NUMERO 10
MAGGIO 00
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DANIELA GAMBINO
Anni fa ho letto un racconto
che mi ha colpito per la grande passionalità che trasudava. Era "Cosa ti piace di
me?" di Daniela Gambino, che chiudeva il libro-intervista "Bad Girls"
pubbilcato da Castelvecchi. Tre anni dopo, l'uscita del suo primo romanzo (che riprende
titolo e attacco da quel suo racconto iniziale) ha confermato l'impressione di una
scrittura personale e strafottente, dettata da un'esigenza profonda di mettersi sulla
carta e di raccontarsi con una sincerità vitale e talvolta spiazzante. La Gambino è un
cuore terrone che pulsa, una ragazza siciliana che voleva molto di più dei pantaloni, un
torrente in piena difficile da arginare. Le ho chiesto un racconto per 'tina. Eccolo.
Uguale
La televisione ci ha reso tutti eguali, molto più della Carta Universale dei Diritti
dell'Uomo.
Una classe sociale superiore, comunque, continua a esistere e a riprodursi, è un caso,
un'anomalia genetica, un testimone che viene tramandato da generazione in generazione. Se
non ci nasci non lo sarai mai. Una casta ristretta, colta, ma con una moralità
preistorica che non molla il suo piccolo potere.
La casta espelle, insieme agli escrementi, le cellule impazzite che gli danneggiano il
sistema.
Il denaro è l'unico antagonista.
Il denaro e la cultura danno potere.
Rico, trentatrè anni portati malissimo, non possedeva né l'uno né l'altra. Rico
possedeva venticinque denti su trentadue, sedici unghie su venti, quelle dei piedi
comprese, tre amici, di cui uno che si scopava la sua fidanzata, tre nemici, di cui uno
che si scopava la sua fidanzata, quattro fratelli, di cui uno che si scopava la sua
fidanzata. A Rico non mancava niente, aveva il distributore delle sigarette e quello dei
preservativi a due passi da casa. Abitava in un monolocale di un quartiere e di una
città, e in più aveva un'autorimessa affittata per poche lire dove si dedicava al
bricolage, non faceva lo Yoga e se gliene parlavi credeva che fosse un tipo di succo di
frutta. Come tecnica di rilassamento andava sui cavalcavia a sputare di sotto. Questo era
la sua dopa. Non faceva parte di nessun target, non esisteva azienda che avesse il suo
nome nell' indirizzario. In virtù di questo non pagava neppure il canone della
televisione.
Rico era cosciente di essere un morto di fame, convinzione che si era accentuata dopo
aver visto in tivvù i serial "Dallas"e "Beautiful". Non viveva nel
limbo dell'ignoranza, col cazzo, sapeva di non possedere un jet privato e un cottage nel
Montana. Se è per questo non aveva neppure la station wagon e l'antenna parabolica. Ciò
gli stava un po' sulle palle, ma quello che gliele faceva veramente girare erano certi
programmini dove le conduttrici strillavano felici in posizioni improbabili per poi cadere
in cupe depressioni appena ingrassavano di un etto.
Rico rispettava il suo peso forma, i suoi genitori e pure quel rincoglionito di suo
nonno. Rico aveva un nome da gelato preconfezionato industriale e qualche persona su cui
contare nel caso gli fossero serviti dei soldi o compagnia per affrontare la fila alla
posta. Il suo pisello raggiungeva la ragguerdevole misura di ventitré centimetri da
sveglio.
Molti vivono un'allucinante esperienza di merda che chiamano vita. Da questa si
dipanano esperienze liberatorie come : matricidi, patricidi, interruzioni di gravidanza e
uso di stupefacenti, quando non si riesce a raggiungere lo status di impiegato statale o
di divo della tivvù.
Rico, cavandone pure un certo divertimento, voleva, fortemente, finire di costruirsi
una barca.
La costruiva, così come da solo si era confezionato il monopattino in seconda media,
e, prima di trasformarlo in skateboard, l'aveva dotato di un vano porta walkman. Di sua
fattura erano la scrivania e il letto di casa, lo stendino per il bucato e l'asse da
stiro. Quest'ultima una vera cazzata, un'asse è un'asse.
