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Roberto
Moroni
Meritava più
attenzione (e anche più fortuna) il romanzo d'esordio di Roberto
Moroni "La verità Vadovunque". Perché era un libro
ambizioso e ricco di commistioni: dal romanzo generazionale a quello di
formazione, dal giallo alla parodia, dalla narrativa di sapore scientifico
al barocco letterario. Forse troppo per un libro solo, ma bisogna pur
avere il coraggio di rischiare ogni tanto, no? Alla richiesta di un contributo
per 'tina, Roberto ha estratto dai cassetti questo racconto, una sorta
di fantasy sui Ricchi e Poveri (!), pensato un curioso progetto di satira
musicale, poi infelicemente abbandonato. Leggendolo io ho riso molto.
Un racconto che si candida fra i più esilaranti mai apparsi su
questa virtuale rivistina.
Un
giorno brutto nella vita dei Riccheppoveri
LA
LEGGENDA DELL'OCCHIENA MALEDETTA
Non è facile esser Marina, specie se sei anche occhiena e pure
figa.
Già, in barba a tutte le invidie e le maldicenze dello show-business
(specialmente a quelle della sua ex amica Angela), Marina strusciava malinconicamente
le ballerine argentate su e giù per la passeggiata del Pincio non
vergognandosi di pensare quello che pensava. Il mondo, negli ultimi tempi,
sembrava averla emarginata.
Tutto, a ben guardare, si riduceva ad un antipatico equivoco verificatosi
anni e anni prima, e che il pubblico sembrava aver recepito benissimo:
quello del nome del gruppo e dei suoi componenti. E dell'immagine degli
stessi, ovviamente.
L'ensemble vocale era stato costituito con un occhio all'arte e uno al
marketing. Marina non si ricordava nemmeno come c'era finita, in quella
situazione. Le origini di tutto le erano state spiegate solo di recente
(incredibile!) da comuni ed indiscreti amici. Tali origini non erano conformi
a quanto lei stessa sapeva o aveva immaginato, ma ciò non la sorprese
perché non pensava di essere una grande cantante, solo un'onesta
mestierante, intonata quanto basta. Pare che Angelo (il biondo bello)
e Franco (il moro brutto coi baffi e il nasone), soddisfatti delle qualità
vocali dell'Angela, avessero deciso che, ragazzi, va bene l'Angela ma
qui ci vuole la sventolona, una tipo la bionda della Peroni, chi se ne
impippa se canta o meno, qui bisogna dare agli italiani il Sogno Erotico.
Oltretutto magari poi me la trombo pure, aveva pensato segretamente Franco,
il brutto del gruppo, sempre che Angelo si tolga dai piedi. Angelo e Franco
ne avevano fatte tante, insieme.
Ne avevano provate un po'. La ricerca non era stata facile. Andarono a
pescare nell'ambiente dei professionisti e venne fuori che, ad esempio,
Gilda Giuliani poteva andar bene per l'ensemble da un punto di vista strettamente
musicale, ma non era bionda e poi era scarsa di tetta. Franco e Angela
erano mediterranei; Angelo, dall'aspetto bell'e biondo, era in realtà
il più mediterraneo di tutti: il suo cognome tradiva l'odiata origine
insulare.
All'inizio avevano un'altra idea.
Franco, il vero motore dei Riccheppoveri, era andato di recente in Calafohunia
in cerca di idee: voleva vedere dal vivo questo famoso quartetto vocale
che cantava Calafohunia Gimin' e che non era mai stato in Italia; gli
piacevano le delicate sonorità sprizzanti dal complesso dell'omo
nero baffuto, l'omo biondo sbarbato, la madonna bionda bona e la ciccia
brutta col neo peloso, ossia la Mama Cazz.
Li vide e da allora niente fu più lo stesso di prima.
Tornò in Italia, e quando chiese ad Angelo (che zappettava nell'orto
con solo una canottiera indosso) cosa ne pensava, quel pezzo di bel biondo
rispose alla maniera della Calafohunia: alàichet, alàichet.
Lez duit dis uei, auar ensemble. Tutto uguale, copia speculare.
I due ne avevano fatte tante, insieme.
