotto di quelli a righine, Gesù
Bambino mangia dopo cena!, e mette sempre i piedi sui cuscini della sala,
cosa che invece è vietatissima a noi soprattutto quando piove.
A volte, come in questo caso, Gesù capita anche di giorno, lontano
da occhi indiscreti, cioè se i bambini sono giù al pullman
a giocare ai viaggi. Perché noi abbiamo un pullman, precisamente
l'autobus numero 56, carrozzeria varesine, motore alfa romeo 800, in fondo
al giardino, e c'è anche un cartello dipinto sempre dall'artista
numero uno di casa che il nonno suo padre ha impiantato nel prato, con
scritto: avanti c'è posto. Per forza, siamo neanche dieci. Uno,
il conducente, si mette alla guida, gira il volante e parla con gli altri.
In certi casi può anche sparare alle femmine sedute dietro, che
sono a quel punto autorizzate a sganciare le bombe che tengono nella borsetta,
vicino ai fazzoletti ricamati. Io ho una emme con una coroncina di fiori
gialli. I pedali si schiacciavano all'inizio, ora ogni tanto, se magari
sul sedile sono in due e mentre uno tiene la strada, l'altro, chiamato
il secondo pilota, si abbassa. Non mi ricordo di aver mai visto Giò
alla guida, e spesso scende prima di essere partiti. La mamma dice che
Giò bisogna distrarlo. Nel pullman, di fianco all'autista, c'è
un microfono ma da anni è vietato per me cantarci dentro e non
ci provo più, Giò invece continua a dire: ed ecco a voi
Claudio Cicchetto e poi se ne va.
Il momento più divertente e' quando si sale e si saluta l'autista,
buongiorno signora, buongiorno signor, si chiede la rotta del viaggio
e poi si sceglie il proprio posto. Il viaggio è abbastanza noioso.
Quindi è tutto un saliescendi e un arrivederciegrazie, e non andiamo
mai da nessuna parte, tranne quando il nonno ci porta in Svizzera, che
è un paese neutrale in cui si arriva a piedi da casa mia al lago.
Neutrale significa che durante la guerra molte famiglie di ebrei perseguitati
scappavano in Svizzera attraverso il bosco e, se arrivavano ancora con
la luce del giorno, il nonno li nascondeva prima nel pollaio. Mio padre
si ricorda di una signora grassa con il cappello con la veletta, una bambina
con le trecce tipo Mercoledì e un marito con gli occhiali di Camillo
Benso, il conte di Cavour, che aspettavano nel pollaio e sono arrivati
i tedeschi ma non li hanno visti. Altrimenti oggi non saremmo qui. Da
grande voglio fare la missionaria, perché fare la suora è
molto più difficile, primo perché non si viaggia mai, a
parte i santuari e le gite. Quanto a Gesù, non riesco mai a capire
come può essere la stessa persona Gesù Bambino, Gesù
semplice senza cognome, il Signore Gesù, e anche Cristo quando
la mamma grida. Il nonno dice che la mamma è contenta, ma come
una farfalla. Se guardi bene le farfalle, e io lo faccio sempre perché
dopo i koala sono il mio animale raro preferito, ti accorgi che sono completamente
pazze. Volano in alto e in basso, ma anche da destra a sinistra, e quando
si posano sembra sempre che non sanno dove andare dopo o che non sono
contente di dove sono state. Ma sono felici del cielo.
A casa certe volte, invece, viene a trovarci Babbo Natale, che ha i piedi
più grossi del Bambino Gesù, perde una specie di paglia,
dicono che sia il cibo che mangiano le renne, e porta degli scarponi con
la suola divisa in due pezzi. Due cartoncini, io ora lo so. Che non esistono,
intendo. Giò non lo ammette mai.
Foto
Il dottore
dice proviamo ad assecondarlo ed eccoci qua. Il babbo dice Giò
ha bisogno di figure positive. Gli piacciono primo i pagliacci, secondo
i Rokets, terzo il Natale con i suoi personaggi. Per un po' siamo andati
al circo: ho la foto di me insieme a una scimmia con le scarpe uguali
alle mie, cioè rosse col laccetto, e la foto di me sull'elefantessa
del circo Medrano, che è più piccolo dell'Orfei ma ha la
segatura uguale spiaccicata. Sono stata anche truccata da Jack La Cayen,
quello che mangia le tazzine. Se le mette tutte nella bocca, giuro. Giò
una volta ha scavalcato il bordo ed è corso a braccia apertissime
in mezzo alla pista gridando Pagliaccio! al pagliaccio che non sapeva
cosa fare o dire e si dimenticava di fare il pagliaccio, soprattutto quando
lui gli si è appeso seriamente a una gamba. Abbiamo smesso col
circo.
