LISA NUR SULTAN, Sostantivo Difettivo

Mi capita raramente di ricevere pacchetti di racconti di un medesimo autore che mi convincano. Su tre, quattro testi inviati se me ne piace uno va di lusso. Che me ne piacciano tre su tre non accade praticamente mai. Con Lisa invece è successo. Ho molto riso leggendo i suoi racconti. Mi sono piaciuti tanto da averne selezionati due: uno l’ho pubblicato sul mensile “Linus” in una rubrica che curo dedicata agli esordienti, l’altro lo pubblico qui. E’ la cronaca di uno scazzo prolungato tra madre-figlia, che mi sembra renda molto bene quel tono insopportabile che abbiamo avuto tutti intorno ai vent’anni, e che si conclude anche con un inaspettato, sebbene assai precario, lieto fine. 

SOSTANTIVO DIFETTIVO

Erano giorni ormai, che Lea e sua mamma non si parlavano. L’ultima frase della madre era stata “Se li trovo ancora per terra te li brucio” e la sua “Lo star per terra non accelera la decomposizione dei vestiti, te l’hanno mai detto?”. Antipatica come una merda, lo riconosceva. Detto questo se n’era andata sbattendo la porta, c’era un cineforum sulla Cambogia pre Pol-Pot, non se lo sarebbe certo perso per stare dietro a quattro panni.
Mentre camminava veloce perché era già in ritardo e i sandali le facevano male, (forse era il caso di comprarne di nuovi, la grecia del 1999 avrebbe capito) si ripeteva tipo mantra non-esistono-regole-di-vita-la-vita-è-l’unica-regola, alternato con cultura-non-verdura. Arrivò in ritardo, perché partendo tardi e con le scarpe rotte è difficile arrivare in orario, quindi le toccò un posto in fondo, un po’ laterale pure. Si guardò in giro, in quel cesso di centro sociale, al momento nessuno di conosciuto e soprattutto nessuno di vagamente interessante. In quell’istante entrò un ragazzo alto alto magro magro e pieno di rasta, proprio come piacevano a lei. Veniva nella sua direzione, c’era un posto libero proprio accanto. Siediti qui qui qui, pensò senza darlo a vedere. Infatti il ragazzo non lo vide e le si sedette davanti. Esattamente davanti. Perpendicolarmente davanti. Rispetto allo schermo. Lei non era un tipo da storie lunghe, passioni amore-odio, più che altro. E quel rasta le stava già sui maroni. Spensero le luci, buio in sala (sala….), tutto nero tranne lo schermo, dove lei immaginava stessero passando memorabili fotogrammi di Cambogia. Il rasta infatti scuoteva le onde come un salice progressista, erano dure immagini quelle che lui (e solo lui) stava vedendo. Lei si sballonzò a destra e a sinistra, provò a mugolare qualcosa di offensivo verso i capelli davanti, ma niente. Too much Jamaica for tonight, pensò. Non c’erano più altri posti liberi, i davanzali erano già occupati da quindicenni fumati e il pavimento era già occupato dallo schifo. Tanto valeva andarsene, peccato però, era davvero un documentario imperdibile. Sarebbe stata una donna migliore, se ne fosse arrivata alla fine, ma di fronte all’impossibilità dimostrare elasticità mentale è una saggia virtù. Si auto-assolse e filò via come il vento.
Chissà poi, se era peggio la Cambogia pre Pol-Pot o la Voghera post Bob Marley… Era una domanda sottile, a cui non si poteva rispondere a stomaco vuoto. Fluttuò verso il centro e mise fine ai suoi dubbi rifacendosi su un piatto della cucina etnica nord americana, composto da una palla di carne bovina (almeno nelle intenzioni) e da salsa di pomodoro concentrato, tenuti insieme da due rondelle di pane di pari forma e dimensione. Solo piatti tipici, lei.
