OMAGGIO A SEVERINI

PIERSANDRO PALLAVICINI

The Gilberto Severini Experience- Osimo Tapes

I - Tre giovanotti a modo

Un certo sabato di inizio giugno io, il Luciano Bertelli Masera e il Giampiero Colombo Pin abbiam preso su e siam partiti per Osimo con la famigliare Fiat che il mio papà usa per le consegne della ferramenta. I miei erano in ferie, il negozio era chiuso ed io ho sempre saputo -e perfettamente -dove nascondevano la chiave della voiture. E per noi, coi nostri freschi diciott'anni, bigiar la scuola, bigiar un sabato d'inizio giugno all' Istituto Tecnico Commerciale Luigino Casale di Vigevano, era uno scherzo: stante che i libretti, la giustificazione s' intende dire, ce la si poteva già firmare -e dico in tutta legalità- proprio da noi.
Dunque, l' idea era quella di andar lì, in questa località certamente amena delle Marche che nessun di noi tre aveva mai visto nemmen raffigurata in fotografia, e scovare, finalmente, lo scrittore signorilmente underground ed elegantemente cult Gilberto Severini. Il fatto è che noi tre siam ragazzi che condividono questa passione che -posso giurare- è autentica e vien su dal cuore e, azzarderei, ha persino un twist di generazionale. Ed è rivolta, con un' intensità che non può esser trascesa, verso lo scrittore marchigiano -ripeto cult e ripeto senz' altro underground- che si firma -ripeto encore- Gilberto Severini.
Per il tour si era deciso imprevedibilmente -e dunque bene- la sera prima, dunque un certo venerdì d'inizio giugno, davanti alle nostre tre Strawberry Margaritas, seduti negligentemente attorno ad un tavolo in moplen, molto anni '70, ma perfettamente contestualizzato, nel locale milanese gay-friendly «L' Elefante» (gran bel cafè situato, tra altri locali oscillanti invece tra il negletto e lo sconsigliato, in -la zona è Buenos Aires- via Melzo 22). Dunque, per chiarire, era tardi, v'era una musique frastornante e sgradita, avevamo appena avuto questa illuminazione (e chissà, forse potrei lasciarmi andare a nominarla satori ) circa il ruolo della frequentazione della quinta ragioneria nel nostro perenne essere insoddisfatti e confusi, e dunque -ora eccomi al dunque - sommati questi tre addendi noi si guardava le nostre Strawberry Margaritas con uno straniamento forse davvero almeno un poco generazionale. E fu in quel momento straniato, con un nuovo -son convinto che ora si, lo si possa nominare- satori, fu in quel maelstrom di spaesamento e malessere, che io ebbi l' idea flashante dell' ineffabile tour marchigiano.
Ma come, mi venne fatto di pensare, non è forse Severini una di quelle passioni che -nate sulle pagine di riviste non del tutto sputtanate e forse persino un po' cool quali «Moltilibri Multimagazine» e «Vortici Soul»- contrassegnano il nostro esser antagonisti? Il nostro essere altri (se mi si passa questo, un poco atrox, settantismo) rispetto alla massa -sicuramente invece zero quanto a coolness - dei nostri compagni di quinta B presso l' Istituto Tecnico Commerciale Luigino Casale di Vigevano? Ma come, ha continuato a venirmi fatto di pensare, non ci siam forse io, il Luciano Bertelli Masera e il Giampiero Colombo Pin emozionati -fin a rasentar quasi la perdita della nostra tanto perseguita coolness - alla lettura di testi quali «Un Breve Autunno» o «Partners» o «Fuoco Magico» o e, in particolar modo, struggentemente, «Congedo Ordinario»? Non ne abbiamo forse riportato, con particolare cura per la calligrafia e l' aspetto visuale, sulle nostre agende Kartell -ineffabilmente usate da noi tre a mo' di scolastico diario- quei brani che, ci possa perdonare Gilberto Severini stesso per la tanto idiomatica quanto imbarazzante espressione, ci provocavan, santiddio, una pelle d' oca alta così?
Giacchè la risposta ad i tre interrogativi era stata un sobrio, essenziale si, bene, ci eravam detti, dopo che ebbi esteso quanto mi era venuto fatto di pensare ai miei compagni Luciano Bertelli Masera e Giampiero Colombo Pin, che aspettiam dunque a sguizzare via da questo ambiente fors'anche gay-friendly ma con una musique questa sera così rozzamente uncool? Cos'aspettiam, ci eravam detti anche, a sguizzare altresi via da quella Vigevano non più mastronardiana ed anzi omologata e, davvero, letteralmente impossibilitata ad essere anche solo per un breve istante, cool?
«In culo!», ecco quel che ci eravam detti: andiam, per una volta, incontro ai nostri miti.
E s' era concordato non per il subito ma per il domattina -giacchè il Luciano Bertelli Masera denunciava un addormentamento che non poteva esser trasceso- e per la famigliare Fiat dei miei genitori. Giacchè era un diesel, giacchè i miei -i parents - erano in ferie a Boario e giacchè, alla fin della fair, tanto Giampiero Colombo Pin quanto Luciano Bertelli Masera sapevano perfettamente che io avevo sempre saputo -e perfettamente, di nuovo- dove i miei usavan nascondere la chiave della benedetta e Fiat famigliare voiture.