I Rokets non so se sono proprio una figura positiva, c'è di buono
che sono d'argento. Giò ha la maschera dei Rokets, la tiene sotto
al cuscino e quando se la mette e poi si vede in uno specchio del corridoio
si spaventa. Mio fratello è Zorro, ha lo spadino per farci dei
lividi, mia sorella è un coniglio bellissimo e io Anna Bolena,
perché il babbo è appassionato di storia e quindi io purtroppo
nella vita non sono mai stata una Colombina.
Sul Natale invece siamo tutti d'accordo, ci piace molto. La mamma dice
che abbiamo una casa piena di ciaffi, che sono oggetti tipo una sega,
uno zoccolo olandese, un portacenere a forma di testa di diavolo, quindi
l'albero sul terrazzo con gli angiolini di legno è il meno. Così
questa mattina, come ogni giorno, per noi è Natale e per me è
ora di scendere dalla scala. Il babbo ha già colto le ortensie
per il centrotavola, che devo fare io che mi ero presa l'impegno, e qualche
rosa, e le ha appoggiate sul tavolo fuori. Questo perché vicine
al lago le ortensie pullulano, mentre le rose sono più proibite,
così come fare mazzi di fiori sul tavolo della sala.
All'inizio inizio dell'assecondamento, erano proprio Natali natali: i
piatti di oro zecchino, le posate pesanti, i bicchieri sottili, i ravioli
e l'arrosto. Oggi, che è uno di quei natali normali, senza regali,
con le orme del Bambino, ma non si dice mai buon natale, in cucina hanno
preparato le polpette per me e le patate di sogno secondo me per mio fratello.
Voglio chiarire che le patate fritte a casa mia sono di tre tipi: a fiammifero,
a dadini, e di sogno, cioè tagliate quasi come le patatine dei
pacchetti. La mamma dice patate di sogno per il quieto vivere.
Non bisogna dire troppo in giro che oggi e domani e magari dopo è
Natale, sono questioni di famiglia, e se lo diciamo in giro, sono questioni
di bambini. Al Natale di gala del 25 dicembre, invece, c'erano centinaia
di invitati, ma neanche un fata e neanche un gigante. Giò ha ricevuto
una moto verde, l'ha guidata in mutande su per la scala dell'orto e si
è molto sbucciato senza piangere. Quel giorno le orme delle renne
arrivavano fino al ciliegio e poi sparivano, primo perché si perdevano
nella neve, secondo perché le renne sanno volare. Io ho la moto
bianca da competizione cross e ho bruciato l'Alberto con la marmitta,
perché la ghiaia è scivolosa di sassi e sono scivolata davanti
al cancello ma anche davanti a mio papà (ex pilota). L'Alberto
ha tagliato la testa alle mie barbie solo perché il nonno gli aveva
insegnato come fare con i polli, e il bollo che gli ho fatto sulla gamba,
dice, non c'entrava niente.
Oggi dopo pranzo andiamo tutti a festeggiare il Natale dei giorni qualsiasi
all'Alpe Tedesco, che è la nostra gita preferita, anche se Giò
forse non scende dalla macchina. Qualche volta scende, e striscia i piedi
per non staccarli da terra e si appoggia alla portiera. Dice che nella
montagna vive un diavolo zoppico ma, veramente per essere sinceri, non
l'abbiamo visto mai. Da piccola credevo che nella casa verde abitava un
mostro di nome Catagno, e mio fratello una volta l'ha visto e me l'ha
anche detto. Si è preso due dita dal papà. Adesso lì
ci abita il figlio di una signora, quello che ha appiccato il fuoco nel
bosco. I cerini ce li aveva Giò nella tasca. Un vicino è
andato arrabbiato dal nonno che stava parlando con Giò, e gli ha
detto telchì lo scemo della Vignazza, che è il nome della
collina di casa nostra dove una volta erano tutte vigne. Il nonno gli
ha spaccato la bocca con uno schiaffo, perché è forte anche
se è molto magro. Da giovane era commendatore medaglia d'oro, adesso
è solo il nostro nonno e io so che ha una malattia. Porta gli occhiali
con i luccichini neri, che erano della zia e funzionano ancora, e gli
dispiace quando ci laviamo. Dice che puliti puzziamo di droghiere, soprattutto
io. Allora non mi sono lavata da giovedì e profumo solo di cloro.
