Alice Scornajenghi, Comfort Food

Con un solo racconto Alice Scornajenghi è riuscita a battere due record nella storia di ’tina: il suo rappresenta in contemporanea il primo testo di fantascienza e il primo testo porno mai pubblicati su questa rivistina. Per fantascienza intendo quella classica delle esplorazioni spaziali e per porno non intendo erotismo, ma proprio pornografia esplicita e sfrontata. Sono felice che sia successo, e per di più con una autrice. Il pregio maggiore del racconto è poi quello di affrontare entrambi gli scenari con una spiccata dose di ironia. Può esserci niente di più pop di così? Non credo proprio.

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Alice Scornajenghi, Comfort Food

La missione per la ricerca di un nuovo pianeta abitabile ci ha portato lontanissimo e ci siamo arrivati, ma speravamo meglio.

Siamo atterrati su Wolf 1061 C, costellazione di Ofiuco, e tutto è più o meno come lo avevano previsto: gravità, atmosfera, luce, paesaggio, temperature, tranne loro: gli abitanti.

Dice che avremmo trovato solo germi e batteri, ma è evidente che questi non muoiono con la candeggina. Sono alti più di noi, ricoperti di una pelliccia beige/azzurrina soffice, che ad ogni alito di vento si muove come seta. Gli occhi sono celesti senza pupille. Sono umanoidi e ci stanno circondando.

Penso che dopo 14 anni di viaggio sacrificatissimo nello spazio, tutto finirà così, e penso pure a Bob e al suo cane e vorrei dirgli “Ehi Bob, hai visto che non lo avresti riabbracciato comunque?”, ma poi mi sento cattiva e mi trattengo, o forse mi trattengo perché tanto ormai che cambia.

 

Dalla terra non riceviamo notizie da 4 anni, ma non sono spariti tutti (credo), è solo che il nostro sistema di ricezione non funziona e non sono riuscita a ripararlo.

Abbiamo però continuato a mandare messaggi, presumendo che dalla terra li leggessero.

Da addetta alle comunicazioni dell’astronave, i miei ultimi miei quattro anni a bordo non sono stati facili, mi hanno trattato come una inutile che viaggia a scrocco e che ha meno diritto degli altri al cibo frazionato.

In particolare Bob, il biologo della missione, non ha potuto sapere come si è evoluto il cancro del suo cane. Ho provato a spiegargli che era indifferente, perché vista la durata del nostro viaggio e quella della vita di un cane non lo avrebbe rivisto comunque e che è stata una stronza la sua ex-moglie a dirglielo, lo ha fatto apposta per fargli scontare di essere partito, ma lui ha continuato a odiarmi come se lo facesse stare meglio.

Una volta che ci hanno circondati, uno di loro con la voce strascicata che avrebbe un gatto se sapesse parlare, dice: “Benvenuti sul nostro pianeta. Lo chiamiamo Maè.”

“Parlate la nostra lingua?” chiede la nostra capitana S. anche se è evidente che lo fanno.

“Alcune delle vostre lingue, sì.” risponde “Italiano, inglese e spagnolo. E qualcosa di hindi”, indicando Rahul, il botanico della missione. “Abbiamo studiato”.

Ci chiedono di seguirli.

Sembra che non vogliano ucciderci, questa cosa di poterci parlare ci fa abbassare la guardia, e li seguiamo.

 

Di lì a pochissimo avvistiamo un accampamento. Dalle piante ai lati del sentiero pendono dei frutti così pesanti che piegano i rami. A guardarli meglio poi realizziamo che non sono frutti, ma sculture appese, e alcune sembrano a forma di cazzo.

Da vicino scopriamo che sono effettivamente piselli e vagine (una sembra proprio la mia tra l’altro, anche i peli con la stessa forma). Cerco gli sguardi degli altri, sono silenziosi e spaventati. Il fatto che capiscano le nostre lingue ci impedisce di parlare tra di noi e ci confonde, non abbiamo la più pallida idea di quale sarebbe l’atteggiamento giusto da prendere.