II - La Fiat, la Vecchia e le uova sode

Siam partiti ch' eran neanche le sette, quella mattina di un certo sabato d' inizio giugno. Siam partiti in un fresco ineffabile e sotto un sole propizio con io alla guida, il Luciano Bertelli Masera al mio fianco -investito della responsabilità dell' autoradio- e il Colombo Pin Giampiero dietro, a dispensar vivande e letture scelte, tra volumi Severiniani (che ci eravam portati per la necessaria autografatura) e thermos e borracce e panini frettolosamente imbottiti e le uova che -stante la casa priva di genitori e la cuisin dunque a total disposizione- avevo provveduto a sodare mentre, quella certa mattina di un certo sabato d'inizio giugno, ero altresì impegnato nelle consuete abluzioni. E i nostri abbigliamenti, devo dire, riflettevan la tensione imprescindibile -che provavam e proviamo- verso un mondo meno sguaiato e ben più ricercato di quello presente e, in definitiva, rispetto ad esso, assai più cool. Io portavo una camicina blanca Calvin Klein, dei jeans Calvin Klein appen slavati, biancheria intim tipo boxerino Calvin Klein e della Addas Gazelle, blu (d'accordo, non Adidas , ma Addas... Ma, prègasi notare, per quanto imitazioni, appartenenti ugualmente ad un' epoca, gli anni 70, da ritenersi oggi, in certi aspetti, a cuor leggero, ispiratrice e certamente cool). Il Giampiero Colombo Pin indossava un paio di pantaloni Commes Des Garcones rosso strillante, una blusa jacquard in tono di New Boxer, scarpa tipo-inglese -graziosissima- di A.Testoni e, azzarderei, la pazza, niente biancheria. Mentre il Luciano Bertelli Masera aveva il suo completo di Michico Koshino, grigio, forse già visto, forse stazzonato, forse un po' heavy per quel certo sabato d' inizio giugno, ma ben in tinta -perdio!- col meraviglioso grigiazzurro londinese dei suoi occhi così splendidamente , mi si conceda, sofisticati e trend. Ed era un bel contrasto -un contrasto che ci sottolineava- con il grigiore metallico e polveroso e fors'anche postindustriale della famigliare diesel Fiat lievemente gibollata, usata per le consegne della ferramenta dei miei.

