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Christian
Raimo
Raimo farà
grandi cose. E' impossibile pensare altrimenti, soprattutto se si considera
che a soli 25 anni questo ragazzo ha già tradotto volumi di gente
come Bukowski e Forster Wallace (e non so se avete idea di quanto complicato
deve essere rendere la prosa di Wallace in italiano. Non che Bukowski
scherzi, comunque). Impressione ancor di più confermata se si ha
avuto modo di leggere il suo potente libro d'esordio, la raccolta di racconti
"Latte", che contiene almeno tre o quattro storie memorabili.
Chi non l'ha ancora letta può cominciare a farsi un'idea della
prosa veloce e pungente di Raimo da questo raccontino inedito scritto
per 'tina. Storia di una crisi, di una lacerazione di coppia, che ha nel
dialogo il suo punto di forza. Raimo, fra le altre cose, è anche
un cabarettista e deve aver sperimentato a diretto contatto col pubblico
il potere e l'intensità delle parole. Anche quando non vuole affatto
far ridere.
CHA FACCIA HAI?
"Non so che cazzo dire", dico, "non so che cazzo dire."
Ho finito di urlare.
Lei rimane con una faccia appesa che quasi non voglio sia quella faccia,
ma invece è quella, e io la guardo ancora, sperando che a forza
di guardarla, quella faccia si trasformi,cambi, che non riesca a conservare
quella fissità per molto, che un nervo gli si ritorca sotto la
pelle, o che finalmente scoppi a ridere, e mi dica: "Ma sei un cretino!",
o "Ma davvero c'hai creduto?", o anche soltanto "Fran-ces-co"
con una qualsiasi dei milioni di espressioni che le conosco e che invece
pare che lei si sia scordata completamente, che le abbia vendute? Le espressioni,
tutto il milione di facce che le ho visto fare, così, venduto?
"Le hai vendute?", dico.
"Cosa?" fa lei.
"Niente."
Le guardo la pancia, una curva perfetta che le gonfia il vestito di cotone
beige. E provo a pensare che è forse a quella pancia che dovrei
parlare. Con quella creatura che adesso ha otto mesi, e che, secondo tutti
i libri sulla crescita del feto che lei tiene impilati in ordine di grandezza
sul comodino, è una creatura che ci sente, che dal sesto mese in
poi sente quello che succede qui, fuori dal suo paradiso di placenta.
E che l'ha sentite le proiezioni che dicono che è successo un disastro,
che qui fuori si gela, con tutto che è metà maggio, una
sconfitta di merda, con facce di merda una dietro l'altra qui alla tv,
e lui la voce di quelli di Forza Italia, di Alleanza Nazionale che gongolavano,
che parlavano ad alta voce apposta, le ha sentite, no?
"Hai sempre fatto scene assurde", dice lei. Ed espira: "L'hai
sempre avuta questa capacità geniale di scegliere i momenti migliori,
eh?." Espira ancora: "Si è immobilizzato, con tutte le
tue urla."
"Questo non è il momento?" dico, anzi lo chiedo proprio,
lo voglio sapere: "Questo non è il momento? Perché
no? Allora quale è il momento?"
"Sei uno stronzo, Francesco, e neanche più, neanche più
"
"Cosa?"
"
comprensibile. Non ti capisco neanche. Ma lo fai apposta a
distruggere quel minimo di dialogo che ci potrebbe essere? Perché
cerchi sempre la lite a tutti i costi, eh? Hai detto che venivi qui con
tutta la calma del mondo, e ora dove è tutta la calma del mondo?
E perché devi farmi la scena isterica perché ho votato per
un partito invece che per un altro? Ho maturato un'idea politica diversa
dalla tua, è questo che vuoi che ti dico? Okay, mi sta simpatico
Berlusconi, mi sembra una bella faccia. Ora la smetti di urlare?"
Sono stanco, c'ho il fuso orario addosso. Più di un giorno di viaggio.
Da Brasilia a New York a Roma, per rivederla (anche se le avevo promesso
di no, che sarei stato lontano, almeno fino al parto.) con la scusa di
venire a votare. Ma adesso mi sembra che scuse e intenzioni reali si siano
scambiate di posto. Io sono venuto qui a votare, e rivederla ormai non
misembra più che una scusa.
C'è una foto sul comodino di un tizio che non ho mai visto. Potrebbe
essere il suo nuovo tipo, assomiglia a Tom Cruise da giovane. "Chi
è?", le chiedo.