Calmato lo sbrano, si rese conto che era un’ora indecente per tornare a casa, i suoi erano ancora svegli. E se tornare alle quattro li mandava fuori dai gangheri, tornare alle dieci li avrebbe insospettiti. Bè, ma perché tornare a casa? Era una serata magnifica, tiepida da golfino, che è il meglio perché il livello successivo sarebbe stato calda da autan. Bastava cercare un amica/o e fare due passi. Alan Alex Andrea Anna Antonella AntoCasa AntoTim AntonWind Antononna Antufficio Antilope Anticilone Antipatia Umana Anticristo. Prese il telefonino e lo lanciò nel Ticino (movimento simulato, nella vita vera lo si scaglia in modo che faccia scena ma ben attenti a che non si rompa). Quando si smanetta nell’agenda in cerca di compagnia è segnale di aver proprio toccato il fondo. E purtroppo lei lo sapeva. Basta, accettare la resa, si torna a casa. Fece per incamminarsi e, come un salmone che risale la corrente, venne travolta all’istante da milioni di coppiette felici, che proprio a quell’ora si riversavano in centro per andare a godersi una splendida notte d’aprile.
Appena toccato il letto si addormentò subito, sopra le coperte, senza struccarsi né togliersi le lenti né mettersi il pigiama. Semplicemente quello che poté togliersi lo lanciò per terra, sul tappeto della discordia, insieme ai cambi delle sere precedenti. Sognò subito e tanto.
La mattina decise che non si sarebbe svegliata. Si impose di dormire ad oltranza, di fare quello che avrebbe fatto se avesse potuto farlo, se non si fosse trovata in casa con persone con cui doveva giustificare i suoi comportamenti, persone che per pura prassi la venivano a svegliare senza che ve ne fosse un motivo al mondo. Disse no, vattene spegni la luce sto dormendo. No, non sono già sveglia. Vuoi sempre sapere tutto tu, è così?
Per ripicca verso la madre non scese a pranzo. Per ripicca verso il padre non ritirò la paghetta. Per ripicca verso il nonno non guardò Geo e Geo. Che tanto mangiare non mi fa star bene. Che i tuoi soldi non li voglio, ne voglio di miei. Che non posso star qui a vederti morire un minuto al giorno e guardare come nascono i pinguini. Non ce ne frega niente dei pinguini, nonno, neanche a te, ma dillo, ritrova la forza per dirlo, cristo. Smetti di morire.
Rimase sul letto tutto il giorno, voleva isolarsi dal mondo. Sdraiata, accanto alla testa le radiazioni del cellulare e vicino ai piedi il portatile connesso e con la messaggeria accesa, impostato su: Ci sono! A intervalli di cinque minuti controllava il monitor, se le fosse arrivata qualche mail. Niente. Una, sì! Ah. La solita catena di barzellette. Bannò all’istante e per sempre l’amico che gliel’aveva mandata. Guardò i contatti in linea, le solite amiche in ufficio, non le disturbava perché stavano lavorando e perché comunque non aveva nessuna voglia di parlare con loro. Le sembrava che avessero dimenticato il cervello in uno schedario, se le veniva una battuta per fargliela capire doveva presentarla in power point. Poi quel tizio, conosciuto via internet, che palle, era sempre connesso…All’inizio chattavano spesso. Si era parlato tanto, di Truffaut, di Foster Wallace, di Birmania, di segni zodiacali, di storie passate, di come vedo la vita e i massimi sistemi…Finchè lui aveva fatto l’errore di mandarle una foto. Allora, Truffaut resta sempre Truffaut, ma perché perdere tempo a parlarne con un cesso?! E se permetti i miei massimi sistemi me li tengo per me, anzi ridammeli. Che poi erano tutte cazzate dette per rendermi fascinosa, ora ti direi pure che io, Frigidaire, non l’ho mai visto di striscio. Però dalle mie ricerche su internet era saltato fuori che tu eri iscritto al fan club e ti ho voluto stupire. Ricordo ancora, te l’ho buttato lì… “Linus è bello, sì, ma Frigidaire era un’altra cosa…” Ti sei quasi commosso. Eri ai miei piedi. Però hai fatto l’errore di essere un cesso.
Perché sono altre le persone che sto aspettando e quelli non ci sono mai, chissà dove saranno, cosa starà facendo, con chi sei ora, Diego?