Ma è stato da subito, purtroppo, potrei dire è stato da fuori Abbiategrasso e prim'ancor dunque di raggiunger Corsico e Gaggiano, che abbiam dovuto, ahinoi, riscontrare altresì una certa tensiòn...
«Le uova sode!» mi ha esclamato il Colombo Pin, dopo aver frugato nei sacchetti delle riserve alimentari «Le uova sode, mi hai preso su, cazzo! Le uova sode, scemo, son per niente cool».
Ecco cosa mi ha esclamato, quell' ingrato.
E mentre cercavo di spiegar lui che quello era quanto m'era stato dato fatto di trovare nel mio frigidaire (e quello: «I patè !» mi pretendeva. «I vol au veint !» mi schiamazzava) il Bertelli Masera Luciano, benedetto angelo fiorucciano ed occhioceruleo, ha cercato di alleggerir la situazione mettendo su la prima musique della giornata.
«Relax, friends» ci ha detto. «Sit back. Relax. And Enjoy» ci ha detto il Luciano Bertelli Masera ed ha inserito un nastro che, così ci ha detto ancora, «sarà una sorpresa. Una band nuova. Una mia scoperta. Invero, friends, materiale assolutamente cool. Invero, friends, un'autentica figata ».
Cosa che ci ha al contrario peggiorati nell' umore. Giacchè si è scoperto il nastro esser nient'altro che una vecchia ciarpamàta di una band rumoreggiante e tafanatrìce, ambient dance , niente trend e poi stravecchia e risaputa -per di più- rispondente al nome di Orbital.
«Cazzo!» ci è venuto fatto di dire a me ed al Colombo Pin, già scossi per la faccenda delle uova. Ci è venuto fatto di dire, anche, «non avrai altre sminchiazzate del genere, in borsa, vogliam sperare, vero, Luciano?!».
Ed ecco quello estrarre, e giuro con solennità vaticana che è tutto vero, un album del 93 dei Prodigy; un mini album del 94 coi Chemical Brothers; un Q-Disc strumentale di Goran Kuzminac con gli Orb. Ed anche -ma come fare poi, allora, a pretendersi ancora cool? - selezioni da lui operate sull' opera omnia di U2, Oasis e persino -vengo meno- Africa Unite...
«Dov' è Alex Reece? Dov' è la serie completa dei Rebirth Of Cool?» mi sono messo ad urlare io. «Datemi le compilation Irma Records!» mi ha fatto eco il Colombo Pin «Datemi i Pizzicato Five! I Divine Comedy! I Mike Flowers Pop!».
Ecco quello che gridavo io ed ecco quello che gridava il Giampiero -davvero un po' da pazza e forse più camp che da sophisticated lady - che pure mi rimbrottava, a tratti, ancora per le uova ed anche, devo dire impietosamente, per essermi comunque dimenticato le necessarie senapi, vinaigrettes e maionesi. Mentre il Bertelli Masera Luciano, inviperito, cambiava un nastro via l' altro, in un vortice straniante di sonorità che gettavano un' ombra davvero sinistra sul suo concetto -che io avevo invece sempre ritenuto una sicurezza- di cool.
E a questo punto eravamo già in autostrada e a questo punto già ci fermavamo a Somaglia, al primo autogrill.

E' stato li che ci siam riforniti di alcoolici. Abbiam fatto il conto della moneda che potevamo riunire ad abbiam trovato che un diecimila, almeno una pietà di diecimila, beh, comunque e perbacco, tra tutti e tre lo si poteva anche tirar fuori ed investire. Ed anche, abbiam pensato, ci farà da rilassante, un bell'alcoolico. Ci salverà, forse, da quello straniamento in cui musique errata e uova sodate ci han precipitato. «Ma che sia una bevanda quantomeno, miei friends cari, cool » ha voluto raccomandarsi, astioso, il Luciano Bertelli Masera, mentre entravamo nel reparto alcoolici del Somaglia's Autogrill. «L' ultima volta, la volta della gita a Gardaland -e sempre merda a chi ha avuto quell' idea del kaspio- si è preso del Batida. Batida al cocco , diocàro. Roba stravecchia. Roba scaduta. Anni '70, vi concedo» insisteva acido il Bertelli Masera «ma imbevibile, jesus! Si è vomitato all' altezza di Bergamo, diobòno. Vomitato, my friends. E sottolineo: a Bergamo. Neanche metà strada, sottolineo, diocàro, my friends...».
Io, piuttosto sull'offeso, ho deciso di non rispondergli nemmeno. Certo, aveva ragione. E certo, ci voleva qualcosa di ineffabile. Qualcosa di adatto all' andar incontro ai nostri miti, ecco quel che voglio dire. Qualcosa, in definitiva, di senz'altro molto economico e cool.
Niente Batida, dunque. Niente Vodka Mango e niente Limoncello, per carità. Aveva certamente ragione, il Luciano Bertelli Masera. Ma, che sconforto: l' idea di quella gita a Gardaland era stata mia e nessun m'avrebbe tolto l' impressione, lì, nell'aria refrigerata dagli scaffali dei salami in quella certa mattina d'un certo sabato d'inizio giugno all'autogrill di Somaglia, nessun m'avrebbe tolto l'impressione che quello fosse l'ennesimo insulto, magari un po' trasversale ma insulto, legato alla precedente discussione sui gruppi fetidi coi quali il Luciano aveva tafanato la mia voiture. E quello, tra amici che condividevano passioni -mi si conceda il settantismo- alte come quella verso lo scrittore finemente underground, deliziosamente marginale ed ineffabilmente e suo malgrado cult Gilberto Severini, ecco, quella mi sembrava una maleducazion davvero fuori luogo. E che doleances di quello stile m'arrivassero dal Luciano Bertelli Masera, poi -mi si conceda anche questo, alla fine- era un fatto che procurava fitte al mio già sanguinante corazòn...
Ma ho finito per scegliere, comunque -e ricacciando giù il dolor- un Vecchia Romagna. Etichetta Nera,
of course. Prima di tutto un brandy. E così anni 70, poi. E comunque, mi si lasci dire, pagato 9.900 e dunque il massimo del fashionable che ci si potesse permetter, in definitiva.