Rico portava i capelli rasati sulla nuca e faceva il cuoco. Il suo piatto preferito
erano le melanzane alla parmigiana, ne avrebbe cucinate anche una cinquantina al giorno,
seguendo scrupolosamente i tempi di cottura, tanto? gli riuscivano bene. La melanzana
doveva sciogliersi in bocca, sposarsi con la mozzarella, adagiarsi sui pomodori e
assorbirne gli umori, profumata di basilico e parmigiano. Rico cucinava e offriva le sue
pietanze perché sprigionassero nel palato altrui tutto il suo godimento, e un po'
s'offendeva se non venivano apprezzate, allora insisteva, perché non esiste
riconoscimento senza insistenza.
Rico non aveva mai voluto imparare niente. Gli eventi avevano scelto per lui. Se era il
maggiore dei quattro fratelli era un caso, come per caso sapeva cucinare, piallare,
lavorare e riconoscere il legno. Aveva rubato l'arte con gli occhi.
Con gli occhi aveva carpito il segreto per preparare la pasta con i broccoletti e la
crema catalana, il pollo glassato e le orecchiette con le cime di rape. Tranciava il pollo
in pezzi sul tagliere e sminuzzava la cipolla fine fine perché s'imbiondisse subito.
Irrorava col vino rosso, spolverava di salvia e rosmarino, odorava la cucina di spezie.
Marcello, ventuno anni, di cui tre passati al riformatorio, voleva specializzarsi nella
trasmissione del pensiero. "Se i computers comunicano velocemente via e-mail,
figurati se gli uomini non possono comunicare con la forza del pensiero", diceva. Per
un periodo s'era allenato a comunicare con il calciatore del Napoli Maradona, gli spediva
due e-mail mentali al giorno.
E poi, delle volte, certe parole gli arrivavano alla bocca senza che le conoscesse. Era
sicuro che alcune parole, malgrado fossero abituate a navigare tra le maglie della rete
telematica, una volta spedite gli si impigliassero nei capelli e da lì accedessero al
cervello, magari calandosi per un orecchio.
Marcello aveva sognato di diventare un calciatore, ma poi era caduto dal motorino e
s'era incrinato due vertebre. Se il tempo cambiava lui si contorceva dal dolore. Una
volta, al riformatorio, aveva litigato con uno più grande e questo gli aveva tirato un
calcio proprio lì, dove le due vertebre s'incastrano come le costruzioni Lego.
Da bambino pensava d'essere destinato a grandi cose, adesso che era un ragazzetto che
camminava sbilenco quando faceva umido, sapeva che non era così. Sentire che provi del
dolore è, comunque, sentire che quel dolore passerà.
Marcello arrivò sbilenco, una tarda mattina, a parlare con il padrone del ristorante
del centro. Chiedeva un posto di aiuto cuoco." Quando cucino è come se ascoltassi la
radio", disse, "è una cosa facile". Fischiettò, la sera stessa, capando
patate al fianco di Rico, che se ne stava fermo, ritto sulle gambe, un po' a dare la
schiena all'aiuto che ascoltava la sua sinfonia personale.
Non aveva sbagliato le dosi, Marcello, e Rico rilassò appena appena le spalle
contratte e mollò venti centimetri, forse venticinque, del suo spazio davanti alla
cucina, al nuovo arrivato.
Non c'è niente che non vada negli uomini. Sono esseri biologicamente perfetti e
affascinanti, le donne, poi, lasciano a bocca aperta. E' l'amore, l'unione dei due sessi,
che lascia un po' a desiderare.
Non è cambiato, l'amore, col tempo, ma le persone sì.
Non pensava che far parte del sesso maschile volesse necessariamente significare dover
prendere una posizione. Contro chi?, contro le donne? Non se ne parlava proprio. Di
lottare non teneva voglia. A Marcello veniva l'acquolina in bocca solo a sentir parlare di
donne, la bavetta proprio. Sua sorella aveva cominciato a pattinare prima di lui, Marcello
ruzzolava e Anna sembrava scivolare sul ghiaccio, ma il ghiaccio non c'era, gli arrancava
dietro, strisciando i piedi, il fratellino, senza parastinchi o gomitiere come i bimbi
moderni. Non era un buon motivo per odiare sua sorella o tutte le altre donne del mondo,
anche se la prima della classe era sempre una femminuccia e, in particolare, in seconda
media, ce n'era stata una, grassottella e in salute, che faceva i conti a memoria,
ridacchiava sempre e al momento di passare il compito diventava di un mutismo assoluto.