Aveva esperimentato una giornata a letto. Sua madre l’aveva chiamata a ogni pasto, lei non aveva risposto, era scesa solo per prendere qualcosa verso le 4, perché va bene cultura-non-verdura ma di maledettismo non si deve morire. Aveva aperto il frigo. Traboccava di biologico. Ogni tipo di cibo era qui presente nella sua versione “bio”, riconoscibile dalla confezione azzurrina e dal prezzo raddoppiato. Dai più tipici, tipo ortaggi e latticini, ai più inusitati, sua mamma aveva scovato dei bii inimmaginabili, i plumcake bio, gli anacardi bio, le mele cotogne bio, il tofu stra-bio. Prodotti che mai avevano interessato alcun membro della famiglia (e quello fino ad allora era sembrato un motivo valido per non comprarli) ora entravano in casa di prepotenza, al seguito dell’invasione bio.
Eppure era una donna intelligente, la madre. Di quelle donne concrete, senza grilli per la testa tipo il parrucchiere o la messa. E com’era possibile ora questo rimbambimento tutto d’un colpo? Le era bastato sentire alla televisione un ex ministro che gridava al latte avvelenato, che le era crollato il mondo addosso. Capitava proprio nel periodo in cui iniziavano i problemi con la figlia, si parlavano sempre di meno, avrebbe voluto capire cosa le passasse dalla testa ma non riusciva nemmeno ad avvicinarsi. Fu proprio quel giorno che prese il primo latte bio. Pensando che la mattina dopo gliel’avrebbe dato a colazione e che quella sarebbe stata subito meglio, avrebbe avuto le forze per affrontare il mondo, o almeno un’altra giornata di niente. Era iniziato così, ogni giorno qualche parola in meno e qualche prodotto in più. Per cancellare dal suo corpo tutte le sostanze negative con cui in questi anni la stavo avvelenando solo per risparmiare qualche euro, se ci penso sto male, guarda ora com’è gracilina e triste, pensava. Ma senza dirglielo. Le diceva “Quando ritorno la voglio trovare in ordine, è chiaro? perché se vuoi fare la barbona lo puoi anche fare sotto un ponte”, e usciva a cercare le fragole, perché sapeva che le piacevano e comunque contengono vitamine, che in qualche modo bisogna pur prenderle. Tornava a casa, preparava una macedonia, con fragole banane mele pere kiwi ananas noci cannella gelato alla panna e gocce di cioccolato. Poi con la faccia più scura del mondo la portava in tavola, sbattendo la tazza sotto il naso della figlia. La quale la guardava con tutta la diffidenza possibile e senza dire una parola se la portava in camera. Accettare non era la tattica giusta, Lea lo sapeva, ma se c’era una cosa che batteva il suo orgoglio era la gola. Intanto il padre, appena tornato dal lavoro, capiva poco di quel silenzio sempre crescente e provava a rompere il ghiaccio, come solo un padre sa fare. “Ti sei ricordata di chiamare il tecnico dell’assistenza idraulica? no no, era così per dire… E il passaporto, sei andata in comune per la marca da bollo?”.
Lea nel tempo aveva affinato uno scatto felino, ormai riusciva a trovarsi sul letto prima che suo padre avesse finito la seconda domanda. A controllare il telefono. Muto. La posta. Due pubblicità. Ok, domani andrà meglio. Domani sarà meglio. Domani non può essere peggio.
Si svegliò impastata, mise un piede per terra e fece rotolare una tazza… Ah già, la macedonia. La stanza brulicava di vestiti. Entrò la madre con foga: “E’ ora di fare il cambio degli armadi.” Lei fece finta di non sentire/capire le implicazioni. La madre insistette: “Devi svuotare qui e lavare la roba invernale, che poi tiriamo fuori l’altra.” “Non mi sembra che sia ancora il caso”, rispose lei grondando nel pigiama di pile, “aspetto che faccia veramente caldo”, proseguì asciugandosi il sudore. “Vuoi dirmi che questo pensi ancora di metterlo?” disse la madre sventolandole sotto il naso una pelle di lama.
Cercava palesemente la rissa.
“No, ma questo è ben lungi dall’implicare un supplizio come il cambio degli armadi. Ho sviluppato la capacità di lasciar lì le cose che non metto, quando non le metto. (com’era odiosa…) Non ho la necessità di vederle sparire per poter star bene con altre. Dovresti provare anche tu.” “E come fai a prendere la roba estiva, sentiamo?” incalzava l’altra. “Non è difficile, apro lo scatolone e estraggo il pezzo che mi serve” disse lei procedendo alla dimostrazione, “non ho bisogno di ufficializzare il passaggio di status dallo scatolone all’armadio. I vestiti sono e restano quelli.” disse sfoggiando un sorriso da cazzo e un abitino di lino bianco spiegazzatissimo. Se ne uscì, in una scia di naftalina, fingendo disinvoltura.
