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ALBERTO FORNI
Quello fra la narrativa
e il calcio è un incontro che, ultimamente, si sta facendo sempre
più frequente. Il pallone come metafora di gioco, sconfitta,
vittoria, sfida, in una parola (abusatissima) di vita. Con la tipica
visione laterale che lo contraddistingue, Forni ha deciso di dedicare
un racconto non già ai gol che segnano le partite memorabili,
ma ai palloni usciti dal campo di gioco. Sfide interrotte, compagni
di squadra ansiosi, insofferenza sugli spalti, attimi di insopportabile
attesa: a modo loro possono essere davvero momenti fondamentali. Geniale
anche solo l'averci pensato.
Storie di palloni
finiti fuori campo
Uno era collocato su un immaginario angolo di fondo
alla sinistra del portiere avversario.
Un ragazzino piuttosto smaliziato, che frequentava con discreto impegno
e pari risultati la scuola di calcio della locale polisportiva, pensò
di colpirlo con l'esterno del piede in modo da imprimergli un certo
effetto e farlo terminare in rete (confidando magari nell'aiuto del
vento). Dopo aver incitato i compagni più distanti ad avanzare
nei pressi della porta con lo stesso gesto di un vigile urbano che invita
il traffico a scorrere il ragazzino decise di sistemare meglio il pallone.
Sollevò quindi la sfera, se la rigirò tra le mani finché
non apparve la scritta "Mundialito", pestò più
volte l'erba col piede, appoggiò nuovamente il pallone a terra
poi, dopo averlo inumidito, alzò l'indice per saggiare qualità
e direzione del vento.
Compagni e avversari seguirono questo cerimoniale in assoluto silenzio.
Dopo aver preso una breve rincorsa il ragazzino si lanciò sul
pallone, ma invece dell'esterno del piede lo colpì con la punta
facendolo finire alle spalle della porta, oltre una piccola siepe.
Tutti rimasero immobili, come in un fermo immagine. Soltanto il ragazzino
che aveva tirato il calcio d'angolo agitò una mano davanti al
viso, come a scacciare un pensiero molesto.
Tutti rimasero immobili, come in un fermo immagine. Soltanto il ragazzino
che aveva tirato il calcio d'angolo fece per tornare verso il centro
del campo.
Tutti rimasero immobili, come in un fermo immagine. Finché il
portiere avversario non disse ad alta voce "Chi la tira, la va
a prendere".
Uno volteggiava in aria per via di una sfida a chi riusciva
a raggiungere il piano più alto.
Le ragazze avevano formato una specie di cerchio e facevano finta di
parlare tra loro mentre in realtà osservavano lo svolgersi del
gioco. Oppure le ragazze facevano finta di osservare lo svolgersi del
gioco mentre in realtà parlavano tra loro.
Comunque fosse, i ragazzi si sfidavano a calciare il pallone più
in alto possibile.
Deretti raggiunse il primo piano anche se cercò di farsi omologare
il secondo per via che si trattava di un primo piano abbondante.
Viviani siccome voleva sempre strafare mancò il pallone, si fece
male a un muscolo della gamba e dovette smettere di giocare.
Spennagallo che tutti prendevano in giro per via del cognome fece un
incredibile terzo piano ma tutti continuarono lo stesso a prenderlo
in giro per via del cognome.
Giordano disse che suo zio era stato quel Giordano della Lazio ma nessuno
se lo ricordava e comunque Giordano nipote fece un primo piano scarso.
Carosi per impressionare le ragazze disse "Guardate un vero campione"
ma il suo tiro risultò talmente sbilenco che il pallone finì
sul terrazzino del primo piano.
Al primo piano abitava un ingegnere senza moglie né figli che
si chiamava Ferrari.
Quella sera l'ingegner Ferrari trovò il pallone sul terrazzino
e lo ributtò nel cortile.
La mattina seguente il padre di Viviani, inavvertitamente, schiacciò
il pallone sotto le ruote della sua automobile.
Nel primo pomeriggio i ragazzi trovarono il pallone squarciato e definirono
l'ingegner Ferrari "quello che taglia i palloni".
Poco dopo Spennagallo disse che al di là di tutto aveva vinto
lui.
Uno superò le reti di protezione del campo di
gioco e dopo aver rimbalzato su varie parti del corpo di vari spettatori
terminò la sua corsa fra le braccia di una ragazza che si trovava
allo stadio unicamente per far contento il suo attuale fidanzato al
quale rimproverava spesso di non amarla a sufficienza.
Vi era stato scagliato da un arcigno difensore trentaquattrenne che
proprio in quel periodo stava considerando se terminare la sua carriera
alla fine della stagione in corso o proseguire un anno ancora e, in
ogni caso, se organizzare una partita d'addio o meno.
