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NUMERO 34 INTRO

Quando mi trovo all’estero vado sempre in cerca di nuove riviste. Ogni volta cerco su Google se in città esistano librerie o negozi specializzati in riviste, e solo se sono fortunato ne trovo un paio. Per il resto si tratta di espositori sparsi e occasionali (edicole, gallerie d’arte, negozi di musei, librerie indipendenti). Non è una ricerca scontata, diciamo. Se poi voglio azzardare e nella barra del motore di ricerca metto “negozi di fanzine” il risultato è sempre zero.

Quest’estate ho trascorso alcuni giorni a Portland, nell’Oregon, e per la prima volta da quando compio queste ricerche, alla voce “Zines stores” Google non solo mi dava delle risposte, ma mi offriva persino una classifica dei “Top ten best zines stores”. Ero stupefatto: addirittura i migliori dieci negozi. Segno dunque che ce ne fossero persino di più (è la mia città ideale, ho pensato. E il fatto che lo stesso luogo ospiti anche la più grande libreria di tutti gli USA non ha fatto che confermarmelo). In verità, il giro del nord della West Coast che ho compiuto (e che comprendeva anche Seattle e Vancouver, città simili per attitudine e spirito liberale) mi ha riavvicinato al gusto della fanzine, un concetto quasi scomparso nell’attuale panorama digitalizzato. Lì ne ho trovate di ogni genere, dalle più classiche (pubblicazioni punk, politiche, di fumetti o dedicate a comunità specifiche, come i vegani) a quelle più anomale (che sono ovviamente quelle che mi hanno entusiasmato di più: racconti di incontri immaginari con Gesù, raccolte di foto di madri nella savana, decaloghi di istruzioni surreali, vignette di un fumettista ipovedente…). Il fatto che qualcuno, da qualche parte, senza troppi mezzi economici a disposizione ma con molta energia creativa, scelga un tema folle e personalissimo e si metta a creare piccoli giornalini da distribuire in una manciata di copie nel mondo su di me, dopo tutti questi anni, continua a suscitare un fascino enorme.

Da Portland ho mandato un Whatsapp a un vecchio amico, che avevo conosciuto all’epoca dell’università, quando entrambi producevamo fanzine, per illustrargli quello che avevo trovato. La sua risposta, sintetica, eloquente, è stata: “Moriremo fanzinari”. Lo credo anch’io. Certe cose te le porti dentro per sempre, che tu lo voglia o meno. ’tina, che è nata fotocopiata, è migrata sul web in versione digitale e ora è giunta a queste edizioni stampate in modo professionale ma in tirature limitate, malgrado le diverse incarnazioni che ha assunto nel tempo, dentro di me è sempre rimasta “la mia fanzine”. Dopo la frenesia di formati bizzarri degli ultimi numeri, stavolta ho volutamente preferito tornare all’aspetto da rivista classica: niente giochi di parole nel titolo, niente stranezze nella forma.

Anche l’originalità a tutti i costi può diventare una gabbia e io voglio che ’tina resti innanzitutto una rivistina bella da leggere. Cinque racconti, come da tradizione, tra debuttanti totali ed esordienti illustri.

Continua la preziosa collaborazione grafica di Sergio Tanara, mentre le illustrazioni di questo numero portano la firma di Pierluigi Longo, artista che amo molto e che ringrazio per questo regalo.

Nel frattempo, ’tina è giunta all’ennesima incarnazione: da qualche mese è diventata anche un podcast sul portale StorieLibere.fm Da oggi, oltre a leggerla, la si può ascoltare.

A riprova che anche le fanzine, nel loro piccolo, possono farne di strada.

 

Irriducibile, as always,

il vostro BB

In questo numero:

Riccardo D’Aquila, Zia Dot

Barbara Guazzini, Il travaso

Riccardo Fumagalli, La deludente via degli oggetti contundenti

Jonathan Bazzi, Il corpo di Tina

Alice Scornajenghi, Comfort Food

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