Ci accoglie una figura regale su un piedistallo.

“Benvenuti” e ci indica degli sgabelli proprio lì davanti, sono 7 come noi. Ci sediamo un po’ tremanti e la guardiamo.

“Sappiamo cosa state cercando e siamo giustamente preoccupati dal vostro arrivo, ma allo stesso tempo molto curiosi di accogliere i vostri buchi e i vostri grossi lumaconi pelati.”

Restiamo muti e non sappiamo quali convenevoli adottare. Mentre ci parla si tocca quella che immagino sia la sua vagina, allarga il buco che ha tra le gambe ed è ricoperto di una pelliccia soffice.

Ma che ci siamo venuti a fare? Stando lì a guardarla mi viene una tristezza infinita all’idea che il mio cadavere non diventerà fertilizzante per gli alberi del mio pianeta. Morirò con questo rimpianto, ho inutilmente spezzato un cerchio.

La regina continua a toccarsi e parlare:

“Le divinità qui su Maè sono i genitali. Perché da lì nasciamo e, se loro sono felici, noi viviamo in pace. Diteci, i vostri lumaconi sono parassiti che vi si attaccano addosso o sono parte di voi? E nei buchi vivono delle creature o sono tane vuote?”

La nostra capitana S. si alza per spiegare, ancora forse crede nella missione e in questo pianeta in cui portare tutti, ma la regina dice che in realtà vorrebbero vedere dal vivo i suoi genitali. Viene invitata a spogliarsi.

I maèsiani la guardano curiosi, ma non hanno un’aria minacciosa.

Uno di loro le chiede di sdraiarsi su una panca bianca e bassa e inizia a tastarla tutta con lentezza, come un cieco con un libro in braille.

Si china a guardare dentro la fica, annusa, sbircia dentro.

Poi la aiuta a girarsi, cerca vicino al perineo e tra le chiappe. Guarda così da vicino che sembra un miope. Poi le infila pure, con una lentezza esasperata, un dito nel culo. Noi restiamo a guardare con il fiato sospeso. Quando il dito è entrato tutto, il maèsiano si rivolge alla regina e borbottano qualcosa, poi lui toglie il dito e ci dice che vogliono vedere anche il lumacone, dal momento che lì non lo hanno trovato. Che si avvicini qualcuno che ce l’ha.

Bob alza la mano.

Vuole sempre fare il coraggioso Bob. Per compiacere S., perché gli muore dietro inutilmente da 14 anni.

Così si spoglia e gli analizzano tutto pure a lui.

A fine ispezione, la regina dice: “Potrei vedere come funziona? Come vi accoppiate tra esseri umani?”

Lo dice sorridente e tranquilla, come se chiedesse di vedere come teniamo una forchetta o se siamo in grado di saltellare su un piede solo.

Noi siamo in panico uguale. Bob guarda S. come per scusarsi, ma gli si rizza il cazzo e ce ne accorgiamo tutti perché è nudo, c’è poco da fare.

  1. sospira, allarga piano le gambe e chiude gli occhi.

Bob si avvicina, le tocca delicatamente gli omeri e le braccia e quando la punta del suo cazzo urta contro la fica di lei, lui è tutto un fremito. Forse non se lo aspettava così, ma sono anni che spera in questo momento, di sicuro segretamente convinto di farla innamorare con una scopata. Fa l’amore piano e la guarda con gli occhi giganti. La bacia sulla guancia e vicino alla bocca, lei risponde con pochissima convinzione.

La cosa va avanti un pochino e comincia a piacere anche a me quel movimento ritmico delle chiappe di Bob, immaginare il suo pisello nella fica buia di S.

Mi arrapa vederlo finalmente scopare con lei, umiliato ed eccitato insieme, ma poi a Bob gli si smonta l’erezione. Romantico del cazzo, non ha retto la situazione.

Dovendo morire, preferivo morire arrapata che affranta.

Si crea un po’ di gelo nella stanza, c’è attesa negli occhi dei nostri ospiti e preoccupazione nei nostri.