Lei è troppo concentrata su di me, non si accorge che io sto crollando
di sonno. "La foto, quella."
"È Marco."
Le conseguenze, penso, "Le conseguenze", dico.
"Che cazzo dici, Francesco, le conseguenze che?"
"Citavo la tua ultima lettera. Ti sei comportato di merda, e adesso
ti tieni le conseguenze. Tutte."
La guardo, e la sua faccia non è ancora cambiata, hai dei rimasugli
di trucco della giornata. In sei mesi che cosa è cambiato? Ha i
pori intorno al naso allargati. Ha i capelli raccolti. Le unghie tagliate,
da maschio, o le aveva già così? Ha cambiato idee.
"È soltanto un voto", mi dice con una voce senza espressione,
ora che mi vede rabbonito. "Stai facendo una tragedia per un voto.
Come se non già non ci fosse una situazione già incasinata",
mi guarda, "troppo."
Vorrei dire qualcosa di estremo. Qualcosa che butti tutto all'aria. Che
faccia venire i vicini a bussare, a chiedere se va tutto bene. Qualcosa
che faccia esplodere tutti questi equilibri pacati, di compromessi, di
la cosa migliore è, di razionalizzazioni. Vorrei sorprenderla,
farle crollare in un tic il trucco, il poco fard (se è fard) rimasto,
e poi la sua faccia. Dirglielo. Voglio riconoscerlo. Voglio riconoscerlo.
"Capito?"
"Eh?"
"Voglio riconoscerlo."
La sua faccia non cambia: "Falla finita, Francesco. Eh. Falla finita
qua, per piacere"
"Voglio rico-"
"Francesco, smettila. I tuoi teatrini li fai da un'altra parte. Perché
prima cosa, è una decisione già bella presa, e seconda cosa,
questo non è figlio tuo. Lo capisci? Lo capisci? Lo capisci?"
Le guardo la pancia, vorrei avere dei superpoteri: "Senti, porca
troia", dico, "ora sono serio." Ho gli occhi che mi fanno
male. "Questo figlio, se hai un minimo di coscienza, di sincerità
cazzo, c'è la possibilità che sia mio, sai? C'è la
possibilità che cresca e mi assomigli." Parlo gesticolando
un sacco, faccio caso per un attimo alle nocche delle mie dita. "Ed
è una decisione mia, siamo d'accordo, andarmene, sparire, starmene
in Brasile. Ognuno la sua bella vita tranquilla se così si può
dire, ma. Il fatto che io l'abbia accettato che sia così, per il
futuro, per il bene del bambino, per non so neanche più per che
cazzo, non vuol dire che non posso cambiare idea
"
È immobile, ogni muscolo del viso resta immobile tranne quelli
che le servono per parlare, pacata, composta: "Francesco, sono stanca.
Più di te, che c'hai il viaggio, il lavoro, lo stress, e non so
cosa. Mi sono stufata, Francesco. Potremmo parlare normalmente, potrei
spiegarti normalmente perché questo figlio non è tuo, o,
come preferisci, è estremamente difficile che sia tuo, ma mi sono
stufata pure di questo. Se non ti sta bene, fai causa, chiedi l'accertamento,
fai quello che ti pare. Mi sono davvero rotta, come dici tu, il cazzo.
Di sentirti. E anche di vederti. Mi dai fastidio. Ecco. Mi dà veramente
fastidio la tua faccia."
Da quanto tempo non sento un vagito?, penso. Se un bambino vagisce, vuol
dire che ha già le corde vocali? Mi chino sulle ginocchia, con
la mia faccia all'altezza della pancia, non la guardo più in faccia,
e urlo come una voce stridula: "Vatteeene! Vatteeene! Esci e via
viaaa! Lasciala quiii!". Lei mi mette una mano sulla bocca, prova
a coprirmi. "Vai dove vuoi, vai viaaa." Faccio un sorriso che
è un ghigno che è una smorfia dolorosa che è non
scoppiare a piangere: "In Brasile, boh", dico a non so chi.
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Dicembre 2006
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Intro
FRANCESCA RAMOS
Domenica
FEDERICO MIOZZI
TEMA : “Racconta la tua settimana bianca”
MICHELE ROSSINI
Dentro una batana bianc’azzurra
GIORGIO FONTANA
In tempo di pace
ALESSIO ARENA
Il Santo
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