Poi Franco ci aveva ripensato perché non era mica scemo. Vista
così, sarebbe andata a finire che uno dei due avrebbe dovuto far
coppia con la ciccia brutta col neo peloso, magari molto brava e intonata
e tutto quanto, ma sempre brutta. E quell'uno dei due, fatale, sarebbe
stato lui, perché era brutto uguale. Doveva essere bella, o almeno
piacente, sennò con che faccia avrebbe scritto canzoni come Sarà
perché ti amo pensando a una come la Mama Cazz?
Poi, dopo l'Angela, un'altra bruna? No, ci voleva la nordica, e prosperosa
pure.
Ho un'idea, aveva detto ancora Franco, che quanto a belle pensate non
lo fregava nessuno. Ho saputo che dietro lo Stadio dei Marmi c'è
un vivaio di occhiene. Mai sentito cantare le occhiene? No, aveva risposto
Angelo, che era un po' scemo, mai sentite in vita mia. Le valgono 50 lire
di miscela? Ma certo, aveva risposto Franco, fidati di me che so quello
che dico.
Quante ne avevano fatte insieme, quei due!
Così un giorno, di buon mattino, i due amici artisti inforcarono
i loro Califfi truccati e, con un paio di Ray-Ban a pera saldamente pinzati
al naso, attraversarono il quartiere Prati per arrivare a destinazione
(sbagliarono strada un paio di volte ma raccontare questa disavventura
potrebbe sviare il lettore).
Entrate nel vivaio, le due simpatiche canaglie cercarono subito il responsabile
di quel posto, individuandolo quasi immediatamente in Madre Agostina,
una suora minuta ma aguzza e tagliente, con gli occhi del color del fuoco
e un naso piccolo e appuntito che sembrava penetrarti la coscienza come
uno spadino lacera la gommapiuma. Quante ne avevano fatte, Franco e Angelo,
e quante ne avevano da nascondere! Si sentivano intimiditi, nudi.
Madre Agostina aveva già capito tutto.
Così volete un'occhiena, eh? E sia. Ecco a voi!, disse severa la
Madre accompagnando i due artisti nella Sala Della Grande Vasca.
Ma.... allora non era una leggenda! Allora esiste veramente!, trasaliva
Franco 'o ribell' 'e mustacchio dinanzi alla visione che gli si prospettava.
Un gigantesco vascone, pieno di decine, ma che dico, centinaia, ma che
dico, migliaia di occhiene, tutte nude, col capello biondo e l'occhio
azzurro.
Preferenze?, disse Madre Agostina.
Una qualunque, aveva detto Angelo, che era un po' scemo.
Ma no, che dici, aveva interloquito Franco, che era il vero motore del
gruppo. Ce ne dia una che sappia cantare, bene.
Tutte le mie occhiene cantano bene!, esclamò scandalizzata Madre
Agostina!
Allora ce ne dia una che ha fatto il conservatorio e che ci piaccia Severino
Gazzelloni, disse Franco, esigente ma sempre più intimidito.
Benissimo, aveva detto Madre Agostina, e arrampicatasi su una lunga scala
a pioli e arrotolotasi la manica, aveva afferrato per le gambe una meravigliosa
occhiena dalla voce flautata.
Ecco a voi, aveva detto per la seconda volta la Madre. Sono cinquemila.
Dove ve la faccio consegnare?
No, no, aveva detto Franco, ce la incarti che ce la portiamo a casa subito.
Siamo qui in Califfo.
Ah, complimenti, fece Madre Agostina.
Quei due, che già ne avevano fatte tante insieme, adesso ne avevano
fatta un'altra!
"E questa
chi cazzo è?"
La voce dell'Angela risuonava per le innumerevoli, vuote stanze del monolocale
in cui i tre avevano vissuto finora. Chi cazzo è?, Chi cazzo è?,
continuava a urlare, pazza di gelosia.
Franco e Angelo avevano tentato di spiegarle tutto in termini tecnici:
vedi, Angela, esigenze di marketing, bla bla, strategie di vendita, bla
bla, individuazione del target, bla bla, posizionamento sul mercato, bla
bla, headline vincente, bla bla, packaging, bla bla.
Niente da fare.
Tutto ciò che l'Angela leggeva in quelle vuote parole era: GROSSA
FIGA CON GLI OCCHI BLU.
Questo la mandava in bestia, perché lei era piccola e nera e rasata
che sembrava Calimero, emetteva potenti ma proletari, poco educati rombi
sonori con l'ugola d'acciaio e, insomma, quella cosciona dalla voce gentile
non se la poteva proprio vedere attorno.
