Chi ha l’esigenza di lavorare fuori casa ma non ho un ufficio spesso sceglie di utilizzare un co-working. In verità, ne esistono di due tipi: il co-working propriamente detto (un ufficio comune nel quale è possibile occupare una stanza o un semplice posto scrivania, con un affitto mensile) o lo smart-working (bar, caffè e locali che offrono spazi occupabili da liberi professionisti in cambio di una consumazione). Io sono un assiduo frequentatore di questa seconda categoria e dopo un attento studio della sua clientela standard, ho stilato il seguente, prezioso documento sul tipo di vicino di tavolo che nessuno vorrebbe avere mentre cerca di lavorare.
Il professionista di mezz’età.
È in giacca e cravatta, ha circa vent’anni di più della media dei frequentatori del locale e quando arriva ha lo sguardo sorpreso ma entusiasta di chi non aveva mai visto prima un posto simile (gliel’ha consigliato un collega più giovane, o forse il figlio).
Non è mai solo, con lui ci sono uno o due individui identici. Sono lì per una riunione, forse perché in ufficio non c’erano più sale o forse per provare nuovi territori, per assaggiare la modernità.
Tu sei concentrato, stai scrivendo o stai leggendo qualcosa sul monitor, ma ti accorgi quasi subito della sua presenza per il volume della voce: in una sala di gente in silenzio, lui parla a voce alta, indifferente all’atmosfera esistente prima del suo arrivo. I due con lui, inspiegabilmente, tengono un tono più discreto, forse più consapevoli dell’ambiente, ma non gli fanno mai notare quanto sia inopportuno il suo.
Gli innamorati.
Hanno tra i venti e i ventitré anni. Sono universitari entrambi. Arrivano carichi di roba: libri di testo, quaderni, i-Pad, cartelline di fotocopie, che distribuiscono a raggera intorno a sé occupando in media il doppio dello spazio degli altri avventori. Dalla quantità di materiale didattico di cui sono circondati presumi li attenda una lunga sessione di studio, ma attaccano a mormorare fra loro e a soffocare risatine nel momento esatto in cui si siedono. Questo scambio intenso e costante viene interrotto a intervalli sempre più frequenti da scoppi di affetto improvviso (limonano). Ogni tanto uno dei due cerca di imporre serietà e di ricordare a entrambi perché sono lì. Puntano lo sguardo sui testi che hanno di fronte per qualche secondo, poi uno dei due estrae il cellulare e verifica i messaggi di Whatsapp e le notifiche di Insta. Scopre quasi immediatamente un contenuto che vuole condividere con il partner e glielo mostra. Il ciclo dei mormorii e delle risatine (e dei limoni) riprende più vigoroso di quando era stato interrotto.
Va avanti così per un paio d’ore. Poi mollano e se ne vanno, perché per oggi sentono di aver fatto abbastanza.
(Un mese dopo vedi tornare solo lui o solo lei, fare scazzato, aria mesta, ha un libro solo, si siede e si mette a studiare sul serio. È chiaro che non stanno più insieme.)
Le amichette.
Sono una variante degli Innamorati. Anche loro hanno poco più che vent’anni e sono iscritte all’università. Viaggiano in formazione da tre o quattro, mai da sole. Sembrano serie e motivate, appoggiano i loro materiali di studio con cura, a volte hanno anche astucci, matite e righelli con cui sottolineare i testi e iniziano le loro sessioni con apparente diligenza. Questo impegno dura pochi minuti, a volte una manciata di secondi. Poi cominciano a mostrare alle altre messaggi appena ricevuti sul cellulare o immagini dai social e ciò scatena immediatamente risatine e commenti sussurrati. A volte il telefonino non serve, bastano degli scambi di sguardi fra loro.
In sintesi, sembrano trovare divertente tutto. Passano il tempo a cercare di trattenere un’ilarità debordante.
La centralinista
È una professionista, intorno ai trent’anni. Di suo sarebbe una lavoratrice seria e impegnata, ma viene continuamente interrotta da chiamate sul cellulare, di ogni tipo. Inizia le conversazioni a bassa voce, quasi mormorando per non arrecare disturbo, ma questa accortezza lascia presto il posto a una partecipazione più attiva alla conversazione e un innalzamento conseguente di tono. In breve i presenti vengono a conoscenza sia dei suoi progetti professionali che personali, nei dettagli. Se uno dei presenti cerca di farle notare un tono di voce troppo elevato reagisce con l’indignazione di una nobildonna infastidita da un accattone. Si chiude a riccio sul proprio telefono, abbassa la voce palesando tutto il fastidio di chi è costretto a una privazione ingiusta. L’ipotesi di alzarsi e proseguire le sue conversazioni fuori non la sfiora assolutamente mai.
L’espressivo.
Anche se è circondato da sconosciuti non può fare a meno di trattenere le sue emozioni. Ha gli occhi fissi sul monitor, dove sta leggendo una mail, navigando fra diversi siti di news o controllando la bacheca di Facebook, ma i contenuti che incontra lo scuotono a tal punto che emette esclamazioni continue: – Noooo! Assurdo! Ma come?! E adesso?! Che stronzata! Aiuto! Baaastardi! – robe così.
Simili esternazioni sono rivolte esclusivamente allo schermo. Non intende coinvolgere i presenti, non alza mai lo sguardo per verificare se questi suoi intercalari rechino disturbo o siano semplicemente percepiti dagli altri.
È sulla soglia dell’autismo, anche se lo ignora.
Il gruppo sparso.
È la categoria più insidiosa perché richiede tempo per disvelarsi. Il motore primo, l’individuo che probabilmente ha dato avvio alla catena che si paleserà solo in seguito, all’inizio è indistinguibile dal resto dei presenti: silenzioso, concentrato, anonimo. Poi all’improvviso ecco che arriva un amico. Lo raggiunge, si sorridono, si danno il cinque e cominciano a scambiarsi dei convenevoli. Capisci che è lì perché lui gli ha parlato di questo posto e l’ha invitato a provarlo. Non siamo ancora in fase sospetta, può darsi che fra poco anche il nuovo arrivato si sistemerà e comincerà a studiare. Invece ecco che compare un terzo elemento. Li nota subito e li raggiunge senza esitazione. Il livello di pericolo comincia ad alzarsi. In breve altri due, tre, quattro compagni sopraggiungono e lì la crisi diventa esplicita: sono un gruppo. Si posizionano sparsi (non trovano mai posti tutti vicini perché sono troppi, devono smembrarsi) ma per il resto del tempo si interrompono a vicenda, si rivolgono battute da un capo all’altro della sala, propongono pause sigaretta e pause caffè. Disturbano chiunque, ma se ne fottono perché sono in netta maggioranza.
Per una ragione ancora inspiegabile dalla scienza, il motore primo è sempre, assolutamente sempre, seduto proprio a tuo fianco.
Quelli coi bambini piccoli.
E passano il tempo a dirgli: – Non disturbare, parla piano -. Come se avesse senso.
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