III - Romagna camp e autostradale

E' stato all' altezza di Rimini che, sollevati gli animi grazie al brendino e scovato un nastro non del tutto cestinabile tra le poltiglie del bel Luciano -e trattavasi di un James Taylor Quarter, fieramente d'antan- ci si è sentiti a sufficienza rilassati per un tentativo di conversaziòn.
«I dieci scrittori imprescindibili!» ha tirato fuori -sia pur, ma gli sia concesso, sguaiatamente, con quella bottiglia sciaguattante in mano- il Giampiero Colombo Piffero. E «Christopher Isherwood!» ho esclamato io, di rimando, entusiasta alla mera idea di quel genere di elencazione, superando un TIR francese Onatra guidato da un folgorante nero a torso nudo. «Raymond Carver!» mi ha fatto eco il Luciano Bertelli Masera, aggrappato al cruscotto per via di una mia certa sbandata a causa di una determinata e troppo lunga sbirciata al TIR driver africano. «Bret Eston Ellis! PierVictorio Tondelli! Jay McInerney!» ho poi infilato, ignorando la sventagliata d' abbaglianti e il gesto poco urbano -ma quanto erotico, in definitiva!- del blackman appena sorpassato. «E Tama Janowitz! E James Baldwin e Mastronardi Lucio e Bianciardi Omonimo Luciano!» ha incalzato il Bertelli Mascara. «Arbasino e Severini, of course!» ci è poi venuto fatto di dire, all'unisono, a tutti e due.
«Severini!» abbiam esclamato a lungo io e il Luciano. «Severini!» gridavamo come una voce sola, mentre, giuro, a stento trattenevo l' impeto d'abbandonar il volante ed abbracciar quel corpo illuminato da quelle iridi grigioazzurre e londinesi che, non importa la musique errata, non importa l' affrettato giudizio pocoprima espresso sulla non riuscitissima gita a Gardaland, mostrava una tale comunanza di vedute con me, una tale condivisione di gusti da farmi pensare che, mi si conceda, tra noi due vi fossero senz' altro delle affinità elettive.
«Severini d'accordo... » ci ha interrotti il Giampiero Colombo Le Pen «ma vi pare un minimo degno il resto? Vi sembra men che ovvio, il rimanente?». Noialtri due siam rimasti come freddati. Come se un killer maligno ci avesse colpiti con un singolo, ma precisissimo, colpo nella nuca. Magari avvelenato. Magari al curaro. Senz' altro mortale. Certo, ne avevam discusso in mill'altre occasioni. Certo, si sapeva, io ed il bel Luciano Bertelli Maseràti, che la Pin, quella pazza della Giampiera Colomba Pininfarfallina, aveva dei gusti tutti suoi -ed artefatti, forse, mi si lasci dire- in fatto di romanzi e scrittori. Ma quei modi! Quella sguaiataggine! Interromperci mentre si parlava -quello era il punto- insieme e dal cuore e -io e lo splendido Luciano Beicapelli Masera- in un unisono vocale che corrispondeva -come dubitarne?- alla comune vibrazione delle nostre anime, così meravigliosamente antagoniste e trend!
Ed ecco che la Pin ha cominciato con il suo, di elenco. «Baudvillavd! Huysmans! Andvè Gide!» Con noi due che -mi si perdoni la desuetudine- basiti, lo si fissava come altrettanti basilischi. E quello, il Colombo Pif Giampretty, anzichè diventar di pietra come preteso dai nostri sguardi, elencava e straelencava, superando abbondante la decina -pur da lui stesso proposta come limite- nell' enumerazione di quei suoi determinati scrittori preferiti. Ed affettando, prima mi era solo parso ma poi ne son stato certo, perfettamente certo voglio dire, un'inedita erre moscia...
«Ivy Compton Buvnett! Jacques Pvevevt!» gridava arrotando, la pazza, e brandendo quel che rimaneva dell' Etichetta Nera «Cocteau! Anatole Fvance! Genèt!». Non la capivamo mica, io e lo splendido Luciano Bertelli Macho, la ragione di quella erre moscia. Ci siam guardati in volto, più esterrefatti e vicini negli animi che mai. Un goffo tentativo di incrementare la sua sophistication? abbiam pensato. Un sinistro indizio di un principio di emiparèsi? ci siam domandati -giacchè ad uno zio gruista del Luciano, lo zio Galèno, gli era cominciata proprio così, la emiparèsi, ricordava lo splendido Benelli Gilèra, proprio con un difetto di pronuncia incongruamente improvviso ed, apparentemente, affettato-.
«Celine! Voland Bavthes!» continuava il Giampierremoscia Colombo Pin, e noi si cominciava a propendere per la soluzione emiparèsi, finchè lui non ha tirato fuori: «Vaffaele Cvovi!».
Ed è stato allora che abbiam pensato che no, forse nè di sophistication ambìta nè di principio di emiparèsi si trattava, ma di semplice -sia pur stramàrcia- ubriacatura da Etichetta Nera. Abbiam pensato questo, si, io ed il Luciano Berretti Dasera. Ma siam rimasti -e già si era all' altezza di Cesenatico, allora- più che un filo preoccupati per il nostro farfugliante amico e vicini, vicini negli animi come non mai. E mentre sfrecciava via l' uscita di Cattolica ci siam guardati e ci siam sorrisi in un modo che mi ha scosso deep, deep into my heart.