Noi in famiglia non siamo gente che fa i tuffi a bomba, perché
abbiamo il trampolino a ala di gabbiano. In più, in piscina non
possiamo fare la pipì, perché un liquido chimico la trasforma
in un serpente blu sotto gli occhi specialmente degli ospiti.
Abbiamo provato tante volte a far comparire questo particolare tipo di
serpente, e ci siamo piano piano stufati prima tutti e poi io. Invece
nella mia vita sono sempre rimasta appassionata di mazzi di fiori: colgo
le margherite più rosa, gli taglio la testa e le infilo una per
volta nel gambo della margherita più lunga che riesco a trovare.
Senza gambo non possono bere l'acqua e muoiono subito, ma per un'ora sono
bellissime, come le ortensie quando il mio cane ridendo le strappa e finiscono
per caso a galleggiare in piscina. O come quelle anatre che una volta
hanno fatto il bagno insieme alla mia mamma che nuotava a rana. Queste
oggi sono le mie opzioni di bellezza, e ne devo scartare una per non confondermi.
Scarto le anatre, e metto nel vaso i fiori blu e le rose bianche macchiate
di verde chiaro, mancano solo le bacche rosse dell'aster per fare proprio
natale, ma forse non se ne accorge nessuno tranne uno. Il nonno suona
veloce la campana che vuol dire a tavola tutti e subito. Li sento arrivare,
sono la mia famiglia proprio come nella canzone "io sono la vite
e voi siete i tralci miei", e li riconosco ognuno dai suoi passi:
il papà con gli zoccoli era in terrazza, i miei cugini correvano
a piedi nudi e silenziosi giù dalla scala dell'orto, mia sorella
apriva lenta il cancello con in mano la brocca dipinta "bevi amore",
i grandi donne tintinnavano la tavola, mio fratello invece è ancora
appeso al trapezio appeso al noce. Giò, in canottiera a righe bianche
e blu, è già seduto a capotavola. Gli sorrido dalla finestra
e penso, sottovoce, Buon Natale in agosto a te, scusami se non ho trovato
quelle bacche.
Foto
Cinque mesi dopo aver dato quello schiaffo in difesa del piromane di casa,
e due giorni prima del mio decimo compleanno, il nonno è morto:
ero dal dentista quando la mamma me l'ha detto così, senza giri
di parole come fanno le mamme. L'apparecchio mobile è di nuovo
rotto per colpa mia, il canino sinistro non vuole saperne di arretrare,
né l'arcata superiore si decide a vestibolarizzare correttamente,
che a tutt'oggi non so bene cosa significhi nonostante il mio sorriso
sia impeccabile, e mio nonno è morto, bisogna partire subito. Se
ci ripenso, al suo funerale eravamo tutti occupati a fare i grandi per
far piacere ai grandi, tranne Giò che, come sempre, interpretava
se stesso. L'ho visto allontanarsi dalle chiacchiere dei presenti, impegnati
a ricordare quello che per noi era ancora ieri, era ancora maglioni a
righe e pomodori da cogliere e pulire con la manica di una felpa, e prendere
una scala di quelle alte per salire fino alla tomba del nonno, l'ultima
della fila e la più vicina al cielo. Ha fissato a lungo la parete
di mattoni appena posati e, a quel punto lo fissavamo tutti, ha bussato
una, due, tre volte. Poi lo ha chiamato, ma piano. E anche noi, ma in
silenzio. Quel giorno Giò ha fatto quello che noi avevamo deciso
di non poter fare più: forse eravamo diventati grandi davvero,
dentro ai nostri loden blu. Di fianco a Giò, ma non insieme a lui,
come sarebbe stato per molti passi della nostra traballante vita a venire.
