Nella prima canzone degli Smiths che abbia mai ascoltato il ritornello chiedeva “Does the body rule the mind or does the mind rule the body?” (è la mente a controllare il corpo o è il corpo che controlla la mente?), instillandomi un dubbio a cui non sono mai stato in grado di dare risposta in seguito. Pensando a questo nuovo numero di ‘tina e parafrasando quell’antico dilemma, mi viene da chiedere: è il formato che definisce il contenuto o è il contenuto che definisce il formato?
Da quando questa rivista è tornata a essere una produzione cartacea ho stabilito che ogni numero avrebbe avuto un formato differente, per il gusto di giocare con le possibilità e per aumentare l’imprevedibilità di questa avventura.
Un pomeriggio dell’estate scorsa, mentre sfogliavo un manualetto di istruzioni Ikea per la costruzione di una semplice scatola di cartone, sono stato trafitto all’improvviso dalla consapevolezza che quella pubblicazione (bianca e scarna, a libretto, con illustrazioni schematiche e una grafica identica in ogni paese) era probabilmente uno dei formati più riconoscibili e condivisi nel mondo. Da qui l’idea di fare un numero di ‘tina che si rifacesse a questo codice universale.
Poiché un progetto così profondamente popular richiedeva dei collaboratori altrettanto pop, ho pensato quasi d’istinto chi coinvolgere. Per la grafica Sergio Tanara, che la duplice natura di art-director pubblicitario e cantante di un gruppo di pop psichedelico rendeva il partner grafico ideale. Per i testi la coppia di scrittrici Eleonora C. Caruso e Giuliana Altamura: in primo luogo perché i loro romanzi sono intrisi di contemporaneità (i manga, il porno, “Catfish”, il deepweb), poi perché sono migliori amiche e mi piaceva l’idea di un progetto che comportasse anche una complicità emotiva. Hanno risposto tutti e tre sì alla mia proposta prima che finissi di formularla e il numero ha preso vita.
Fin dall’inizio avevo stabilito che dovesse trattarsi di un numero scarno (due racconti), perché anche nella fogliazione doveva richiamare il modello originale, sempre di poche pagine.
A Sergio è toccato il compito spigoloso di utilizzare una gabbia grafica così nota e rigida, cercando di personalizzarla senza quasi intaccarla: sue sono le geniali intuizioni della grafia che riprende i caratteri svedesi e l’immagine religiosa stilizzata in maniera coerente con il contesto.
Secondo un loro patto segreto, le due autrici hanno scelto di inviarmi i loro testi nello stesso giorno e leggendoli di fila ho subito pensato che il risultato non avrebbe potuto essere più differente: in uno l’Ikea è parte della propria storia familiare, nell’altro è lo sfondo di una storia distopica di degrado e inquietudine adolescenziale.
L’unica istruzione che avevo fornito loro era del tutto generica (“Scrivete qualcosa che abbia a che fare con l’Ikea”). Creando due racconti tanto distanti e diversi fra loro, Giuliana e Eleonora hanno conferito a questo progetto un senso ancora più compiuto: usando il marchio svedese come elemento affettivo personale e come simbolo di globalizzazione sono state in grado di coprire un intero spettro di significati.
E dunque, tornando al quesito di partenza: è il formato che definisce il contenuto o è il contenuto che definisce il formato?
I (still) don’t know.
Sempre vostro,
MBB
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In questo numero:
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Eleonora C. Caruso, Casa
Giuliana Altamura, Sentenza
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