  1. parla con Bob e gli dice cose nell’orecchio, capto solo alcune parole: “no Bob, no, ti prego, forza Bob. È importante.”

Ma Bob è smontato dalla situazione.

  1. gli dice “vieni, qua, dammi il tuo cazzo in mano, vuoi che te lo lecco? Hai un bel cazzo, davvero.” Ma è troppo agitata anche lei e non succede nulla.

Quando è chiaro che non funzionerà, la regina interviene: “Avete viaggiato 14 anni alla velocità della luce e mostrato un’ampia gamma di emozioni e pensieri, eravamo impressionati, ma questo che vediamo ora è un po’ deludente. Direi di fermarci e vedere almeno come sono le pietanze di cui parlate così bene.”

“In che senso?” chiede S.

“Le abbiamo preparate, ma vi avviso: con ingredienti simili, uguali non ci sono qui.”

“In che senso?” richiede S.

La regina risponde recitando delle frasi a memoria, “Dio quanto mi manca la pizza, il profumo del forno a legna, la mozzarella, vorrei quella che fa Zio Giacomo (salutamelo)…”

“Quello l’ho scritto io!” dice Laura, l’altra astronauta della missione “era un messaggio per mio marito.”

“Sì” risponde la regina “Esatto!”

Mi giro verso Laura, Rahul, Pier, Mala: “Ho capito, sono stati loro! Hanno rubato i nostri messaggi in entrata e anche in uscita, tutti, pure le foto!”

Ecco come hanno imparato a parlare!

“Non era rotta la radio!” dico verso S. alzando la voce: “Hai visto? Siete stati degli stronzi con me. Degli stronzi!”

E penso che adesso mi dovete ascoltare tutti. Rivoglio il ruolo che mi avete tolto in questa missione cazzo. Ora la facciamo funzionare e basta. Con questa storia che avevo ragione io, che il danno della radio era privo di logica, mi si libera una forza che non so dove stata pressata.

Mi tolgo la tuta, vado da Bob e gli prendo il cazzo in bocca e glielo succhio e lecco come se ne dipendessero le sorti della terra. (Che poi è così, ma sono pure 4 anni che non scopo. Ho la fica che pulsa come il cuore di un criceto. Prima del fatto della radio rotta ogni tanto in quella promiscuità dell’astronave qualcosa ci scappava, ma è tutto complicato in microgravità, ti scivolano via i corpi, stai leccando una fica e ti trovi in bocca un ginocchio.)

Quindi quel cazzo di Bob me lo faccio arrivare così in fondo che mi salgono i conati, ed è a posto così, perché gli è diventato duro. E con la mano tocco S., e la trovo bagnata. Ti piace Bob? le chiedo con gli occhi. Ti eccita che gli succhio il cazzo davanti a te e gli diventa così duro? Perché a me sì. E sono sicura che S. capisce i miei pensieri.

Si avvicina a baciarmi e leccare il cazzo di Bob insieme a me, ma gliene lascio quasi niente, e meno gliene lascio più lei cerca di prendermelo dalla bocca. Lo deve volere tantissimo, voglio che perda la testa, che la regina veda per bene come funziona.

E intanto le tocco il culo. Oddio che bella sensazione la mia mano su un culo.

Mi stacco dal cazzo di Bob, per leccare e mordere quel culo. Le ficco la lingua dentro l’ano, e lei inarca la schiena, le piace.

Va mettersi a cavalcioni su Bob per scopare, io vorrei fermarla per farle venire ancora più voglia, ma si avvicina la regina curiosa, e allora va bene, guarda qua come scopano, regina.

Quindi resto lì accovacciata a spingere la lingua nel culo della comandante mentre lei felicissima e sudata si muove sul cazzo Bob.

La regina è così vicina che posso accarezzarle le gambe, emana odore dolce.

Dai corpi dei maèsiani intorno a noi cominciano a comparire delle specie di piselli azzurri in erezione. Ma la sorpresa vera è che spunta anche alla regina. Ha sia il cazzo che la vagina.