Ma non poteva andare lontano, vestita da pallina di canfora. Quindi simulò qualcosa e tornò a casa, sperando che non ci fosse più nessuno. Ma la madre l’aspettava sulla porta. Anzi, sulla finestra, incombendo minacciosa: stava pulendo le imposte. Lea le passò sotto senza dire una parola. Tornò in camera. Fece vari giri attorno al tappeto, cercò una cosa qualunque, non la trovò. Basta, prendo in mano la mia vita. C’è la fiera del libro a Torino, e che cavolo.
Prese una gerla di quelle da boscaiolo, che si appendono sulle spalle. La riempì di manoscritti vari. Aggiunse una manciata di curriculum (non si sa mai), ali di pipistrello e occhi di ramarro. Si cambiò e si mise una tenuta decente, da approccio laterale allo stand (questo doveva giustificare l’incuria in cui versavano i pantaloni, ripescati dal mucchio tappetale… ma tenendo fede all’approccio laterale la camicetta pulita sarebbe potuta bastare).
Non salutò la free climber e partì, con l’angoscia che potesse cadere mentre in casa c’era solo il nonno a guardare le seconda giovinezza delle marmotte.
Dopo tre ore si trovava nel padiglione F, esattamente tra lo stand F124 e il G45. Fu lì che svenne. “Fa che sia un editore”, pensò mentre sentiva una voce che la riportava alla realtà. No, era l’omino degli hot-dog, di rosso vestito. Svenne di nuovo. Niente da fare, ormai quello c’era e quello doveva salvarla, non è che poteva andarsene e aspettare che uno dei 50000 editori presenti in quella stessa stanza si facessero avanti con un contratto firmato in bocca. Decise di ripigliarsi, rifiutò l’hot dog, bevve un litro di quella bevanda etnica colombiana marrone e molto gasata e fu di nuovo in piedi. Svettante tra la folla, con la cornucopia piena di pagine, elargiva manoscritti a destra e a manca, gli editori si spingevano per accaparrarseli per primi. No, questo prima di svegliarsi… Decise di ripigliarsi, si rialzò, raccattò la borsa piena di pagine sue e di opuscoli che le avevano rifilato e si diresse verso l’uscita. Tutta Italia scrive, si disse amareggiata.
In questa sede non si dirà che lo schianto emotivo dovuto all’ennesimo fallimento la fece salire sul treno sbagliato e che, dopo essere scesa in corsa, si era ritrovata nella stazione di Casalpusterlengo. Deserta e profondamente inutile. Fino ad allora la conosceva solo di fama, grazie alla voce registrata di Milano Rogoredo. “Ferma-a-BorgoLombardo-S.GiulianoMilanese-Melegnano-S.ZenoneAlLambro-Tavazzano-Lodi-Secugnago-Casalpusterlengo-Codogno…” Dai nomi le erano sempre sembrati i posti più orridi della terra… e ora, non si saprà mai come, ma si trovava lì. Nel nome più schifoso, per giunta. Aveva preso in considerazione tutte le possibili vie di fuga. In uno dei picchi minimi del livello di endorfine aveva anche pensato di farla finita buttandosi sotto un treno (sempre ne fosse mai passato uno..) ma per fortuna si era presto resa conto dell’assurdità del gesto. Se ci ripensa ancora le vengono i brividi…una lapide con Voghera 1980- Casalpusterlengo 2005… una parabola esistenziale che neanche in un film trash… No, no, bisogna saper gestire anche l’impatto sui posteri, se si vuole davvero diventare qualcuno (o meglio essere stato qualcuno). Un Voghera-Seattle, per dire, molto underground, o un Voghera-Havana, più militante, un esotico Voghera-Hyderabad, o un Voghera-Darfur, in odore di santità. Insomma, c’era comunque da impegnarsi, per rimediare a una nascita a Voghera.