Aveva le tettone, la tipa, dodici anni di tettone e non sapere come gestirle. Se la
sarebbe fatta, Marcello, anche se faceva spallucce se le chiedevi una dritta sui verbi
durante il compito in classe?. Forse se lo sarebbe fatto toccare, la soddisfazione di
darglielo dentro, a quella tettona, mai.
Quello che si riesce a odiare sono certe caratteristiche delle persone. Di qualunque
persona, aveva odiato la mania dell'ordine di suo padre, o la distrazione di sua madre.
Aveva capito, da un gesto, un'espressione, che il prete del riformatorio era frocio.
Una vita vissuta contro se stesso. S'era sentito tradito. Dio non t'aiuta, che lo ami a
fare. Vero che sei frocio e lui è maschio come te e ti viene pure facile. Ma non hai
pietà di te, come l'avrai di me?
Di corsa adesso, verso la cucina dove Rico l'aspettava al varco. Magari aveva voglia di
aprire la bocca e rimproverare. Aveva un rimprovero che gli avanzava, forse perché la sua
fidanzata la dava in giro e lui non gradiva.
Parleranno di fiche pelose davanti ai souffle, c'é questa speranza, o il cuoco ha solo
una squadra del cuore e le rate del videoregistratore da pagare?
Il cuoco veleggiava, pensando al progetto della sua barca, verso il forno che conteneva
le melenzane alla parmigiana. Non gli avanzava nessun rimprovero, solo una mentina tic
tac.
Marcello la succhiò mentre preparava il soffritto.
Alessandro fece notare al cameriere che aveva sbagliato a portargli il conto,
"ecco, guardi", disse confrontando i prezzi con quelli scritti sul menù.
C'era la sopratassa festiva. Alessandro arrossì, "ma il cuoco", cerco di
rimediare davanti a Stella che aveva la faccia di Ornella Muti, "posso conoscerlo?,
fa delle melenzane alla parmigiana divine".
Rico e Marcello cercavano di soccorrere una crema catalana che aveva fatto i grumi e
videro Alessandro con la sosia di Ornella Muti che si guardavano in giro e facevano
commenti sulle varie provenienze del peperoncino. " Non potete stare qui", disse
subito Rico, Alessandro, che stava chiedendosi se in quella cucina usavano del peperoncino
siciliano o calabrese, arrossì di nuovo. "Volevamo solo complimentarci", disse,
" per la sua parmigiana", Stella assunse un'espressione che dichiarava il suo
dissociarsi da quell'intenzione, "non volevamo disturbare". "Sa, noi stiamo
lavorando, oggi è festa, la sala è piena", spiegò Marcello, Rico fissava
Alessandro e la sua bella, gli pareva di averlo già visto, di averlo già colpito col suo
sputo quando andava a rilassarsi sul cavalcavia. Alessandro appoggiò una mano sul piano
di marmo e si sporcò di farina, " ci chiedevamo", cominciò, "se vi andava
di venirle a cucinare al nostro matrimonio", Stella mantenne la stessa espressione di
prima. Già se lo gustava, Alessandro, lo stupore degli invitati davanti al tripudio
plebeo di melenzane infornate e vino rosso. Avrebbe creato una tendenza : lo sposalizio
casareccio.
"Dipende", rispose Rico, "se è una questione di prezzo non c'é
problema", disse Alessandro, "non è un problema di soldi e nemmeno di
tempo", fece Rico, "ah, no?", si domandò Alessandro, "dipende dalle
melenzane, in certi periodi dell'anno non sono buone, quand'è che ti sposi?".
La crema catalana, ormai, sembrava uno di quei mucchi di ciottolini raccolti sulla
spiaggia da qualcuno che non ha di meglio da fare.
Alessandro rispose che si sposava in aprile, Marcello scosse la testa, "no
buono", mormorò. Ma Alessandro si illuminò, quello era terreno suo, "io sono
il titolare di una ditta di import export, non c'é problema, le melenzane ce le faremo
spedire dalla Cambogia, belle mature".
Rico guardò Marcello, in Cambogia non c'era un guerra, o sbagliava?, s'immaginò
soldati che se le davano a colpi di melenzane mature, "mi consulto col mio aiuto, poi
le farò sapere", disse. Era una frase che aveva sentito dire in un telefilm. E poi
dicono che la televisione fa male.