(Che esseri parziali e sfortunati dobbiamo sembrarle).

Mette il suo cazzo accanto al viso di Bob che, immaginando cosa voglia, glielo lecca titubante, ma lei prende e glielo spinge in bocca con forza fino a giù e gli tiene la testa. Bob ora ha lui i conati.

Ma non ho nemmeno il tempo di godermi la bava che gli scende dagli angoli della bocca che subito si blocca tutto. La regina si mette a fare un verso che sembra un canto, il suo pisello butta in bocca a Bob una specie di gel e vedo la pelliccia intorno alla sua vagina vibrare tutta.

Forse aveva la fantasia del suo cazzo nella bocca di una specie aliena e non le pareva vero, ma è stata proprio un’eiaculazione precocissima.

Una volta fatto, il suo pisello sparisce nella pelliccia, lei sorride e dice: “Ah, che bello! Ora venite che facciamo il banchetto”.

Io vorrei continuare almeno il tempo di venire, ma Bob è spiazzato e troppo timido per proseguire, mentre S. è troppo la capitana della missione per non andare al banchetto adesso. Mi mollano lì.

Mi sdraio su quella specie di panca, incredula, delusa. L’eccitazione diventa frustrazione, se non fosse stato per me non sarebbe andata così bene. E invece ora mi ignorano. Ma perché si comportano così?

Bob rivestendosi chiede alla regina se nei messaggi hanno letto come sta il suo cane, la regina non parla, lui capisce e piange con le mani sulla faccia, allora lei lo abbraccia dolcemente e lo avvolge tutto.

Basta! Sto per intromettermi con tutta l’acidità di cui sono capace su questa maledetta storia del cane di Bob, voglio fare la pazza e mandare a monte tutto così come prima l’ho sistemato, ma una mano pelosa e morbidissima mi prende il fianco, mi gira di lato e un enorme cazzo mi entra nella fica.

È largo e non entrava un cazzo qui da anni. È una sorpresa così grande che resto con la bocca aperta, letteralmente.

Il maèsiano (o maèsiana, boh) non parla la mia lingua, ha lo sguardo interrogativo e sorridente. Non so se c’è o ci fa ma inarco il bacino per farlo entrare tutto, per fargli capire.

È così bello il suo cazzo extraterrestre, lo sento tutto. Faccio anche una torsione della schiena per poterlo un po’ abbracciare, perché sono contenta e voglio contatto, ha un odore che lo mangerei. Il suo corpo è grande, soffice e argentato. Le mie braccia affondano nella pelliccia della sua schiena. Con una mano gli tocco anche la fica e scopro che è la parte più tenera di tutte.

Ci diamo un bacio. Mi lecca il viso, la bocca, e a un certo punto mi accarezza i capelli indietro. Lo so che non ha senso, ma penso che potrei innamorarmene, penso che forse pure lui/lei si sentiva solo/a qui, e penso a noi come due anime sperdute nell’universo e ora riunite, penso al suo grande cazzo azzurro dentro di me, che riempie la mia fica umana come niente mai prima d’ora e lo voglio lì tutto il tempo, mentre contemporaneamente la sua fica mi risponde stringendomi le dita. Sono già innamorata, posso passare così il resto della mia vita, a scopare e farmi insegnare tutto di questo pianeta. Sarà la mia pochaontas.

Quel suo cazzo entra ed esce, bellissimo, vivo e colorato, tutto dentro di me. Vengo sorridendo, con quell’immagine di un pisello azzurro nella testa, mentre il suo cazzo mi riempie di gel come un rubinetto con una bottiglia.

Quando è finito tutto, dopo un bacio, mi allontano per il tempo di fare la pipì, ma quando torno succede che non so più riconoscerlo in mezzo agli altri. Mi guardo intorno per la sala, mangiando una parodia di pizza che sa di papaya, ma non sono sicura di chi possa essere e credo che non lo saprò mai. Mi affloscio su un panchetto. Ho voglia di pizza terrestre, mi guardo la foto di una pizza che conservo nel vecchio telefono.