Ma in ogni caso il treno non passò mai, né per buttarcisi sotto né per salirci sopra, quindi fu costretta a chiamare suo padre e farsi venire a raccattare. Lui aveva lavorato fino alle otto di sera, arrivò sorridente a prenderla; ma lei era furente per averlo dovuto disturbare e così lo trattò male. Poche frasi secche all’inizio e poi non una parola fino a casa, dove per punizione non scese a cena anche se sentiva profumo di lasagna bio. Si buttò sul letto, accanto a lei il cellulare, il computer e la pila di fogli stampati. Ci pianse sopra.
La mattina dopo la prima cosa che notò fu che poteva scendere dal letto senza urtare nulla. Che poteva arrivare alla porta senza circumnavigare il tappeto. Che respirava senza mangiare famiglie di acari. Cosa poteva essere successo? Andò verso il suo bagno, ma non notò la spaventosa differenza che avrebbe dovuto notare, non era a quel livello di occhio critico. Tornò in camera per cambiarsi, aprì l’armadio…Cavolo, qui è passato qualcuno. Tutto era mostruosamente impilato, i vestiti divisi per specie genere e phylum, ogni tipo era appeso con l’omino più consono, le calze erano appaiate, le cinture arrotolate, i pantaloni stirati. A un esame più attento si rese conto che erano vestiti che non vedeva da un anno, molti anzi non si ricordava nemmeno di averli. Che mia mamma mi abbia fato il cambio di stagione? Rientrò nel bagno tirato a specchio, fece pipì, non tirò l’acqua e tornò in camera a fissare l’armadio. Sì, dev’essere così. Le salì un groppo alla gola, la commozione per tutto quel lavoro le fece scendere una lacrima. L’idea di quanta roba dovesse essere andata dispersa in quella manovra, le fece scendere tutte le altre.
Ma sua madre non avrebbe comprato la resa con un cambio di stagione, si sbagliava alla grande. Non scese a pranzo, ormai mangiava così poco da giorni che non ne sentiva nemmeno la voglia. Si mise a rileggere le cose che aveva scritto, decise che facevano schifo e le cancellò dal computer. Poi rilesse le ultime mail di Diego, decise che era uno stronzo e non le cancellò. Aspettò che sua madre salisse a portarle qualcosa da mangiare o a parlare, ma quella non salì. Si addormentò senza accorgersi che tutta la libreria dietro di lei si era miracolosamente auto-riorganizzata in ordine alfabetico. Dormì tutto il pomeriggio, pur di non pensare.
La sera però decise che non ne poteva più dell’isolamento, aveva bisogno di sgranchire le gambe, sarebbe scesa a guardare un po’ di televisione prima di cena, così, per vedere come andava. Ma non per questo avrebbe rotto il ghiaccio.
Si sedette sul divano, coi piedi sul tavolino, mentre la madre alle sue spalle stava stirando. Non una parola. Accese sul telegiornale, anticipazioni delle notizie.
“Baghdad: autobomba esplode in un mercato, venticinque vittime civili”.
“Ennesima tragedia familiare: finanziere spara e uccide moglie, amante, figlio e suoceri. Poi tenta il suicidio.”
“Totti e Ilary sposi dal cuore d’oro: i proventi della diretta Sky della cerimonia andranno in beneficenza ad un canile della capitale.” Ciononostante, entrambe resistono.
“Assolti tutti gli imputati di Piazza Fontana, le famiglie delle vittime pagheranno le spese legali.” La madre sbatte pesantemente il ferro da stiro sull’asse. Lea deglutisce.
“Silvio Berlusconi rompe il gelo Usa-Russia: durante le celebrazioni moscovite organizza un summit privato tra i due leader.” Lea inizia a muoversi sulla poltrona, primi segni di nervosismo.
“Intervista al premier da Mosca”. No, ti prego, l’intervista no.
“Sì, sì, li ho riuniti io, ho detto George Dabliù, Vladimir, ma perché non potete essere amiciui..”. Lievi convulsioni.
“Perché non possiamo vivere in paciue, e far vivere la democrazia in paciue e far vivere il mercato in paciue”. Lea si prepara una siringa di chetamina e se la inietta nel quadricipite.
“E loro, alla fine, mi hanno ringraziato, mi hanno detto Silvio, oggiui è stato tutto perfetto, oggiui hai fatto quello che nessuno è mai riuscito a fare, oggiui è storia. E poi Putin è una brava persona, l’ha capito anche Bush, non è un comunista.” Grazie all’anestetico da cavallo Lea riesce a superare indenne anche la fine dell’intervista.