Stella soffriva di "sindrome da piccola fiammiferaia", gli pareva sempre di
starsene coi cenci, al freddo, a guardare da fuori quelli che si divertivano. Aveva delle
amiche con la stessa sindrome che la fomentavano molto al riguardo.
Esisteva un altro bipede, ovunque si voltasse, che aveva un particolare più griffato,
più trend, più ipertecnologico di lei e aveva appena trascorso un week-end più
stimolante o esotico. Li avrebbe uccisi tutti, ma alla fine sarebbe rimasta sola e da sola
s'annoiava, mangiare da sola è un vero strazio, per fortuna c'era Alessandro che non
sapeva mangiare da solo neanche lui e l'invitava spesso fuori. Tutte le sue amiche avevano
amanti più focosi, più teneri e presenti di Alessandro. Così, almeno, raccontavano.
Avrebbe dovuto testarli tutti, Stella, come si fa con le auto, ma non teneva voglia.
"Ma sono due anni che dici che devi lasciarlo", le facevano notare le amiche
quando parlava dell'imminente sposalizio con Alessandro. Stella era indecisa. Anche quando
faceva shopping era sempre indecisa fra un capo d'abbigliamento e l'altro.
Alessandro voleva un matrimonio semplice. Tutti dovevano restare abbagliati dalla sua
semplicità e parlarne per una settimana.
La televisione, la letteratura, i films, la vita non può non tenerne conto mentre si
snoda inesorabile.
Un ricevimento sul prato, ecco come i films americani gli avevano ispirato la realtà.
Con un po' di buona volontà avrebbe convinto Stella a mettere una coroncina di fiori
freschi in testa per acconciatura.
Marcello era stato a vedere la partita allo stadio e nella mischia, qualcuno, gli aveva
pestato i calli. Andò comunque a lavorare lamentandosi sommessamente.
Rico era stato alla stessa partita con un paio di amici. E aveva visto Marcello seduto
sulle gradinate. L'aveva intravisto di nuovo, mentre lo stadio si svuotava come un
formicaio in fiamme.
Era proprio bassetto, Marcello, un nonnulla e lo perdevi di vista.
Quella notte si fece aiutare, calli permettendo, a recuperare un vecchio divano,
abbandonato vicino un cassonetto dell'immondizzia, Rico voleva metterlo dentro la sua
barca. "Hai una barca?", chiese Marcello sbalordito, "come no", "
e che tipo di barca é?", Rico ci pensò un attimo, "è un tipo a modo
mio".
Rico aprì la porta dell'autorimessa e il muso, anzi, la prua, della barca, gli venne
incontro come un cane affettuoso, "Dio santo, ma è enorme", notò Marcello.
Salì su per la scaletta. Per certi versi somigliava a un vascello dei pirati in piccolo,
aveva funi e vele ripiegate, le assi del pavimento erano state lustrate a cera, e il piano
di sotto sembrava l'anticamera di un bordello, con le tendine agli oblò e i divanetti
rossi. Non somigliava a niente che avesse mai visto in giro, eppure ricordava molte cose.
"C'è pure il bagno", disse Rico, e aprì un piccolo ripostiglio con tazza e
lavandino, " e la cucina". Pendavano trecce d'aglio e c'era pure una padella sul
fornelletto, come se i pirati avessero appena mangiato un piatto di spaghetti con aglio,
olio e peperoncino.
"Scommetto che la dispensa è piena", osservò Marcello, "ci hai
preso", disse Rico compiaciuto e aprì un piccolo armadio a parete stracolmo di
scatolette.
Era pronta per salpare la sua barca, e a Marcello, quando si richiusero il garage alle
spalle, mentre ancora scuoteva la testa incredulo, venne un atroce dubbio, "mi
chiedevo, ma come farai a tirarla fuori di lì?", domandò. Rico s'accarezzò la
testa proprio dove si rasava i capelli e sorrise : "è semplice, non la tirerò mai
fuori". Non passava dall'apertura, la sua barca, nè si sarebbe mai potuto abbattere
il garage che le abitava attorno come un amante inopportuno fino a soffocarla: "E
poi, per andare dove? , non è detto, è così bella, ma forse non galleggia". E
bisognava anche finirla, non c'era la poppa e nemmeno il timone, " e dove vai con una
barca che non sai governare?".