Alle tre del pomeriggio siam usciti ad Ancona sotto una pioggia torrenziale. Il tempo era mutato, abbiam dovuto registrare, tanto quanto i nostri giovani ed antagonisti animi, rispetto ai sereni momenti della partenza, su, nella Vigevano torpida e lomellina. Mentre l' acqua scrosciava sulla lievemente gibollata famigliare Fiat grigio metallizzato, il Giampiero Colombo Pop biascicava cose astruse dal sedile posteriore, sul quale stava steso, con le membra -braccia e gambe, per esser chiari- disposte disordinatamente, come in conseguenza, pareva a me ed al bel Luciano, di una terribile deflagrazione. Ed altrettanto casuali eran le sue parole, nelle quali l' unica distinguibile nota era quell' inedita, insistita, erremoscia. L' Etichetta Nera gliel' aveva sequestrata il Tony Bertelli Manero, che pure vi aveva dato generose sorsate, concedendomene appena dei miseri -mi si passi, please, la gergalità- cicchettini. Tant' è che ora non sapevo come prenderlo, il Lucièn, quando, girandosi verso il deflagrato, mi diceva cose come: «C' ha una rigidità, friend, ti giuro, che mi butta male. Una rigidità di faccia, diocàro, voglio dire, che è sputata quella di mio zio Galèno. Gli è poi rimasto un certo sorrisino ironico e laterale alla Gary Cooper, ti giuro, per trent' anni , allo zio Galèno, my friend». Io ascoltavo il bel Luciano e, con la preoccupazione per l' infermo che cresceva -che avrebbe detto, alla fine, la signora Colombo Pin Lauretta, giuntöra al calzaturificio Sultanino e madre del Giampiero, a fronte della restituzione di un figlio per sempre sguaiatamente ironico, sia pur vagamente resemblante Gary Cooper?- ecco, con questa preoccupazione che mi rodeva, mi rammaricavo altresì, ma li era tutta -lo ammetto- colpa mia, per le occasioni buttate via: non ero stato capace di parlar d' altro che di cinema iraniano e della crisi creativa di Morrissey, nel tratto -pur non breve- tra Cattolica ed Ancona. Non ero stato capace di parlar d'altro che di musiche sapute e di film che, in cuor mio, giudicavo forse con dei bei paesaggi ma senz'altro, nel complesso, da aborrire senza esitazione. Nonostante certe occhiate -e non posso sbagliar- languidissime del Luciferino Bertelli Masera. Nonostante certe sue eleganti e- non posso, di nuovo, sbagliar- allusive sfioratìne ginocchio-nocche quando io cambiavo, anche superfluamente, anche in tratti scopertamente rettilinei e piani, marcia alla voiture. Ma siam saliti ad Osimo in un lampo, a quel punto. E già ci fermavamo in un baretto, per una piccola birra -noi due più sani, mentre Giampiera Colomba La Paz rimaneva tutta sparsa a ronzar lieve sul sedile posteriore- ed un' occhiata all' elenco del telefono. Giacchè nulla si sapeva dello scrittore non si sottolineerà mai a sufficienza quanto gentilmente underground e pazientemente, ripeto, suo malgrado, cult Gilberto Severini. Del quale, trionfante, ho finito per scovare telefono ed indirizzo sull' Elenco Telecom del Bar Snoopy, mentre il Luciano Bertelli Magic si recava, guarda un po', furtivo , in bagno.