L'arcigno difensore aveva all'attivo sedici anni di calcio professionistico
e due gol. Il primo realizzato nel corso di una mischia in area, quando
il pallone respinto da un avversario gli era rimbalzato su una coscia
finendo in rete, il secondo ottenuto con un tiro di controbalzo da fuori
area che i giornalisti avevano definito, nel migliore dei casi, "tiro
della domenica".
In entrambe le occasioni l'arcigno difensore, negli spogliatoi coi compagni,
per strada coi tifosi, a cena cogli amici, al telefono colla madre,
aveva insistito nel considerare le reti, più che frutto del caso,
conseguenza della sua determinazione, se non proprio di un certo calcolo.
Le risate dei compagni, e anche dei tifosi, per non parlare di quelle
degli amici, ma soprattutto della madre, lo avevano tuttavia costretto
al silenzio.
Così di tanto in tanto, soprattutto nei minuti finali delle partite
che vedevano la sua squadra in svantaggio, l'arcigno difensore tentava
improbabili tiri da trenta metri che finivano regolarmente in fallo
laterale, o magari sul fondo, oppure oltre le reti di protezione.
Uno finì in un torrente perché quando
due amici si sfidano ai rigori in montagna il pallone finisce sempre
in un torrente.
E va.
Supera cascatelle, rimbalza contro rocce, si fa inseguire da bambini
ai quali i genitori gridano "Lascia perdere che domani ne compriamo
uno".
Va.
Spaventa trote, incuriosisce scoiattoli, passa accanto alle tende dei
campeggiatori tedeschi.
Di solito il pallone finito nel torrente, dopo una breve corsa, si ferma
in una pozza d'acqua e comincia a girare su se stesso.
E aspetta.
E gira.
E aspetta.
Finché qualcuno non si accorge di lui.
Quel giorno un padre si trovava nel bosco col proprio figlio di sei
anni. Nonostante gli iniziali tentativi dell'uomo di attirare l'attenzione
del bambino su alcuni aspetti della natura ("Quello è un
faggio", "E quelli si chiamano chiodini", "Lo senti
il pettirosso?"), questi continuava a camminare silenziosamente,
con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni. Il padre stesso non
sembrava particolarmente entusiasta della passeggiata visto che tale
idea ("Perché non andate un po' fuori?") era venuta
alla moglie, le cui intenzioni di chiacchierare in tranquillità
con un'amica non erano certo sfuggite al marito.
Tramontata quindi l'ipotesi di rendere istruttiva la camminata, il padre
si era limitato a indicare di tanto in tanto la direzione di marcia
("Prendiamo di qua", "Prendiamo di là") o
a dare generici avvertimenti ( "Attento ai rami", Sta' sul
sentiero"). Giunti nei pressi di un torrente, l'uomo fece un ulteriore
tentativo ("Lo senti il rumore dell'acqua?") senza però
ottenere alcun risultato.
Non appena vide la sfera nell'acqua il padre disse "Guarda, un
pallone" e rivolse lo sguardo verso il figlio, per vedere se una
qualche d'espressione sarebbe comparsa sul suo volto.
Il figlio, in effetti, parve leggermente sorpreso di fronte a quell'inaspettata
apparizione; allora il padre tentò di spronarlo dicendo "Non
è incredibile, in mezzo al bosco, un pallone?".
Il bambino mosse le labbra, ma non uscì alcun suono.
L'uomo, intuendo che la fine di quel lungo silenzio era vicina, continuò
a incitarlo dicendo "Ti rendi conto? Un pallone".
Allora il bambino guardò verso il torrente, quindi verso il padre,
poi disse "Lo vedo che è un pallone".
Uno rimbalzò sul marciapiede e finì in
strada proprio mentre stava sopraggiungendo un'automobile che lo colpì
col paraurti indirizzandolo nuovamente oltre il muro da cui proveniva
con una parabola ad arco che al suo culmine fu rilevata da una voce
che gridava "PALLA VALIDA".
Uno, a fine partita, si trovava sottobraccio all'arbitro, un giovane
che a lungo era stato combattuto tra lo studio della filosofia e l'arbitraggio,
optando alla fine per quest'ultimo.
Il giovane, che in casacca nera faceva una certa figura, un paio di
giorni prima aveva acquistato al supermercato una confezione di "mango
a fette in sciroppo leggero".
La particolarità della scritta di tale prodotto confezionato
in Thailandia da Erawan foods co., ltd. Paniathai tower, 16th floor
127/21 Nonsee road, Chongnonsee Yannawa, Bangkok 10120 l'aveva talmente
colpito che nel corso dell'incontro la sua attenzione si era rivolta
unicamente al concetto di "sciroppo leggero", e al modo in
cui potesse differenziarsi da quello "pesante". Il tutto,
naturalmente, a scapito di una corretta conduzione della partita, che
il direttore di gara aveva seguito in modo frammentario, limitandosi
a intervenire senza criterio in concomitanza delle urla più accese
del pubblico.