Foto
Avrebbe voluto il lago, per la sua festa di compleanno, i fuochi d'artificio,
il falò, la grigliata e le sue ali da angelo. Mia sorella, l'artista
numero due di casa, l'ha convinto, e lui si è trovato immediatamente
d'accordo, come se si trattasse dell'unica spiegazione possibile alle
sue perplessità, di essere un angelo. In incognito. Gli ha spiegato
che la gente spesso lo tratta male, perché non può riconoscerlo
né capirlo. E lui prosegue imperterrito nel tentativo di fare del
bene, facendo attraversare la strada a presunte vecchiette di cinquant'anni
o impossessandosi delle borse della spesa di ignari passanti o regalandomi
tazze di Minnie o suonando le campane in chiesa e specialmente pregando
per noi. I nonni lo hanno visto assumere posizioni da santo davanti allo
specchio: erano prove casalinghe di benedizione. Del resto, porta con
sé i segni di un passato ancora più sfolgorante, misticamente
parlando. Nelle recite natalizie della sua scuola ha da sempre interpretato
Gesù Bambino, per via degli occhi azzurri e dei riccioli biondi:
un bimbo salvatore di 80 chili e con gli occhiali da miope per guardare
da vicino chi avesse eventualmente bisogno di lui. Un giorno gli hanno
trovato nella tasca del cappotto lo scontrino, sospetto, di una farmacia.
Aveva incontrato una prostituta, ha chiarito poi, terrorizzandoci. Mentre
lei cercava di adescarlo, Giò sapeva, le regole del cuor suo sono
ferree, di non poterle assolutamente dare del denaro. Ma se quella signorina
di paillettes chiedeva dei soldi proprio a lui, che ne aveva in tasca
solo qualche pezzo, pezzi li chiama, perché non conosce i numeri,
significava che ne aveva realmente bisogno. Così, dopo essersi
fatto un'idea del problema, si è diretto sereno verso la farmacia
e ne è uscito con in una mano lo scontrino dello scompiglio e nell'altra
una scatola di tampax.
Quanto alla sua festa, ci siamo arenati a metà lista degli invitati.
Alcune persone gli fanno paura, di altri ha un ricordo lontanissimo ma
preciso. Non siamo ancora riusciti a capire chi fosse quel tale con la
Ferrari che voleva assolutamente invitare. Ma da tempo abbiamo dato un
nome al martello, ai silenzi, ai piedi trascinati, all'aggressività,
ai cerini e alla calma ansiogena che ne è seguita: autismo, in
una delle sue svariate forme, unito a ritardo mentale. E mentre scrivo
questo di lui, ogni parola pesa e mi guarda. Allora lo abbraccio, e Giò
si irrigidisce voltando la testa da un'altra parte. Lo chiamano, tecnicamente,
lo sguardo del principe. Ma spesso ho visto il principe fissarmi le tette,
ridere cercando di toccarmele e facendo finta che la mano non fosse assolutamente
la sua, ma una mano scivolata lì per caso o per il frullar distratto
delle ali di una farfalla nel Chaco. (Il Chaco è la regione della
Patagonia in cui, secondo mio nonno, sua figlia è andata a vivere
dopo la morte, quindi sappiamo tutti dove si trovi esattamente).
Mia madre che, curiosamente, per Giò rappresenta l'autorità,
saranno i capelli biondo platino, saranno i mille gioielli, gli ha regalato
un pappagallo di peluche che ripete le parole. E mi ricordo una notte
di Natale, quello ufficiale, non uno dei nostri natali segreti, in cui
nel silenzio della chiesa si è sentito distintamente cantare "amore
fai presto, io non resisto". Giò aveva istruito per bene il
suo pappagallo parlante, gli è sempre piaciuta la Vanoni.
Un luminare della neuropsichiatria, a Parigi, ha cercato di riportare
Giò a una condizione di coscienza prenatale, riproducendo i suoni
della placenta materna dove, forse, era avvenuto il trauma. Suo fratello
Alberto, che lo aveva accompagnato e partecipava anche lui all'esperimento,
mi ha raccontato che quei suoni lo rendevano capace di creare strutture
impensabili, come un enorme castello di carte che avrebbe potuto resistere
a una tempesta. Giò invece ha fischiettato O sole mio, con le mani
incrociate salde dietro alla schiena.
In tasca gli trovo minuscole calze, le hanno perse i bambini, mi racconta
beato. Quando è nata la sua sorellina più piccola mi ha
assicurato che sarebbe rimasta in ospedale circa un anno perché,
a guardarla da vicino, era troppo piccola per andarsene a casa. Credevo
non si sarebbe mai più ripreso dalla crisi dei capelli. Se li era
tagliati da solo, e ho fatto una puttanata, ripeteva, non si può
più tornare indietro. Per mesi si è toccato la testa dondolandosi.
Non riusciva a scusarsi. Poi, così come era venuta, la crisi è
passata, anche se lui, forse per non cadere in tentazione, ma anche per
un qualsiasi altro dei suoi validi motivi, tiene i ricci più corti.