A Marcello era piaciuta Stella, la sognava ogni notte, che arrivava da sola, dentro la
cucina, e lui le chiedeva, "vuoi fare un giro in barca?" e la portava dentro il
garage di Rico. Si baciavano seduti su un divanetto rosso e lei diceva "voglio stare
qui tutta la vita".
L'idea della coroncina di fiori freschi non era male. Alessandro doveva averla vista al
cinema, però Stella era indecisa, una sua amica si era sposata con in testa una specie di
fiocco che la faceva sembrare una bomboniera e tutti l'avevano trovata molto di moda.
Pensava di passare dallo stesso acconciatore.
A un certo punto le cose si complicano, prima ti mettono nuda a fare il bagnetto col
cuginetto coetaneo, quando c'hai tre anni, e la vista di una corpicino di bimbo nudo è
sana e naturale, e poi gli anni passsano e non solo il tuo corpo si disfa ma anche la tua
morale.
Perchè la fidanzata di Rico non gli telefonava da due settimane, quale vista di un
corpicino nudo l'aveva distratta e la smania di possedere e di essere posseduta avevano
fatto sì che non componesse più quel numero?.
Alessandro avrebbe sposato Stella, anche se lei era certa che lui non fosse capace di
immaginarsela a memoria, nuda, dietro gli occhi chiusi, non si era accorto della carne
morbida e bianca delle sue braccia e la sua lingua rosa non si era mai appoggiata nel
solco fra i seni. Le amiche di Stella raccontavano altro, di discese fra le labbra e di
lingue morbide e instancabili.
Non poteva finire così, per lei, almeno per l'addio al nubilato, voleva una discesa a
rotta di collo per tutte le insenature del suo corpo non più bambino.
Rico viveva i suoi momenti ogni momento. Marcello aveva paura che perdesse il controllo
di sé. Ma Rico non sbagliava le dosi, in cucina, ma forse una dose troppo forte d'affetto
può allontanare le persone, anziché avvicinarle, si chiedeva, forse era stato troppo
accondiscendente con la sua donna?.
"Perchè stai così?", gli domandò Marcello, la cucina, quel giorno, era
stata invasa dalle melenzane cambogiane, "queste", le indicò, "non parlano
la nostra lingua".
"Xenofobo", pensò Marcello, quella parola nuova, forse, gli era entrata in
un orecchio dopo essersi perduta fra una e-mail e l'altra.
Ma Marcello non delirava, il lungo viaggio aveva gonfiato le melenzane di lingue e
idiomi diversi, le parole non gonfiano solo le persone, ma anche le cose, gli animali e
gli ortaggi.
Fuori infuriava lo sposalizio e sul prato della casa di campagna dei genitori di
Alessandro, sferzati da una lieve brezza primaverile, stretti nei loro spolverini troppo
leggeri, gli invitati seguivano la funzione del prete, "onoratevi,
rispettatevi", diceva il parroco che, Marcello lo riconobbe subito, era lo stesso
parroco omosex della sua infanzia, "continua a infarcire di cazzate il mondo,"
pensò sulle prime, ma poi, quando lo vide distribuire l'ostia con una faccia cerea e
compassata, non fu più tanto sicuro. Forse non era veramente lui, il prete, somigliava a
troppe persone, incontrate in diversi angoli del mondo, in occasioni diverse, e tutte
così: sicure dei loro gesti e di quel che dicevano.
Stella si guardava instancabilmente attorno. Marcello ne incrociò lo sguardo un paio
di volte e venne trafitto da una raffica di ormoni e di sensazioni represse. Le stesse
sensazioni che la fecero rinchiudere, mezz'ora dopo, nello stanzino delle scope e dei
bidoni aspiratutto della casa dei suoceri, insieme all'aiuto cuoco, che la sbucciò come
una patata con suo sommo piacere.
Marcello, e soprattutto la sua schiena, obbligata all'accoppiamento sessuale in piedi,
ricordarono per sempre i minuti rubati nello sgabuzzino, e l'odore dei capelli di lei
ornati da una coroncina di margherite.
Alessandro non si sarebbe accorto di nulla se le melenzane extracomunitarie non
avessero rivelato tutta la loro estraneità alla casta risultando insipide e troppo unte.
