Ambientazione: PARIGI
Un genere che mi affascina molto, e che è raramente praticato dagli scrittori, è quello della cosiddetta “flash fiction”: racconti brevi, brevissimi, in grado di contenere in meno di una pagina il senso di una storia. Per questo mi ha colpito il testo di Anna Stella Poli: perché è difficile che un esordiente scelga la forma della micro-narrativa e ancora più raro che gli riesca tanto bene. Ma bastano queste poche righe, la storia di un incontro casuale in un autobus, a inquadrare la protagonista errante di questa storia e farci intravedere in controluce il complicato mondo che nasconde.
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Anna Stella Poli, Je fait des tour
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Quando salgo mi guarda, l’autobus è mezzo vuoto, le siedo accanto.
Sembra un po’ un animaletto, non saprei dire subito quale.
Ha gli occhi piccoli, infossati, degli strani solchi nel volto. Giovane. I capelli corti, indistinti. Un topolino, una donnola, un ermellino scuro. Mi spia furtiva. Sa di vestiti non lavati. Mi parla.
Mi chiede se ho connessione a internet. Sono le nove, sto tornando a casa. Ho connessione a internet. Parla francese, con un filo di voce. So il francese, ma rapida le dico, dietro lo scudo convesso del mio accento non di lì, che non capisco.
Non mi crede, ma fa bene, a non credermi. Cerco il perché, di tutta questa diffidenza. Per il suo odore, forse, o per quegli occhi piccoli e molto mobili.
Mi chiede, piano, di mandare un messaggio. La guardo.
Un vento siberiano, su Parigi. Lei ha le caviglie nude, sneakers bianche, dei pantaloni a fiori. Deve avere freddo per forza. Io ho i collant sotto i jeans, le calze di lana, gli scarponcini alti. Due maglioni.
Apro la borsa, prendo il cellulare, apro l’iconcina messaggi, le dico scrivi pure. Poi le punto gli occhi addosso, perché il mio cellulare nelle sue mani mi rende inquieta.
Che istinto basso, mi dico. Non è nemmeno prezioso.
Lei scrive. Si blocca ai comandi in italiano. Le dico è che sono italiana.
Lei dice sais pas que j’ai fait e io, senza guardare, le dico c’est bon, riprendo il cellulare e lo rimetto in borsa.
Ha freddo. Mi guarda. Controllo, ma non c’è risposta. Prenota una fermata, poi non scende. Poi, infine, scende. Non mi ha ringraziata, non mi saluta.
Io scendo tre fermate dopo, vado a fare la spesa, compro una fetta di quiche per domani, quando entro in casa accendo la radio e apro una bottiglia di bianco.
Sto cucinando, quando mi ricordo di lei.
Non ho letto, per non sembrare indiscreta. Non sono nemmeno molto curiosa, ma guardo lo stesso.
Trovo il messaggio, l’invio non è riuscito.
Dice: Cest diyhia stp laisse moi venir car depuis tt alheur je fait des tour de bus et ji froid jai pas envie de dormir dehors desole si je tai manquer de respect a ts pote jai frois et je fait des tours depuis.
Provo a inviare nuovamente, ma il contatto è bloccato o serve un prefisso o togliere uno zero o qualcosa che, anche provando molte volte, non i riesce di fare.
(Sono Diyhia. Per favore, lasciami venire. È da un po’ che faccio dei giri in bus e ho freddo. Non ho voglia di dormire fuori. Mi spiace se ho mancato di rispetto a te o ai tuoi amici. Ho freddo, non ho fatto che girare).