IV - Satori ad Osimo

Quel pomeriggio piovoso d'un certo sabato d'inizio giugno, in quel certo baretto -quanto, per altro, accogliente e, deliziosamente, provinciale!- della prima periferia di Osimo, il Luciano Bertelli Masera mi è rientrato dai -se mi si passa la rozzata non da poco- cessi, con uno -mi si conceda, prego, anche il settantismo- spinello in mano. E non dico rollato, che vabòn, uno può anche capire. Dico acceso. Dico fumante e puzzante: inequivocabilmente, insomma, spinello ed inequivocabilmente, insomm'ancora, acceso. E con un sorriso, su quelle labbra tumide e che avrei sempre, comunque e in ogni luogo desiderato baciar, che non lasciava dubbi sul fatto che ne avesse già consumato, il gran Luciano, una buona metà almeno.
Io ho pagato le due birre, povero me. Che altro dovevo fare? Ho preso il mio amico angelico ed occhioceruleo e fumigante per un gomito e l' ho trascinato fuori, povero me. Che altro dovevo fare? L' ho trascinato fuori e cacciato, a forza -quell' incoscente- dentro la mia modesta ma pur sempre spaziosa, in quanto famigliare, Fiat grigio metallizzato e lievemente gibollata intestata alla, ed utilizzata per le consegne della, ferramenta dei miei. «Pazzo!» gli ho detto. Gli ho detto «In un bar! Spinellarsi nel cesso, mon dieu ! Manco avessi dodicianni, cazzo, ti prego, Luciano!».
Lui, per tutta risposta, ha preso una lunga boccata, mi ha soffiato il fumo in faccia, ha fatto uno di quei suoi sorrisi da irresistibile -davvero: riuscirò mai a render quanto irresistibile? - canaglia e mi ha detto «Relax, friend. Che ne dici, piuttosto, di un sano tiro al mio joint?»
E' stato a quel punto, che è scattato il dramma. E' stato a quel punto che lui mi ha passato il fumigante spinello e che io l'ho respinto, magari un po' troppo sprezzante e nient'affatto -lo ammetto- cool, con un «Lo sai che non fumo, cazzo, diocàro, Luciano». Lui ha inarcato le sopracciglia, le sue sopracciglia corvine che così ben incornician le grigiazzurre iridi londinesi, ha preso un altro lungo tiro ed ha trattenuto il fumo nei polmoni che sottostanno al suo petto fiero e muscolare, mentre sceglieva un nastro dalla propria, e quanto poco raccomandabile, fornitura.
Poi, «sei cool come la merda» mi ha detto, prima di porre una cassetta -di, e mi sento mancare, ammesso che questa non sia stata, in fin dei conti, una mia allucinazione, Mariah Carey - nello stereo Panasonic della voiture.
«Sei, anzi, per dirla tutta, una fighetta, dear friend of mine. Una palla al piede, ecco. E se non avessi avuto un diesel, credimi, friend » ha aggiunto invelenito il Luciano Bertelli Masera «Ti avrei lasciato a casa volentieri. Tu e le tue uova sode di merda. Anzi, tu, le tue uova sode di merda e quella finocchia fradicia, petulante ed indiscutibilmente oca della Giampiera Colomba Emiparalizzata Pin!». Ecco, ha detto questo, il bel Luciano. Ha detto questo, la luce dei miei occhi. La musica per le mie orecchie. Colui con il quale, poche mezz' ore prima, avevo sentito -ed inequivocabilmente, me lo si conceda- una calda vicinanza nello spirito ed il vibrar -ammesso che siano in grado di farlo... ma, una volta ancora, me lo si conceda - di affinità elettive. Il Luciano Bertelli Masera ha detto questo, ha fatto partire quella orribile ed irritante musique e io, esterrefatto per il mio stesso gesto, gli son saltato al collo con violenza animale. Ignorando il Giampiero Colombo Pin che, redivivo -per quanto sempre più di la che di qua ed ancora disordinatamente disposto sul sedile posteriore- si è messo a ringhiare mosciamente ed in modo davvero per niente sophisticated «Abbassate... nghh... quel vegistvatove di mevda, vi pvego, amici, povcoddìo!»