Cercò nella neomoglie un'alleata, per potere, insieme a lei, chiedere scusa ai presenti,
per l'inadeguatezza della pietanza.
Notò la porta dello sgabuzzino solo perchè il gatto di casa la grattava con le unghie
chiedendo a gran miagolio di entrare per poter espletare le sue funzioni fisiologiche, in
quanto lì, dimorava anche la cassetta dei suoi bisognini.
Stella, fra le braccia di Marcello, aveva una presenza che non le aveva mai conosciuto.
Pareva che lo preferisse a lui. Anzi, realizzò, mentre s'affrettava a richiudere la porta
dopo aver fatto entrare il gatto. L'espressione di Stella era pura, spacciata, preferenza:
mai vista più contenta.
Distolto, a forza, dall'illusione infantile di essere unico e insostituibile, e per
questo perfetto, Alessandro, mentre si scusava, da solo, per le melenzane cambogiane
malriuscite, riscopriva i difetti del suo corpo e le inflessioni del suo modo di parlare
che trovò spocchioso e irritante. Le parole che usava erano le stesse di qualsiasi
conduttore tivù. Sovrapponibili, come un linguaggio fuori sinc. Lui stesso era
interscambiabile e per questo uguale. Uguale a chiunque altro.
Gli sarebbero occorsi parecchi soldi spesi in psicoanalisi per venire a capo di quel
senso di scoramento. Soldi che, talaltro, possedeva, anche se in quel preciso istante
avvertì d'essere stato espulso, a forza, dalla sua casta di appartenenza.
Stella macerava nel mare d'afflizione che le provocava la "sindrome da piccola
fiammiferaria". Quando raccontò della sua avventura con l'aiuto cuoco, scoprì
d'essere stata surclassata: una sua amica, il giorno delle proprie nozze, si era
accoppiata con il neocognato, il neosuocero e in ultimo col pasticcere della sua torta
nuziale
Dopo il fallimento delle sue melenzane e la dispersione nell'ambiente della sua
fidanzata, avvenimento imputabile a null'altro se non alla sua distrazione e al miraggio
della barca che tutto l'assorbiva, Rico, si prese una vacanza per terminare in fretta il
suo capolavoro ligneo e potere, così, dedicarsi con maggior lena all'inseguimento della
sua fidanzata , che aveva ormai, nella sua mente, i contorni sfumati e insignificanti di
un ectoplasma.
Si assentò per due mesi dal lavoro. Quando, una mattina, con i capelli non più
rasati, ma che gli sbucavano rigogliosi dal collo della camicia, tornò nella sua cucina,
scoprì di essere stato sostituito da uno stimato e brillante cuoco professionista
tunisino.
Marcello li presentò, si strinsero la mano, bevvero un bicchiere di vino, mentre che,
il professionista, lo usava per irrorare le carni che odoravano di cacciagione.
Più sollevato che spaventato dalla scoperta d'essere sostituibile, Rico, tornò nella
sua autorimessa e da lì non uscì mai più, neppure per andare a sputare dai cavalcavia.
Rinunciò all'obbligo morale di doparsi, piallando e lucidando il legno della sua barca
che cresceva in bellezza, e dove, di notte, si rintanava come un topolino, destinato a
perdere il senso del tempo. Lì smise di contemplare il teleschermo, il ricordo della sua
cucina, la misura del suo pisello e il numero dei suoi denti. A Marcello, che gli dedicava
diverse e-mail mentali al giorno, e gli chiedeva, ripetutamente, se gli
servisse qualcosa, rispondeva che poteva benissimo far senza. "Ma perchè non esci
più?", lo esaperava il suo Aiuto, "perchè non demolisci quella cazzo di
autorimessa e ti cavi fuori, tu e la tua barca?. "Per andare dove?", gli
rispondeva Rico, "dove vai con una barca che non sai governare?".
Marcello, aggiungeva tasselli al romanzo che andava scrivendo sulla vita di Rico.
Parole su parole, ingombravano la sua mente, impigliandosi fra i capelli, fra le maglie
della rete, nelle comunicazioni fra cellulari. Si calavano giù dalle sue orecchie e
andavano a fermarsi sulla carta. Quella storia esisteva finchè ci stavi in mezzo, ma
intuivi che potevi, benissimo, far senza. Bisognava scriverla, prima che si biodegradasse
nell'ambiente. |