Angelo e Franco videro la mala parata. Ne avevan fatte tante insieme,
quelle due canaglie, così Franco disse "Angela, beh, adesso
noi usciamo a farne ancora".
Ora che avevano finalmente raggiunto il line-up, dovevano trovare un nome
per l'ensemble, che però non fosse "Le Mamme e i Papà"
che era venuto in mente ad Angelo. Che nome del cazzo!, aveva subito detto
Franco. Andiamo via che è meglio, aveva aggiunto.
Angela si era sentita tradita ma, una volta chiusa la porta, uno strano
ghigno si era dipinto sul suo volto: a noi due, bocconcino, aveva detto
guardando diabolica quel bambolotto appoggiato con gli occhi fissi sul
mondo ostile, lei, l'occhiena maledetta.
Angelo e
Franco si erano seduti al bar figo della RaiTV, "Vanni", sì,
proprio quello dietro Viale Mazzini, quello delle stelle dello spettacolo.
Angelo, che era un po' scemo, era tutto proteso in avanti e pendeva dalla
labbra di Franco; il quale era invece estremamente rilassato e contemplava
il viavai di superstar, salutandone sporadicamente qualcuna, come Vanna
Brosio o Giuseppe Pambieri.
Era stato allora che Franco aveva detto ad Angelo: "ma insomma, Angelo,
tirati su, abbi un po' di dignità, scusa. Proprio non perderai
mai quell'atteggiamento da minatore del Sulcis?".
Angelo si era sentito ferito, ma era stato zitto perché in cuor
suo sapeva che Franco era il vero motore del gruppo. Stava cercando infatti
un nome per l'ensemble che se, al contrario della Mina, non avesse avuto
paura di prendere l'aereo, sarebbe certo diventato il più importante
del mondo. Le loro canzoni le avrebbero ascoltate anche a Phnom Penh.
Infatti, passano non più di due minuti che Franco, concentratissimo,
salta su: ho un'idea. Bene, bene!, aveva applaudito il succube Angelo.
Ascolta, diceva Franco, bisogna dare l'idea che al mondo ci sono due classi
sociali. In fondo il periodo è quello giusto. Siamo o non siamo
alla fine degli anni sessanta?
Ho capito, aveva detto Angelo. "Sfruttati e sfruttatori".
Una cosa del genere, aveva risposto Franco.
"Padroni e operai", proponeva Angelo.
Anche, rispondeva Franco, però c'è qualcosa che non mi convince.
"Borghesi e proletari", aveva ribattuto Angelo.
Sì, sì, assentiva Franco, ma ancora una volta c'è
qualcosa che non mi convince. Un diavoletto dentro di me mi dice che possiamo
fare ancora meglio.
Improvvisamente, dall'affollato tavolo accanto al loro, si era levata
una giovane voce che diceva "Riccheppoveri".
Ci siamo! aveva urlato Franco sbattendo un pugno sul tavolo.
Vanni, il padrone del bar, li aveva guardati male. Franco urlò
ancora: Riccheppoveri! Questo è il nome con cui rivoluzioneremo
il mondo!
Ma la giovane voce che veniva dal tavolo a fianco ammonì Franco:
tu dici che vuoi la rivoluzione, beh, sappi che anche noi vogliamo cambiare
il mondo.
Tu sei un giovane che farà strada, aveva detto compiaciuto Franco,
io di queste cose me ne intendo. Come ti chiami, o giovine di belle speranze?
Maurizio Costanzo Show, aveva risposto il bravo giovine.
Tu hai coraggio, talento, inventiva da vendere: diventerai una stella,
aveva detto Franco.
Le stelle sono tante, aveva obiettato il bravo giovine.
Milioni di milioni, aveva aggiunto Angelo, a cui non sfuggiva nulla.
Un Negroni al tavolo sei!, aveva ordinato dal bancone il barista Vanni.
Angelo e Franco ne avevan fatte tante insieme, ma quello che avevano visto
tornando a casa li aveva lasciati impietriti, di sasso, a bocca aperta
e con un palmo di naso.
Era la grande vendetta dell'Angela.
Un biglietto appeso con un pugnale alla porta!, aveva detto Franco.
Scritto con caratteri di giornale!, aveva detto Angelo.
Il biglietto diceva: NoN PorTatE AltRe OccHieNe In QueSta CaSa. Un aMicO.