E' triste dirlo, ma ci siamo ben accapigliati. E' triste dirlo, ma il contatto che tanto, davvero, povero me, tanto avevo auspicato ecco che avveniva in quel modo così poco sentimentàl. Certo, forse anche piuttosto erotico, perchè no?, ma davvero per niente circondato dal sentimento e davvero niente, niente cool. Son volate sberle e son volati calci, poveri noi. Son volate, e ancor mi duole il solo ricordarlo, terribili e per nulla generazionali e davvero niente eleganti, sputazzate. E insulti, certo. Insulti che non ho intenzione -dio, se di un dio mi posso permetter di parlare, ebbene: dio me n'è testimone- non ho intenzione in alcun modo di nominare. Se non il più terribile, a vantaggio sol della chiarezza, quello che, dalle tumide labbra dell'azzurroiridato Luciano Bertelli Masera, ha suonato per me come il botto di un'atomica lanciata dritta dritta dritta sul mio corazon.
«Befana frocia!» Ecco quello che mi ha gridato, povero me, il mio bel Luciano. Ecco quello che mi ha gridato tutto enfatico ed anche un poco, mi par di poter dire, stronzo , proprio pochi secondi prima che i gendarmi, forse i carabinieri o forse la police -ma flebile, mi si conceda, è ora il recuerdo per i particolar- bussassero ai finestrini della Fiat famigliare diesel grigiometallizzata e forse non esattamente poco gibollata e comunque targata Pavia, utilizzata per le consegne della ferramenta dei miei.
Ecco la fine ingloriosa dell'ineffabile tour marchigiano! Ecco il Luciano Bertelli Masera tentar d'ingoiare quel che rimaneva dello spinello -e povere, povere le sue tumide turgide e terribili labbra: perchè lo spinello intendasi, ma mi par chiaro, ma comunque lo si scriva, acceso ! Ed ecco l'emiparetico presunto rialzarsi barcollando dal sedile posteriore e vomitar per ogni dove, ma in particolare, e diabolicamente, sulla mano del carabiniere -o poliziotto, ma che importa, ora, davvero?- che si sporgeva nell'auto e per il bavero, virilmente, l'afferrava. Ed ecco pure, altresì, io stesso in imbarazzo grave, a spiegar la nostra presenza, alcoolica e palesemente -che l'odor non lo si leva, poi, nemmen con la candeggina- spinellata ed anche, pure -ma la preoccupazion e qui davvero più mia e stilistica che non del carabinier- per niente cool, all' interno di una pluirigibollata e diesel e grigiometallizata famigliare Fiat intestata, guarda un po' la bizzarria dei miei, ad un certo inspiegabile, incongruo Metal Guru. E vagli tu a spiegar, a quelli, della ferramenta parentale e dell'insana passione nutrita da mio padre per quel certo celeberrimo hit di quella povera befanetta spettinata dello scomparso Marc Bolan coi suoi T.Rex -passione che gli deve aver fatto sembrar poco meno che geniale, al mio parent, chiamar la ferramenta in quel, e mi si passi anche la volgaràta, a questo punto, buco di culo di modo! E vaglielo a spiegare, poi, tra vomiti, tra tossi asinine effetto di spinelli accesi rimasti in bilico in trachea, tra acquazzoni scroscianti, uova sode, erremoscie, libri sparsi, sospette emiparesi, cassette sfarinate, Etichette Nere esauste, rossetti della Pin, pornogay in certe tasche di zainetto, giarrettiere - vertigine !- sotto certi altri Michico Koshino, tra scazzi, reticenze, patenti esaminate, carte d'identità negate o perdute o illeggibili in quanto svomitate, tra insulti a mezza voce, crisi di nervi e svenimenti, vaglielo a spiegare tu, poi, in questa marasmatica situazione davvero poco cool, che forse no, forse sarebbe stato meglio per noi ragazzi se non avessero telefonato su, a Boario, per controllare se certi gestori di una certa ferramenta denominata Metal Guru davvero risiedessero all'Hotel San Pilòro E Giustiniano e davvero possedessero una famigliare Fiat, spaventosamente -lo ammetterò, infine- gibollata e grigiometallizzata e diesel ed intestata a quello stesso certo Metal Guru e comunque guidata da un sedicente figlio loro, incongruamente recatosi ad Osimo, provincia di Ancona, anzichè alle sue lezioni di quinta ragioneria, ed impegnato nella ricerca dello scrittore dichiaratamente marginale, ineffabilmente underground e comunque, davvero, amabilmente cool Gilberto Severini.
Eccola, eccola la nostra ingloriosa fine: portati in guardina ad attender l'arrivo -con corriera autostradale- di una coppia di parents -ed intendo i miei, per esser chiaro- leviatanicamente, e fors'anche definitivamente, inviperiti
. Eccola, eccola li, la fine nostra ed ingloriosa: caricati su una voiture della police -o quel che sarà mai- con un capannello di gente a sputar sentenze con pesanti accenti marchigiani. A prender in giro. A farsi risate sui nostri abiti invece così cool, sulle nostre capigliature antagoniste e, soprattutto, su gli innumerevoli gibolli della diesel famigliare Fiat gris-metalizèe. Un imbarazzo -mi si conceda- intollerabile , e mai provato.