Al termine il giovane, mentre stava abbandonando il rettangolo di gioco,
venne assalito da un dirigente della squadra locale che s'impadronì
del pallone calciandolo in tribuna. Prontamente difeso dalle forze dell'ordine,
l'arbitro in un primo momento pensò di menzionare tale episodio
nel suo referto, ma in seguito decise di lasciar perdere perché
era una persona comprensiva e riteneva che tutti, in fondo, potessero
sbagliare.
Uno finiva di continuo nei pressi di una panchina su cui erano sedute
due giovani donne sulle quali avevano gettato l'occhio tre giovani uomini
sui quali pesava la convinzione che le donne andassero ruotate più
frequentemente dei pneumatici.
Le giovani donne erano intente a leggere alcune riviste.
I giovani uomini erano organizzati così: quello che aveva il
goniometro nei piedi crossava al centro, quello che aveva il calibro
indirizzava la palla verso la panchina, mentre quello che nei piedi
aveva giusto dieci dita ma possedeva l'approccio artistico - andava
a riprenderla.
L'approccio artistico, come lo definivano gli altri due, nel caso in
questione consisteva nello scusarsi di continuo con le giovani donne
per l'imprevedibilità della palla che, si sa, essendo tonda tende
a rotolare.
Visto però che tale strategia non sembrava attirare in alcun
modo l'attenzione delle due, all'ennesimo tiro nei pressi della panchina
gli uomini iniziarono a gridare "PALLA", e vista la persistente
indifferenza delle donne "PALLA PER FAVORE", e alla fine persino
un "COSA VI COSTA?" e un "PORCOZZIO".
Senza ottenere alcun risultato.
Alla fine l'uomo che aveva il calibro nei piedi disse "Quelle che
se la tirano in questo modo mi stanno proprio sul cazzo", dopodiché
attraversò il prato a grandi falcate e, raccolto il pallone,
si avvicinò alla panchina dicendo "Potevate anche ridarcela
la palla".
Le due non si scomposero minimamente; fecero soltanto un piccolo gesto,
come d'insofferenza.
L'uomo si avvicinò ulteriormente alla panchina, "Potevate
anche ridarcela la palla" disse a voce più alta.
Seguirono alcuni secondi di silenzio, nei quali si udirono distintamente
le voci degli uccelli e il fruscio dei rami, quindi, con uno scatto,
l'uomo andò a piazzarsi di fronte alla panchina, si mise una
mano a lato della bocca e gridò "LA PALLA. POTEVATE RIDARCELA".
Una delle donne alzò lo sguardo lentamente, fissò l'uomo
strizzando gli occhi, poi indicando le proprie orecchie disse "Pallavi-foccie-connoi?".
Uno rotolò lentamente verso un'ipotetica linea
di fallo laterale di un improvvisato campetto perché il passaggio
era stato indirizzato in una zona del campo nella quale non era presente
nessuno.
I ragazzini guardarono la palla terminare la sua corsa, rotazione dopo
rotazione, ognuno sperando che qualcun altro avrebbe preso l'iniziativa
di ricuperare il pallone.
Al rallentatore
Uno si piegò appoggiando le mani sopra le ginocchia, uno inarcò
la schiena stropicciandosi gli occhi, uno s'asciugò il sudore
lasciando un'impronta sulla maglietta, uno s'accovacciò mettendosi
a strappare fili d'erba, uno si mise a camminare verso il pallone, trascinando
i piedi, per rimetterlo in gioco.
A velocità normale
Uno gridò all'improvviso "Fallo di mano!", si diresse
verso il ragazzo che aveva ricuperato il pallone e ora lo teneva sottobraccio,
gli puntò il dito contro, disse "Non era fuori".
A doppia velocità
Il primo affermò che la linea era sempre stata almeno mezzo metro
più in là, il secondo replicò che invece era sempre
stata lì.
Il primo affermò che guardando l'erba si notava una riga di colore
diverso, il secondo replicò che quella riga era proprio sotto
i suoi piedi.
Il primo disse "Ti sei spostato, t'ho visto", il secondo rispose
"Tu sogni".
Il primo fece per impossessarsi del pallone, il secondo alzò
il braccio libero per difendersi.
I due si guardavano in cagnesco.
Gli altri guardavano i due.
Uno degli altri disse "Facciamo palla contesa".
Uno rimbalzò sulla tibia di un guardialinee e
rientrò immediatamente sul terreno di gioco rimanendo così
fuori campo una frazione di secondo appena.