All'interno, spargimenti di sangue ovunque. Il monolocale era diventato
una pozza ematica. Sangue sui quadri, sulla teiera, sui bow-window, sull'apparecchio
TV, sul modellino di locomotiva, sul grande tavolo fratino, sulle cassapanche,
sui broccati, sugli arazzi, sul trumeau, sulla poltrona Luigi XVI, perfino
sul gigantesco lampadario di cristallo che dominava il soffitto. Sangue,
sangue e ancora sangue. Franco e Angelo non avevano ancora varcato la
soglia dell'appartamento e le loro camicie erano già inzuppate
di sangue.
Dell'Angela, nessuna traccia.
Dell'occhiena, tracce ovunque. Un dito qua, un occhio là, un ombelico
laggiù.
L'occhiena era stata barbaramente trucidata, e su questo non ci pioveva.
Mi domando chi può essere stato, aveva detto Angelo.
E' chiaramente un avvertimento, aveva risposto Franco.
Abbiamo bisogno di un'altra occhiena, aveva detto Franco a Madre Agostina,
la voce tremula, il baffo sempre più ribelle.
Che fine ha fatto quella che vi avevo dato?, chiese l'anziana suora.
Sono particolari che non la riguardano punto, aveva detto Angelo.
Povera occhiena, era così brava!, sospirò cogli occhi al
cielo Madre Agostina che anche stavolta, non si sa come, aveva capito
tutto.
Sempre sia lodata, disse Franco.
In nomine patri, fili et spiritus sancti, aggiunse Angelo, perché
gli pareva che ci stesse bene.
Madre Agostina non esitò ad impacchettare una nuova occhiena per
i due amici.
Era assolutamente identica all'altra, eppure era più alta, più
formosa, con gli occhi più azzurri, e la sua voce era anche più
melodiosa della vecchia.
Cirrrp!, fece la nuova occhiena.
Sono seimila, disse ai due l'anziana suora.
Ma come, aveva detto Franco, il prezzo è salito nel giro di mezza
giornata?
E' un articolo che va molto, si era giustificata Madre Agostina mentre
emetteva ricevuta fiscale.
Seimila, a quei tempi, erano un sacco di soldi.
Sotto casa, Franco aveva detto ad Angelo: tu rimani qui con l'occhiena,
io vado su e vedo di parlare con l'Angela. Ci voleva del tatto, ed Angelo
era troppo scemo per avercelo.
L'Angela, che era sì diabolica ma si sentiva molto in colpa, aveva
nel frattempo ripulito tutto il sangue e preparato una splendida cenetta.
Aprì la porta a Franco con un grande sorriso, indosso un grembiule-moda
a fiorelloni che aveva appena acquistato col PostalMarket.
Franco era stato molto convincente. Aveva detto all'Angela che era necessario
avere nell'ensemble un'occhiena, che al giorno d'oggi se non hai l'occhiena
non vai da nessuna parte. Non doveva per forza volerle bene. Lei avrebbe
potuto fingere di esserle amica e poi, voltate le spalle, combinarle delle
carognate terribili. Ma per carità, non avrebbe dovuto farle quello
che aveva fatto con la vecchia occhiena. Oltretutto costavano anche tanto.
A quei tempi nessuno aveva ancora fissato il cartello sul mercato delle
occhiene. C'era libera contrattazione, e il ladrocinio era dietro l'angolo.
Dietro tali stringenti motivazioni, Angela aveva dovuto assentire. E va
bene, disse, sarò la sua Angela Custode.
Nel frattempo,
Angelo aveva cominciato ad allungare le mani. Scartato il pacco che era
stato così amorevolmente confezionato da Madre Agostina, il biondo
bello era appoggiato al portone di casa e stava legittimamente soppesando
la qualità della merce che aveva acquistato con la cassa comune,
frutto di tanto lavoro di zappetta nell'orto.
Farò di te una stella, aveva detto Angelo.
Sono un'animale d'acqua, rispondeva impertinente l'occhiena.
Allora farò di te una stella marina, aveva controbattuto il sardo
biondo, felice di aver trovato una risposta convincente alla prima botta.
E ti chiamerai Marina, concluse ispirato.
Sorse un
problema. Il nome "Riccheppoveri" come doveva venire interpretato?
Significava che Angelo e l'occhiena (biondi, belli e con l'occhio azzurro)
erano ricchi e che Franco e Angela erano cassintegrati dell'Italsider?