Da cui una sola voce, e quanto -mi si passi il misticismo- santa voce, ha cercato, con gran coolness, di tirarci fuori. Un uomo, un signore, anzi, mi si creda, un gentleman, sceso da un'ineffabaile Mini Morris tutta verde e cromature. Che ha dato un'occhiata, mentre noi ci si pigiava sulla voiture della police, ed è andato dicendo, con pietà infinita, agli energumeni in divisa: «Ma in fondo, dopo tutto, son nient'altro che ragazzi, questi». Non criticava, non gridava, non polemizzava. Lui, ha semplicemente detto. Ma mio Dio - e mi si passi il settantismo - che flash! Certo, poi ci han portato via comunque, e in quel modo indecoroso. Certo, poi coi miei, con la scuola e con la voiture plurigibollata è finita in un certo modo che mi viene lo spleen solo a ripensare. Ma ecco, lo posso dire: quella giornata, a Osimo, si è conclusa con un -ora, davvero, ancora, sento di poterlo nominare- satori. Perchè quell'uomo, quel signore, quel gentleman, con il suo impermeabile perfetto ed inglese, con certe altrettanto perfette iridi blu mare, con la Fred Perry in impeccabile nuance con le stesse iridi e quei capelli tra il biondo e il bianco -mossi da certi refoli possenti del fortunale- quell' uomo, con i suoi forse trent'anni più di noi, ci è apparso -perchè concordano il pur tossicolante Luciano Bertelli Masera ed il pur più di la che di qua Giampiero Colombo Pin- ecco, quell'uomo ci è apparso come un'illuminazione. Un lampo d'azzurro elettrico stagliato contro il cielo bigio. Un'apparizione, un grumo di senso.
Son bastati pochi secondi, son bastate poche parole, ma, mentre la pantera o la gazzella o quant'altro ci portava via, siamo stati illuminati su come si dev'essere per essere, in una parola, perfettamente ed ineffabilmente cool. E' stato un flash, giuro, se mi si riconcede il settantismo. Un autentico satori. Son bastati quei pochi secondi a render, al di la di certe nostre disavventure, memorabile quel giorno e quella gita ed Osimo. La città -ma non sarà un caso, a questo punto- dello scrittore finemente underground , deliziosamente marginale, splendidamente cult e definitivamente cool, Gilberto Severini.


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