Pericolo scampato, cambio di canale. Il milionario, ok.
Per sedicimila euro “Quale di queste parole è un sostantivo difettivo: testimoni, nozze, strascico, corteo”. Sedicimila euro sta domanda? Periodo di vacche grasse.. Il concorrente è un carabinere. Inizia a prendere confidenza con la domanda, ci gira intorno, spiega che sostantivo vuol dire nome. Lea evita di incrociare lo sguardo di suo mamma. “Nome che è in difetto.” “Cioè?” incalza Gerry, “Cioè…” arranca il bamba. “Che manca”, suggerisce spudoratamente il conduttore. “Sì, sì, che manca. Allora…” Intanto il tempo passa e Lea tenta di farsi di marmo, mentre sente che la madre ha rallentato l’uso del vapore. “Strascico cioè ci può mancare qualcosa ma più che altro difetta.” “Dove?” “Mah…Per esempio inizia con tre consonanti di fila.” Non si deve girare, anche se sente che l’altra non sta più stirando, ma è bloccata a mezz’aria col ferro in mano che sbuffa anche lui, anzi strascica.
“Però mi risuona anche…Ecco, potrebbe essere questo, mi si è acceso un campanello!” “Dimmi!” Gerry cavalca l’illusione. “Corteo…in eo…Sì, corteo difetta, perché cioè gli manca una consonante tra la e la o!” Sta quasi per autoconvincersi e accenderla, ma Scotti gli spezza una rotula e lui decide che è più prudente chiedere l’aiuto a casa. “Chi c’è a casa?” “La mamma.” Mah, se un melo non fa un pero, pensa tutto lo studio… Però è insegnante d’italiano. Ah! Lea si rilassa, la mamma riprende a stirare, quelli fanno la telefonata, lui legge la domanda….Trenta secondi, venti, non la sa, non la trova sul dizionario, sostantivo difettivo, ha capito bene? Scade il tempo, la mamma del carabiniere non la sapeva.
Però la mamma di Lea sì.
E a questo punto proprio non ce la fa più. “Nozze!! cribbio, nozze! difettivo perché non ha il singolare, ma ci vogliamo mettere due giorni?!!” E anche Lea, esausta, cede. Anzi, deborda. Non aspettava altro. “Ma son tre ore che ci gira intorno, tre ore, e strascico e corteo e ci manca la consonante tra la e la o”, prodigandosi in imitazioni. “Che gente ignorante al mondo e io non trovo lavoro.” “Roba da non credersi.” “E non mi prendono nemmeno per sta trasmissione da scemi, con tutte le volte che ho telefonato.” “E già che oggiui è una giornata storica per l’umanità.” “Per la paciue del mondo.” “Sì, per la paciue del loro portafoglio.” “Che buffone, ma li hai visti tutti e tre, in maniche di camicia, a far finta di essere amiciui?” “Con lo schifo che stan facendo in Italia a Piazza Fontana” “E’ una vergogna.” “E il solito pazzo sparacchione? oh, ce ne fosse uno che alla fine riesce ad ammazzarsi!!” “Davvero, ne centrano dieci in corsa, ma poi, sul loro collo, sbagliano sempre mira.” “Che stronzo.” “E quei due scemi che fanno beneficenza ai cani?” “Sarebbero da picchiare.” “Dai, è la b, ma cosa ci sei andato a fare se non sai manco la grammatica da terza elementare?” “Fusilli o spaghetti?” “Spaghetti. No fusilli. Che sugo c’è?” “Pesto. Ne ho trovato uno bio.” “Allora spaghetti. Anche se ci vorrebbero le trofie” “Ok. Allora com’è andata in fiera a Torino?” “Bene.” “Hai avuto il coraggio di dare in giro il manoscritto?” “…Senti ma allora perché non fai i fusilli al burro? e il bio-pesto lo teniamo per domani che compriamo le trofie?” “Ok. Allora?” “O anche le trenette vanno bene” “Sì, ma Torino?” “Sì sì, bene.” “Bene?” “Bene.” “Ti sto stirando le sciarpe, ho lavato tutto” “Vedo. Come mai quel guanto blu sta lì?” “Al momento non trovo il suo socio, ma prima o poi salterà fuori.” “Per forza.” “La casa nasconde ma non ruba.” “Già”.