Fino a qualche tempo fa girava, forsennato, in bici per Milano. Ora viaggia
in tram, assorto sulle panche di legno del numero tre, per via dei suoi
problemi, dice, gli stessi che gli impediscono di avere amici. Una fidanzata,
però, ce l'ha da anni. Si chiama Susanna e non l'abbiamo mai vista,
ma so che le piace ballare e che il sabato vanno insieme a mangiare un
hamburgher in piazza Duomo. Da grande Giò vorrebbe avere una famiglia
e mantenerla lavorando come barista, specializzato nella preparazione
del caffè. Tempo fa una cooperativa l'aveva assunto e non riesco
a ricordarmelo più felice, col grembiule addosso e la bici appoggiata
al muro d'ingresso. Preparava centinaia di caffè gratis e nel fondo
della tazzina galleggiava il suo sorriso da stregatto. Quella è
stata la sua età dell'oro, prima che davanti alla bocciofila venissero
piantate palme in plastica e Giò fosse allontanato a passi di salsa
dal suo agognato impiego di sposta-casse con abilitazione parziale alla
macchinetta del caffè.
Alla fine, riguardo alla festa di compleanno, si è deciso per un
pranzo in casa, 10 gli sceltissimi invitati, che hanno regalato uno zaino,
un finto gatto accoccolato in pelliccia, una camicia di jeans e una fetta
di mortadella gigante. Mio padre: mio padre ha ordinato una di quelle
torte maestose di panna e meringa, gli zuccherini a fiori azzurri. Ha
espressamente richiesto alla pasticcera di trovare un angelo, sempre in
onore di chi esercita la professione in incognito, da posizionare in cima
alla torta ma, perlomeno a casa mia, il destino è sempre in agguato.
Scartate le immagini dei pokemon, del milan e, col senno di poi, non voglio
sapere di che altro, mio padre ha convenuto che il soggetto a disposizione
più simile ad un angelo fosse Martina Colombari, come in quei giochi
di associazioni mentali che facevamo noi da piccoli. Si partiva da un
melo e si arrivava saltellando su un piede solo a Okinawa: così
abbiamo festeggiato i 30 anni di Giò tagliando le tette rifatte
di un'ignara soubrette, adagiata tuttanuda tra le volute di panna, come
un fuoco d'artificio sulla tovaglia in fiandra della mamma. Della Colombari
ho scelto di mangiare il gomito, perché c'erano attaccate due meringhe.
E non potrò mai più guardarla alla televisione intenta a
rispondere alle domande dei cronisti del pomeriggio, quelli che ti chiedono
cosa è per te lo charme, e se la bellezza all'inizio aiuta, senza
pensare a quanto le vie dell'affetto siano, perlomeno a casa mia, insondabili.
Questi non sono i segreti di Giò, ma solo un quadretto, appeso
storto, di quello che io so di lui. Alberto negherà quella faccenda
del mio piccolissimo pisello, e chi vive quotidianamente con Giò
sa che l'evolversi della malattia è stato molto più doloroso
di quanto ho raccontato, così come le reazioni di ognuno di noi
sono state più scomposte e devastanti. Insieme a lui, tutti i giorni
sono da riempire e affrontare e spesso da ricostruire. Ma detesto la parola
diverso, è come dire speciale tra virgolette. Giò per me
è, né più né meno, un pric, per usare una
parola che ricordo di aver visto scritta in conclusione ad una sua lettera
a Babbo Natale. Stanco di non vederlo apparire di persona, nonostante
le quotidiane orme di farina e i segni inequivocabili del suo passaggio
notturno, Giò ha richiesto ufficialmente la sua presenza, insieme
ad un galeone playmobil e ad una bacheca di legno di 4 metri per 44, firmandosi
questa volta con nome e cognome, e aggiungendo in calce una formula precisa:
Pric. Nessuno di noi ha mai saputo da Giò cosa significasse quel
suono scritto, nè ha mai completamente decifrato il codice segreto
che regolava i suoi rapporti con Babbo Natale e con la vita.
Pric.
SCRIVI
ALL'AUTORE
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Dicembre 2006
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Intro
FRANCESCA RAMOS
Domenica
FEDERICO MIOZZI
TEMA : “Racconta la tua settimana bianca”
MICHELE ROSSINI
Dentro una batana bianc’azzurra
GIORGIO FONTANA
In tempo di pace
ALESSIO ARENA
Il Santo
NOTE
BIOGRAFICHE
SPECIALE
Visitatore
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