Oppure che tutti e quattro erano romanticamente ricchi di idee e di talento
ma poveri di tasca? Certo non poteva essere che i membri del gruppo fossero
ricchi di tasca e poveri di idee: andava contro le ricerche di mercato
condotte da Franco ed Angelo. Quante ne avevano combinate insieme, quei
due!
Alla fine il giudizio del pubblico ebbe la meglio: Riccheppoveri significava
che i due biondi erano I Ricche, e i due neri erano I Ppoveri.
Marina rimestava sia i ricordi che le ballerine argentate nella ghiaia
di lusso del Pincio.
Era proprio così: lei ed Angelo, presto divenuti amanti alla faccia
di Franco, erano di fatto i Ricche, e gli altri due i Ppoveri.
Si trattava di un grande sogno d'amore, con Angelo che la mattina presto
la veniva a prendere in Califfo con il suo giubbotto di jeans senza maniche,
e le sussurrava le parole dell'ultima canzone scritta da Franco.
Ma ad un certo punto, Angela, che era stufa marcia del nasone coi baffi
e la voce grave e anche un po' volgare, si era innamorata di Angelo, e
aveva pensato: perché Angelo e Marina? Molto meglio invece Angelo
e Angela, suona tutta un'altra cosa. Ma soprattutto: basta con l'esser
Ppovera, diodunamadonna.
E con la crudeltà tipica di tutte le Angele, aveva cominciato ad
inoculare il tarlo del dubbio nella povera occhiena, prima piano piano,
poi sempre più marcatamente.
La famosa brunetta cominciò, di nascosto, ad inserire alla fine
delle loro incisioni alcuni sibillini messaggi al contrario che dicevano
"ho sotterrato l'occhiena maledetta" o "morte non naturale
alla cornea cerulea".
Un'altra volta, durante la realizzazione della foto di copertina di un
loro long-playing in cui si vedevano i quattro attraversare la strada,
insistette perché l'odiata Marina posasse a piedi scalzi e vestita
di nero, mentre gli altri indossavano jeans e normalissime camicie. Dopo
l'uscita di quell'LP si alzò un polverone pazzesco, e i Riccheppoveri
finirono sulle copertine di "Rolling Stone" e dell' "Europeo".
Poi, visto che l'occhiena continuava a non capire, la perfida Angela aveva
deciso di essere ancora più esplicita.
Avvenne durante un rogo pubblico dei loro album, sponsorizzato da una
comunità di Amish che avversava il rock satanico.
Ma lo sai, le aveva detto tra un frizzo e un lazzo, che non sei mica la
prima occhiena che conosco?
Poi era venuta fuori tutta la storia, la storia dell'occhiena maledetta,
del clone di Marina barbaramente assassinato, quell'inquieto fantasma
di cui lei aveva preso il posto e che le aleggiava drammaticamente sulle
spalle da diversi anni.
E fu lì che la nuova occhiena, la povera Stella Marina crollò.
Le ballerine
argentate si erano finalmente fermate: le tenere scarpette dell'occhiena
occhieggiavano tristi ed assorte da un tavolino del Caffè Rosati,
praticamente lo Speakeasy di Roma Urbe.
Non è veramente facile essere un'occhiena, rifletteva la bionda
dei Riccheppoveri.
Dunque tutto sembrava finito, perso, scivolato nei nebulosi ricordi di
un passato di stelle filanti.
Ormai aveva perso tutto; Angelo, il mondo della canzone, e anche la voce
visto che si era beccata una laringite.
Che sarà della mia vita, chi lo sa?, si domandava, sapendo che
il suo futuro nell'ensemble era ormai segnato.
Ma, improvvisamente, un raggio del sole che pigro calava su Piazza Del
Popolo le infuse come un nuovo avviso di speranza.
Sapeva far tutto o forse niente, pensò, da domani si vedrà,
e sarà, sarà quel che sarà.
SCRIVI
ALL'AUTORE
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Dicembre 2006
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Intro
FRANCESCA RAMOS
Domenica
FEDERICO MIOZZI
TEMA : “Racconta la tua settimana bianca”
MICHELE ROSSINI
Dentro una batana bianc’azzurra
GIORGIO FONTANA
In tempo di pace
ALESSIO ARENA
Il Santo
NOTE
BIOGRAFICHE
SPECIALE
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